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Il Maestro Alberto Cipolla è ormai noto a buona parte del pubblico che ama la musica. Non soltanto quello degli addetti ai lavori, ma anche quello degli appassionati meno “stretti”, un pubblico più generalista che ha imparato a conoscerlo ed apprezzarlo proprio nella sua veste di Direttore d’orchestra, ad esempio nelle ultime edizioni del Festival di Sanremo con Olly, Eugenio In Via Di Gioia, Ariete, e dove ha trionfato in veste di co-arrangiatore di quella super hit che è ‘Cenere’ di Lazza insieme a Dardust – artista con cui collabora ormai in maniera stabile, ad esempio nell’ultimo album di Jovanotti.
Cipolla è anche un grande pianista e sopratttutto, uno strepitoso compositore e produttore, tanto che il suo nuovo album ‘Love, Death And Noise’ ci ha colpito, facendoci uscire dalla nostra “comfort zone” fatta di cassa in quattro quarti e spingerci a intervistarlo per saprne di più sul suo lavoro.
Ci racconti la genesi di ‘Love, Death And Noise’? Sappiamo che è stato concepito addirittura ai tempi del lockdown, ma come sei arrivato a questo album dopo cinque anni?
Non era previsto passassero cinque anni, infatti! Il disco ha iniziato a prendere forma tra il 2020 e il 2021, quando stavo iniziando a raccogliere un po’ di idee e demo buttate giù nel periodo del primo lockdown, dove per passare il tempo e mettermi alla prova pubblicai il progetto ‘Quarantine 1 – 31’ (scrivere, produrre e pubblicare su BandCamp un brano al giorno, realizzato entro le 24h precedenti). C’erano un po’ di spunti che mi piacevano e che sapevo avrei prima o poi voluto riutilizzare ed ampliare. A inizio 2021 viene a mancare mio padre, per il Covid, e l’elaborazione di questa cosa unita al fatto che sapevo di “dover” mettermi al lavoro per tirar fuori un disco si traducono in una totale mancanza di voglia di mettermi al piano/computer per e totale mancanza di idee. Passati un po’ di mesi le idee si erano schiarite e il progetto del disco era ripartito: l’idea era di lavorarci sodo per farlo uscire bene nell’anno seguente, massimo 2023, il concept era quello di raccogliere brani che mescolassero ispirazioni da due apparenti estremi (Love e Death) per cercare di farne uscire fuori una sintesi. In realtà poi succede che iniziano una serie di collaborazioni in ambito pop italiano (Dardust, Notte della Taranta, Elisa, i vari Sanremo) che avendo ovviamente più urgenza finiscono per allungare oltre misura i miei tempi di lavorazione dei brani. Col senno di poi, è stata una fortuna: ho avuto modo di pensare meglio alla produzione, alla veste sonora che volevo dare, ho migliorato io stesso alcune cose del mio workflow e se fossero usciti allora, oggi li troverei ancora acerbi. Serve tempo per maturare cose da dire, invece di fare il music content creator a ritmi industriali.
Sei abituato a lavorare su progetti di altri artisti, in varie vesti: come ti trovi invece quando sei alle prese con la tua musica? Quali sono le esigenze che ti spingono a comporre e produrre dischi tuoi?
Sicuramente mi godo maggior libertà creativa e di sperimentazione/ibridazione, dove magari non mi è possibile farlo quando lavoro per un artista in un ambiente più controllato e con qualche paletto. Credo sia essenzialmente l’esigenza di dover comunicare qualcosa. L’esigenza di sentire, con le orecchie, qualcosa che prima ho solo in testa, provare il piacere di renderlo quasi fisico e non più solo immaginato, e poi volerlo mettere in condivisione nella speranza che raggiunga più persone possibili e possa risuonare in qualcun altro. Se domani dovessi chiudere i battenti del mio progetto artistico continuerei comunque a scrivere e produrre fosse anche solo per me. Con la metà della soddisfazione, però, perché mi mancherebbe quella parte comunicativa e sarebbe solo sfogo. È vero che soprattutto negli ultimi 5-6 anni ho collaborato tanto con diversi artisti per i loro progetti, scritto musica per contesti diversi da quello che può essere un mio disco personale, ma io mi percepisco ancora in primis come un compositore per il progetto musicale Alberto Cipolla, poi il resto.
Classica ed elettronica: sempre più spesso sono due facce della stesa medaglia. Come vivi questo dualismo?
Senza vederci un dualismo. O meglio: sono ovviamente due contenitori estetici apparentemente molto molto diversi, se prendiamo la classica intesa come macro-genere musicale di cose scritte fino a cento anni fa e l’elettronica intesa come musica totalmente programmata, sintetica, digitale. Ma già a metà secolo scorso numerosi compositori hanno dimostrato che le due cose potevano avere dei punti d’incontro. Personalmente amo ed ascolto entrambe e credo in realtà siano mondi che possono dialogare benissimo e possono trovare molto in comune: senza dover andare a scomodare gli esperimenti su Bach di Wendy Carlos e le infinite versioni elettroniche più o meno efficaci di musica barocca (ma che stiamo scomodando) secondo me sonorità classiche ed elettroniche, che ormai vivono anche di parecchi “cliché”, possono assolutamente darsi l’un l’altra una sorta di rinfrescata. Poi, che anche nell’utilizzo delle due componenti insieme si stiano ormai formando dei cliché è ancora un’altra storia.
