Chi meglio di un londinese con origini indiane, cinesi, portoghesi e nigeriane può rappresentare il futuro sempre più sfaccettato della musica elettronica?
Troy Henry è il ventiseienne dietro allo pseudonimo di Troyboi e nel giro di poco più di due anni è riuscito a catalizzare l’attenzione di un pubblico che dopo il fenomeno “Harlem Shake” si è innamorato della trap e delle sue sonorità. Il tocco d’artista ha spinto quella follia un po’ più in là portando nuovi standard all’interno di un genere che si è guadagnato sempre più seguito grazie a suoni viscerali, percussioni e un ritmo che prende e trasporta là dove l’elettronica non si era ancora spinta a certi livelli. Uno specialista in manipolazione di suoni, come si definisce l’inglese, può osare, stupire e di conseguenza cambiare le regole di un gioco che per molti aspetti soffre spesso della sua stessa ingombrante fama. Troyboi si è da subito distinto per le sue doti di produttore con vere e proprie meraviglie come “Fyi”, “Souls” e “Remember” per poi proseguire l’onda di grandi successi con “Soundclash” insieme a Flosstradamus, “Do You?“, il remix ufficiale per “Not Letting Go” di Tinie Tempah e la collaborazione d’oro con Diplo “Afterhours“.
Con l’occasione di un evento più unico che raro reso possibile da un’organizzazione eccezionale come OH MY CLUB che, con molta attenzione, è riuscita tra gli altri a portare nella provincia milanese veri e propri fenomeni emergenti come Zomboy, Savant, Razihel, Koan Sound, Pegboard Nerds, Carnage e tanti altri ancora, abbiamo incontrato uno dei produttori che in questo 2016 ha un posto assicurato nella scena che conta.
Stai diventando sempre più un fenomeno internazionale grazie a successi come “Afterhours” e “Do You”, ma come ti sei innamorato della musica?
Fin da quando ero bambino i miei genitori mi hanno introdotto alla musica. Ricordo di una fotografia di me all’età di due anni di fronte alle casse imbambolato. Sono nato a Londra, ma date le mie origini ho sempre ascoltato musica proveniente da tutto il mondo e credo che grazie ai canti nigeriani, piuttosto che alla musica indiana o cinese, il mio suono oggi abbia queste caratteristiche.
Quindi è da questo che trai l’ispirazione per produrre?
La mia ispirazione viene dalla vita in generale. Se in un certo momento sento una forte sensazione, ho bisogno di convertirla in suoni e produrre. Tutto può nascere da un insignificante rumore, ma è da quello che parto per creare qualcosa di nuovo.
Parlando di musica elettronica, chi sono le prime persone che ti hanno fatto sentire a tutti gli effetti parte della scena?
Producevo da molto tempo restando nell’anonimato della mia camera finchè non sono stato contattato da Jim Beanz, uno dei collaboratori di Timbaland, che mi ha fatto entrare nella sua agenzia. Poi grazie a un amico in comune ho incontrato Icekream con cui più avanti ho formato il duo Soundsnobz. Nessuno di noi era ad un alto livello di notorietà e producevamo per pura passione, ma è stato da quel momento che tutto ha iniziato a prendere forma.
In molti, sopratutto i più giovani, si chiederanno come arrivi a scrivere i tuoi pezzi. Come organizzi il tuo lavoro di produzione? Hai una specie di tabella di marcia o aspetti la giusta ispirazione?
Dipende, ci sono due diverse modalità. Se mi trovo di fronte ad una data precisa in cui devo ottenere un determinato risultato per un qualsiasi progetto, allora mi metto al lavoro in un certo modo. La maggior parte delle volte però, cerco di non forzare la mia musica e me stesso producendo quando davvero lo sento: come non fosse un vero e proprio lavoro.
Ma dopo i grandi successi che stai ottenendo, senti più stress e una maggiore pressione su di te?
C’è sicuramente più pressione. Quando produci una traccia che le persone amano così tanto, vuoi che quella che viene dopo sia ancora meglio. Ma mi piace ugualmente, lavoro bene sotto pressione e comunque non mi preoccupa questo aspetto: per me l’importante è che quello che faccio mi rappresenti.
Il più visibile dei tuoi successi fino ad ora è sicuramente “Afterhours” insieme a Diplo. Come vi siete incontrati?
Dunque, ci sono un po’ di storie a riguardo. Lui ha sentito la mia collaborazione con Flosstradamus “Soundclash” e mi ha contattato su Twitter proponendomi di fare qualcosa insieme per l’estate. Ci siamo incontrati in studio a Los Angeles e lì mi ha fatto ascoltare il vocal di Nina Sky. Una volta tornato a Londra mi sono dedicato a creare la parte strumentale di quella che ora è “Afterhours”.
Oltre al tuo percorso come TroyBoi, sei la metà del duo SoundSnobz insieme ad Icekream. Lo senti come un progetto minore o dobbiamo aspettarci uno sforzo altrettanto grande anche da questo act?
Per me ha uguale importanza e lavoro con la stessa intensità. Ovviamente grazie al fatto che sono cresciuto molto con il nome TroyBoi è più difficile stare dietro ad un altro progetto e per questo abbiamo avuto poco tempo di lavorare insieme. Ma c’è molta nuova musica in arrivo.
Prestando la dovuta attenzione al tuo profilo Soundcloud si nota l’onnipresente marchio “MyStyle” in riferimento ad ogni traccia. Cosa significa questo per te?
My Style diventerà in assoluto un movimento. Si tratta di molto più che un semplice marchio che metto alla mia musica ora, per me è tutto. E’ il mio stile di musica, il mio stile di vestire, è la mia attitudine, è la rappresentazione di quello che sono.
Parlando di altri dj, oltre alle collaborazioni con artisti come Flosstradamus, Diplo e Stooki Sound, ci sono altri artisti che segui particolarmente?
Onestamente, è una domanda difficile. Sono costantemente come nella mia bolla, concentrato su cosa devo fare per migliorare. Se però devo fare un nome, in assoluto dico Disclosure. Sono stupendi perchè sento che sono freschi, sono grandi produttori e continuano a seguire quello che sono senza dare importanza a quello che dice o pensa la gente.
Come ad esempio nel caso dei Disclosure, le tue produzioni faranno prendere alle performance live una parte maggiore del tuo lavoro ora?
Sono nato come produttore e produco sempre la mia musica in relazione al ballo perchè adoro ballare. Prima suonare era un divertimento, ma ora che il djing è entrato nella mia vita posso vedere in prima persona la reazione di quello che faccio sul pubblico ed è fantastico.
Per concludere, pur essendo cresciuto sotto varie influenze musicali e mantenendo isolata la tua attenzione presente a ciò che devi fare per migliorare e andare avanti, c’è un nome che rappresenta qualcosa di profondo nella tua vita di artista?
In assoluto Michael Jackson. Per me lui ha incarnato la definizione di genio. Già da piccolo ascoltavo le sue canzoni e la sua umanità, la sua positività e ogni singola caratteristica che lo ha reso celebre sono per me una grande fonte di ispirazione.
11.01.2016