Antefatto
Durante l’inverno che divide il 2008 dal 2009, tra Parigi e Londra i Black Eyed Peas e David Guetta registrano ‘I Gotta Feeling’. È il perfetto crossover che mancava alla musica da ballo. L’anello di congiunzione tra la pista da ballo e le radio dopo anni confusi. Apparsa all’ultimo respiro del primo decennio del secolo, ha definito il successivo. Quello in cui la musica dance scoprirà una dimensione mastodontica.
La terza onda
In principio furono i padri fondatori. Poi, a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila il ruolo del dj inizia una migrazione del suo significato dal retroscena alla ribalta, diventando una star. Il secondo decennio degli anni Duemila lo eleva a superstar planetaria. Nel frattempo, siccome la radio rimaneva ostile alla musica dance a meno che non avesse un vocal pop accattivante (e le grandi etichette non riuscivano a capire come posizionare gli artisti elettronici), a inizio millennio l’indie rock alla White Stripes colmava il gap. Quando all’Electric Daisy Carnival del 2010 a Los Angeles una quindicenne muore dopo aver assunto ecstasy, la situazione sembra irrecuperabile e il destino della musica dance già scritto sopra un epitaffio. Ma la musica da ballo ha una capacità di rigenerarsi innata, perché – parafrasando una famosa massima del maestro Giorgio Moroder – i BPM sono battiti cardiaci. Inoltre, l’approccio dei promoter alla musica dance stava cambiando, soprattutto dopo aver visto la piramide dei Daft Punk al Coachella 2006. La parola rave viene sostituita con un acronimo più democratico: E.D.M., electronic dance music. Nel coso del decennio la musica da ballo si è trasformata in un spettacolo d’intrattenimento. “Ci sono sempre onde. Le onde si infrangono, l’acqua si abbassa e poi ritornano” ha dichiarato Skrillex a Pitchfork, da un punto d’osservazione privilegiato. Il decennio elettronico che sta per concludersi è stato proprio questo: un’onda altissima che ha spazzato via qualsiasi cosa trovasse sulla sua strada.
My name is Skrillex
Sonny Moore in arte Skrillex è il volto del cambiamento. Sfrutta il background rock per trasformare la dubstep inglese di Caspa e Rusko in un fenomeno globale di massa. La sua “brostep” lo renderà più famoso dei Nirvana. È il 2010, ‘Scary Monsters and Nice Sprites’ è il primo schiaffo dal futuro. Appena due anni dopo vince tre Grammy Awards: Best Dance Recording, Best Dance/Electronic Album e Best Remixed Recording per ‘Cinema’ di Benny Benassi. Si ripete un anno dopo, poco prima di annunciare la nascita di un progetto parallelo insieme a Diplo: Jack Ü. Nel marzo 2014 il dj set pomeridiano sul main stage di Ultra Music Festival a Miami mostra che la big room non è l’unica soluzione. L’anima electro dell’hip hip, cioè la trap, dominerà i sentimenti dell’ultima fase del decennio EDM. Il lavoro in studio con Justin Bieber sarà il manifesto del suo decennio.
Internet generation
La popolarità e la diffusione dei social media hanno contribuito in maniera fondamentale all’espansione del fenomeno EDM su scala globale. Nel 2011 Tomorrowland pubblica il primo aftermovie ufficiale in versione estesa. Improvvisamente le rock band diventano dinosauri. Togliendo i puntini dall’acronimo e diventando per convenzione neologismo, l’EDM è pronta a diventare musica generazionale. Nel frattempo, il consumo cambia rapidamente come conseguenza dell’emergere dei servizi di streaming. Talenti come Alan Walker, Martin Garrix, Oliver Heldens (e poi Don Diablo), Avicii e Porter Robinson escono allo scoperto. Artist artisti come i Disclosure, i Major Lazer di Diplo, firma auterevolissima del decennio, Kygo e Flume inventano un suono nuovo, ognuno diventato tendenza. Soundcloud prima e Tik Tok adesso, sono le piattaforme musicali on line a cui la nu-discografia guarda con attenzione, abbassando drasticamente l’età media del consumatore. A fine decennio, la house music sembra essere nuovamente la soluzione. ‘Losing It’ di Fisher è il primo a presidiare il territorio su vasta scala.
