Foto: Ariel Martini
Sónar è un evento che ha bisogno di ben poche presentazioni, si tratta infatti di uno di quei festival che nel corso degli anni hanno accompagnato centinaia di appassionati alla scoperta di nuove suggestioni. Un percorso di fruizione musicale ed artistica consapevole, autoironico e perché no anche provocatorio. Una verve che, visti i numeri sviluppati nel corso degli anni, ha rappresentato il vero nemico della manifestazione stessa.
Sónar ha vissuto infatti una profonda fase di transizione nel corso della sua lunga storia tentando di mantenere il proprio indirizzo originario e la sostenibilità di una macchina sempre più grande e complessa. Una sfida che si è conclusa a detta di molti in un pareggio che ha separato le acque tra la parte diurna e notturna del festival.
Da un lato il Sónar de Dia che si articola in un’ottima mescolanza di proposte sfidanti e comfort zone, senza però lesinare in termini di qualità. Un’età media tendenzialmente più alta, un pubblico più variegato e l’assenza di pressione per rocambolesche fughe da uno stage all’altro. Il Sónar de Noche invece impone un ritmo più serrato, spersonalizzato e spesso non perfettamente bilanciato dal punto di vista artistico. Un compromesso che sembrava aver retto, sino alle più recenti vicende.

Foto: : Carlota Serarols
Inutile non parlare dell’elefante nella stanza. La presenza di un agente scomodo come il fondo KKR, società americana di investimento globale, ha sollevato polemiche e attriti di cui sicuramente avrete già letto. La marcia di avvicinamento al festival non è stata semplice, gli artisti che hanno cancellato la loro partecipazione molteplici e le risposte fornite dall’organizzazione stessa sono apparse confuse e troppo tiepide. Con queste premesse questa edizione risulta essere forse la più complessa in tempi recenti, come la stessa atmosfera a Barcellona nei giorni dell’evento testimonia.

Foto: : Juan Sabatino
L’accoglienza al Sónar de Dia fa percepire subito il contesto. Diversi manifestanti distribuiscono volantini che riprendono il claim del festival storpiandolo in “Music, Creativy & Genocide“. All’interno Sónar appare come un’oasi felice in un contesto apparentemente distaccato dalla situazione circostante. Eppure questa sensazione sarà interrotta a più riprese dagli interventi di diversi artisti sul palco, i quali ribadiscono il loro supporto alla causa palestinese. Non ci addentreremo nelle considerazioni geopolitiche della questione o sul dilemma relativo alla coerenza e alle scelte intraprese dagli artisti. Il discorso è ampio, complesso e strutturato.
Ciò che ci interessa è l’impatto che questa situazione ha avuto durante la manifestazione. Al netto dello straniamento iniziale l’affluenza si è rivelata ampia, forse più per la parte notturna che per la diurna. Il Sónar de Dia ha offerto act interessanti alternati a scelte più semplici ma comunque d’effetto. Paranoid London con il loro live nudo e crudo, Ewan McVicar che ha giocato la carta dei grandi classici, Dj Heartstring e Overmono, per citarne alcuni.

Foto: Leafhopper
L’alterego notturno di Sónar invece ha sofferto di più, pur non mancando di alcune performance interessanti e degne di attenzione. Quest’anno il grande problema è stato rappresentato da un posizionamento rivedibile di diversi artisti tra i vari stage. Un problema nato dalle molte assenze conseguenti il problema descritto ad inizio articolo, che ha generato una corsa verso il rimpiazzo. Ma una macchina così grande è complessa da governare e forse non tutti gli incastri sono andati al posto giusto. Prevedibile e giustificabile, quantomeno da un punto di vista logistico.
Vedere artisti come Daito Manabe e Angel Molina completamente decontestualizzati dalla loro dimensione, e poco compresi dal pubblico presente, è stata una delle conseguenze di questa frenesia. Restano gli highlights di set come quello di Interplanetary Criminal, Hamdi e Paula Tape, dj di esperienza capaci di leggere il dancefloor e comprendere la vibe migliore da adottare. La curiosità per i b2b come quello tra Skrillex e Blawan, diviso in una parte più techno ed una più dubstep, lineare ed incisivo. O quella per Armin Van Buuren ed Indira Paganotto, la cui performance è fortemente penalizzata da uno stage assolutamente overcrowded.
Insomma il vecchio adagio degli ultimi anni sembra essere valido ancora oggi, al netto delle più recenti problematiche. Comprensibile che l’organizzazione abbia tentato di salvaguardare l’imminente evento, ma ora si troverà nella posizione di dover davvero fornire delle risposte in merito alla propria identità. Uno di quei rari momenti in cui in un mondo capitalistico qualcuno è costretto a dichiarare se diventerà l’ennesima cash machine o se proverà a mantenere la propria vocazione, distanziandosi da uno scomodo padrone di casa.
01.07.2025