Martin Garrix
Se il fenomeno EDM dovesse per forza avere un volto, sarebbe certamente quello di Martin Garrix. Nel 2013 nessuno credeva che il produttore di ‘Animals’ fosse un sedicenne olandese. E invece, giocando con le note di ‘What It Is’ di Busta Rhymes, imparando i segreti della produzione musicale attraverso tutorial su YouTube, Martin Garrix diventa la più giovane superstar della scena EDM. Un’ascesa clamorosa e senza precedenti per portata morale ed economica. Nel 2016 è il più giovane artista a raggiungere la posizione numero uno della DJ MAG TOP 100 Djs. Per tre anni rimane sul trono, scalzato all’ultimo giro dai belgi Dimitri Vegas e Like Mike, rappresentanti di una continua espansione verso i nuovi mercati medio-orientali e asiatici. Volti globali del marchio Tomorrowland, i due fratelli sono diventati il simbolo di un suono massificato, capace di intrattenere decine di migliaia di persone, a costo di ricorrere al massiccio uso di escamotage scenici più o meno ortodossi ma sicuramente performanti. L’internet, che mostra gesta epiche attraverso clip dal montaggio hollywoodiano, genera fenomeni virali. Uno su tutti, il primordiale ‘Harlem Shake’ di Baauer (2012).
Radio Stars
“L’EDM sta ai giovani d’oggi come la dance anni ’90 stava a quella generazione. Trovo delle similitudini anche nelle sonorità e nell’uso della melodia”, ci racconta Albertino direttore di Radio m2o. “La musica EDM – aggiunge – è riuscita nell’impresa di prendere un pubblico ampio e globale attraverso i grandi festival e la radio”. La radio ha giocato un ruolo fondamentale nell’espansione del fenomeno EDM. “L’EDM intesa come genere musicale si è basata su belle canzoni e questo ha aiutato la sua rapida diffusione”, conclude Albertino che ricorda con piacere il lancio di ‘Levels’ nel 2011. Un anno prima A-Trak e Armand Van Helden proponevano ‘Barbra Streisand’, un gioco finito in heavy rotation. Un anno dopo Zedd vinceva un Grammy Award con la meravigliosa ‘Clarity’. Intanto la scuola svedese e la scuola olandese cominciano a sfornare hit in serie. Nascono decine di produttori specializzati in radio hit. ‘Nothing but the Beat’ di David Guetta (2011) e ‘18 Months’ di Calvin Harris sono le fondamenta su cui poggia l’intero decennio. La fiducia riposta dalle stelle del pop – finora titubanti – verso la produzione elettronica apre scenari impensabili. Madonna (con Avicii all’Ultra 2012), Kety Perry, Rihanna, Coldplay, Bastille, One Republic, Nicki Minaj, il già citato Bieber, Lana Del Rey sono soltanto alcuni esempi della contaminazione che ha dato alla musica dance un palcoscenico più ampio e globale. Negli anni Dieci del nuovo millennio, la cassa in quattro quarti e il drop hanno smesso di fare paura. La musica affidata al deejay, la voce ad una stella luccicante o nascente del pop e la hit è pronta a scalare le classifiche. “Ora EDM è una parolaccia”, dice Paul Sears, manager, tra gli altri di Benny Benassi. “Bisogna parlare di house, tech-house, techno, progressive… Non ho mai amato la ricerca spasmodica di una definizione di genere. Quando era uscito ‘Satisfaction’, durante un’intervista di Benny con una testata inglese, la giornalista lo aveva definito electroclash. Solo in quel momento abbiamo capito di aver fatto un brano electroclash. Detto questo sono molto grato al fenomeno EDM. Non ce l’aspettavamo. Ha portato fortuna sia agli artisti con cui lavoro sia a me”. Il suono dance del decennio è maturo, strutturato, addirittura orchestrale come nel caso dei Daft Punk che nel maggio 2013 lasciano in eredità il meraviglioso ‘Random Access Memories’, probabilmente l’album del decennio se non fosse per l’eterna discussione su cosa sia e cosa significhi veramente il neologismo EDM.
EDM bubble
Nel 2012 la rivista specialistica Forbes inizia a fare i conti in tasca ai dj. L’annuale graduatoria “Electronic King Cash” è la prova che l’industria della musica da ballo è diventata un affare serio. Apre le danze Tiësto, il più ricco nel 2012 secondo Forbes con 22 milioni di dollari. Spiccioli rispetto ai 66 milioni di Calvin Harris calcolati nel 2014 e nel 2015, biennio in cui il fenomeno EDM raggiunge il picco massimo di popolarità. Il film con Zac Efron ‘We Are Your Friends’ racconta una storia EDM americana. “Se sei un dj, tutto quello che ti serve è un computer, un po’ di talento e una traccia” dice sfacciatamente il trailer del film. L’esplosione della musica EDM coincide non per caso con l’esplosione dei bedroom dj. La tecnologia moderna e basso costo ha illuso tutti i giovani produttori di avere una possibilità. Soprattutto se abili con la rete. Ma, come Olanda e Svezia hanno insegnato, nel decennio dell’individualismo social, “fare squadra” ha fatto la differenza. E ha fatto incassare. L’IMS Business Report presentato ogni anno a Ibiza da Kevin Watson dimostra nel 2017 un valore assoluto dell’industria elettronica pari a 7,4 miliardi dollari, destinati a diventare 9 entro il 2021. Nel 2013 la SFX Entertainment veniva valutata pubblicamente oltre 1 miliardo di dollari. Live Nation, Beatport e ID&T (la società che include Tomorrowland) sono state due delle più ricche acquisizioni della società che però nel 2016 dichiara bancarotta. Marshmello (40 milioni di dollari) e The Chainsmokers (46 milioni di dollari) sono rispettivamente al secondo e al primo posto dell’ultima rilevazione di Forbes. Entrato a gamba tesa sulla scena nel 2016 (‘Alone’), il mascherato produttore americano si è consegnato alla storia di questo decennio con la fortunata operazione Fortnite. Il suo live show virtuale all’interno del videogame è stato visto da dieci milioni di utenti collegati contemporaneamente alla piattaforma. Il duo newyorkese ha invece stravolto i canoni tradizionali: dalla cheesy ‘Selfie’ (2014) al tour sold out sotto forma di band che strizza l’occhio al college rock. Marshmello e i Chainsmokers sono la quintessenza del fenomeno EDM, inevitabile punto di arrivo di un decennio che ha visto nascere, crescere e morire un’altra etichetta, costretta a ripensare sé stessa e destinata a tornare a riassumersi la responsabilità iniziale.
Viva Las Vegas!
L’estate 2012 è l’ultima di Tiësto a Ibiza. L’ex stella della trance è stato tra i primi a intercettare un cambiamento epocale. Nel 2011 apre a Playa D’en Bossa l’Ushuaïa Beach Hotel che modifica lo skyline materiale e spirituale di Ibiza. Nel 2016 l’HÏ prende il posto dello Space. Il vuoto emotivo viene riempito a colpi di reggaeton, scelta inaspettata ma inevitabile per chiudere il bilancio del decennio in pari. Nel 2011 Afrojack ottiene una residenza faraonica dal gruppo Wynn che a Las Vegas ha iniziato a spostare la programmazione notturna verso la musica dance. L’anno successivo lo raggiunge Tiësto. Las Vegas scopre l’EDM e la trasforma in uno spettacolo esagerato, in club eccessivi come l’Omnia, dove domina un mastodontico Calvin Harris (ricoperto di dollari) e in festival incandescenti come l’EDC di Pasquale Rotella, italo-americano, veterano della P.L.U.R. (peace, love, unity, respect), sui i cui valori si appoggia la stagione Rave 2.0. Inizia una guerra al rialzo tra i club della sin city per aggiudicarsi residenze di lusso.
Addio, Tim
“I took a pill in Ibiza, to show Avicii I was cool”, canta nell’aprile 2016 Mike Posner. Il remix tropical house di Seeb regala a questa barra notorietà globale. Profetica, se consideriamo gli anni Dieci del nuovo millennio come il palcoscenico che Tim Bergling ha creato e distrutto con le sue stesse mani. Avicii è stato un immenso talento, capace di scrivere in pochi anni pagine indelebili di storia della musica contemporanea. ‘Levels’ è la canzone del decennio, inno generazionale che ha messo e mette d’accordo tutti, dalle radio alle sagre di paese. La svolta country di ‘Wake Me Up’ con la voce di Aloe Blacc, nel 2013, all’inizio non convince nessuno. La critica fu feroce, la folla impietrita. “Ne riparliamo tra qualche mese”, disse profetico il manager Ash Pournouri. Ne sa qualcosa il promoter Giammarco Ibatici, adesso dietro al fortunato festival Nameless, allora capo del booking degli eventi EDM del Cocoricò. “Avicii costava molto. Era reduce dalla svolta country di Ultra. Avevamo molto timore nel proporlo al pubblico italiano. Decidemmo di non mollare e di andare avanti con le trattative. Il 10 agosto 2013 all’Aquafan di Riccione si presentarono quasi 16 mila persone. Un record assoluto che ancora oggi mi mette i brividi”. Pournouri, Ibatici e il mondo intero mai avrebbero pensato di piangere la tragica morte del giovane amico e artista appena 5 anni più tardi. Addio Tim.
Leave The World Behind
Nel giugno 2012, dopo appena 5 anni di attività e 8 singoli, la Swedish House Mafia annuncia un ultimo, lunghissimo, tour d’addio. Il giro del mondo colleziona record e scene di delirio collettivo. Memorabili le scene di Milton Keynes (giugno 2012), da dimenticare quelle, macchiate di sangue, del Phoenix Park di Dublino (luglio 2012). Dopo lo scioglimento, Axwell e Ingrosso prendono una strada, Steve Angello un’altra. Si rincontrano il 2 maggio 2019 a Stoccolma per la prima del “Save the World Reunion Tour” che chiude il cerchio di un decennio che gli ha visti assoluti protagonisti, dominatori tra performance live, tra hype, misteri, silenzi e hit che hanno fatto la storia dell’EDM.
Fake dj
Il termine ghost-producer è uno dei neologismi del decennio. Da quando esistono le canzoni gli artisti si rivolgono a specialisti che lavorano ai dettagli. Il salto di qualità della produzione musicale ha reso necessario l‘intervento di questi specialisti anche nel genere elettronico, fino a questo punto fiero del do it yourself su cui basava le proprie origini. Personaggi come Marteen Vorwerk, Giorgio Tuinfort e Luca Pretolesi hanno ritrovato in questo decennio una certa notorietà. Il dibattito del decennio si concentra sull’effettivo peso del ghost producer nella canzone stessa. Se prendere un disco fatto e finito da altri e appiccicarci sopra il proprio nome è una pratica scandalosa, il lavoro insieme ad un team di esperti sound engineer ha nobilitato la produzione elettronica. Se l’obiettivo è fare belle canzoni, la musica EDM è stata piena di eccellenze. Osannato e denigrato, il fenomeno EDM è entrato a far parte dell’immaginario collettivo. Nel maggio 2014, il “Saturday Night Live” manda in onda una clip in cui viene preso in giro un dj. Nello sketch intitolato “When Will the Bass Drop?”, un fantomatico dj cerca di far ballare la folla schiacciando in modo goffo e impacciato un solo tasto. Il video è diventato non solo virale, ma un vero e proprio luogo comune. La nuova strumentazione tecnologica in dotazione ai dj sono diventate croce e delizia e oggetto di hating sui social. “Cosa fanno in consolle?” è diventata una domanda a cui è stato necessario rispondere. Se in alcuni casi le dimostrazioni pratiche sono servite per scacciare dubbi, in altri la questione è diventata inevitabile affinché lo show abbia le caratteristiche spettacolari richieste. Un ragionamento che vale per la musica EDM così come per tutti i live elettronici ad alto tasso di contenuti visual e tecnologico.
Italia vs EDM
Nel decennio che sta per concludersi la musica dance è diventata un’industria ricca e strutturata. Soltanto chi ha approcciato la scena con estrema professionalità e lucidità è riuscito a portare a casa un risultato. Se a livello internazionale la domanda sempre crescente e un impianto infrastrutturale già rodato ha permesso al genere di esprimersi al massimo delle proprie possibilità, in Italia il fenomeno EDM ha attecchito in parte, intrappolato tra burocrazia pachidermica e scarsa visione. Se la musica dance anni Novanta – con la quale il parallelismo arriva spesso e volentieri – era dominata da produzioni made in Italy, non possiamo dire lo stesso del decennio EDM. Ovviamente ci sono eccezioni che confermano la regola. A partire dal simbolo del decennio EDM italiano: Benny Benassi, conteso tra Madonna e i Grammy Awards, protagonista ormai di due decadi. “Questo decennio – racconta – ha visto il compimento della storia della musica elettronica. L’esplosione massima di tutta la ricerca e sperimentazione che è stata fatta negli anni precedenti a livello di clubbing e sonorità. Il fenomeno EDM ha portato la musica dance a livello del rock. In alcuni frangenti lo ha anche superato”. Il decennio italiano era partito alla grande con la fidget di Crookers e Congorock e con l’ibrido punk The Bloody Beetroots. Dopo l’exploit nella Dj Mag Top 100 del 2014, Merk & Kremont si sono concentrati sulla produzione hit-pop italiana con eccellenti risultati. A livello internazionale i fratelli VINAI sono stati i massimi esponenti italiani del genere, intercettando prima di altri il nuovo mercato asiatico. Daddy’s Groove e Marnik meritano una citazione, rispettivamente (anche) per il lavoro con David Guetta e Steve Aoki. Così come la merita Angemi per l’apparizione sul Mainstage di Tomorrowland (2018). Nonostante passione e dedizione, l’Italia non ha saputo sfruttare in pieno il fenomeno, ricoprendo un ruolo marginale sullo scacchiere internazionale. Dal punto di vista dei grandi eventi non siamo mai stati competitivi con il resto del mondo. I problemi sono stati molti e ampiamente dibattuti nella pagine del nostro magazine e del nostro sito. “Noi italiani siamo artigiani. Nel senso che non riusciamo a crescere e passare dall’artigianato alla grande industria”, dice Benny Benassi (che nel 2014 ha organizzato a Bologna ben due edizioni del suo Festival “Benassi&Friends”). “In Italia – conclude – a differenza di quello che accade nel mondo, nessuno tra banche o grandi gruppi investirebbe mai in un festival di musica dance. Purtroppo siamo ancora quelli della musica da discoteca”. In effetti la produzione EDM italiana del decennio è (ancora) ‘L’amour Toujours’ di Gigi d’Agostino…
27.12.2019