L’idea di concepire un album proprio come un album, e non come una sorta di playlist di brani più o meno collegati tra loro, è affascinante, anche se sembra paradossale dirlo. Cosa ti attira della forma-album, oggi?
Non ho nulla in contrario ai dischi che sono semplicemente un insieme di brani senza un qualche filo logico. Personalmente mi viene difficile pensare di voler fare un disco solo per dare un contenitore a ciò che ho fatto nell’ultimo lasso di tempo senza provare a fare una scelta dei brani basata non solo sulla presunta qualità ma anche sull’avere qualcosa in comune che vada oltre il fatto di essere stati scritti più o meno nello stesso periodo. Forse anche perché bene o male ho una qualche esigenza di mettermi al piano o al computer e dare forma a qualcosa, e per cui magari posso trovare un senso “retroattivo” a ciò che ho scritto. Mi piace il fatto di creare per l’ascoltatore una esperienza di ascolto per cui durante l’ascolto di un disco sei in una sorta di “viaggio”, di universo parallelo in cui valgono determinate regole comuni e che a fine disco se ne possa uscire. In un disco-playlist forse viene meno questa cosa e l’ascoltatore può interrompere il discorso quando vuole senza perdersi nulla del racconto, però mi sa di occasione mancata. Credo che nessuno dei miei tre album possa considerarsi concept-album, se inteso come si faceva ad esempio in epoca prog rock e cioè con una storia, personaggi, diversi temi musicali ricorrenti eccetera eccetera, ma sicuramente tutte le volte c’è un filo conduttore nelle ispirazioni, nei temi, in quello che volevo comunicare. Beh poi in realtà è vero che quasi sempre ho messo dei rimandi tematici musicali, brani parte 1/parte 2, quindi forse in realtà sono dei concept album, ahahah!
C’è un concept molto esplicito nel disco, quello appunto che riguarda vita e morte, tanto che l’album è suddiviso tra una parte più “scura” e una più “luminosa”. Quando, durante la scrittura di ‘Love, Death And Noise’, hai capito che questa era la direzione che volevi dare?
Prima ancora di avere avuto l’idea del titolo e del relativo concept. Dopo aver dato una forma abbastanza compiuta alle bozze di produzione dei primi quattro pezzi circa. Se non ricordo male i primi brani ad aver avuto uno scheletro finito sono stati ‘Legend of Ashitaka’, ‘Takk’, ‘Untitled 14’ e ‘Star-crossed Lovers’. In più avevo una mezza idea di prendere ed espandere un altro brano preso dal bacino di materiale che era ‘Quarantine’ ed era un pezzo mediamente solare (sarebbe poi diventato ‘Soul’) e di dividere ‘Star-crossed Lovers’ in due pezzi diversi, per poter dare più respiro ai suoi due momenti, quello più intimistico e quello più cassadritta. Da lì mi sono reso conto che avevo del materiale che mi convinceva, che poteva stare insieme ma che era su due piani molto diversi a livello sonoro. E che quindi un’idea poteva essere quella di fare un disco volutamente diviso in due, in modo da poter accontentare sia la mia parte più legata alle sonorità minimaliste e classiche, sia quella più pop e cresciuta con la cassa in quattro.
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C’è un featuring nel disco, quello con Marco Guazzone. Ce ne vuoi parlare?
Il featuring con Marco è su ‘Soul’. Non è la prima volta che collaboriamo, ci conosciamo ormai da più di dieci anni, abbiamo condiviso dei palchi e diversi anni fa lui mise le parole su un mio pezzo strumentale che poi abbiamo ri-registrato insieme riarrangiandolo e mettendoci il vocal. È un artista, autore e cantautore di cui ho molta stima, di cui mi piace il mondo sonoro e il modo di scrivere. Sapevo che ‘Soul’ (che era ancora senza un titolo) sarebbe stato il brano più pop e radiofonico del disco e sentivo che doveva essere un brano cantato. Mi trovavo un po’ in difficoltà con la stesura del testo, però, e quindi stavo valutando di tirar dentro qualche amico per una coscrittura. Avevo quindi pensato di chiedere a Marco per fare una seconda collaborazione e nel momento in cui ho pensato a lui ho realizzato che anche la parte vocale sarebbe stata ottima per la sua vocalità e quindi avrei potuto chiedergli di fare un featuring effettivo anziché solo una collaborazione sulla scrittura.
Uscendo da ‘Love, Death And Noise’, invece, e come curiosità conclusiva: lavori e hai lavorato con numerose e numerosi artiste e artisti, ci vuoi raccontare qualche aneddoto particolare? O rivelarci chi ti è entrato nel cuore?
Aneddoti e situazioni divertenti ce ne sono effettivamente parecchi, dall’aver imparato lo slang della gen Z da Ariete, alla sessione di tattoo collettiva dopo la finale del primo Sanremo di Olly o dall’aver potuto portare a casa mezza bottiglia di liquore ascolano da un ristorante dopo una cena post-evento con l’aiuto di Giorgia (non in modo illegale eh, sottolineiamo), ma probabilmente i lavori che mi sono rimasti più nel cuore sono stati la Notte della Taranta nel 2022, e il bel rapporto costruito con alcuni membri dell’orchestra in sette giorni di permanenza salentina fa sì che ancora adesso ci sentiamo, o cerchiamo di incontrarci quando qualcuno passa qui da Milano; e sicuramente Elisa. Grazie al lavoro fatto per il tour di An Intimate Night e soprattutto con il disco registrato agli Abbey Road e alla preparazione per l’evento natalizio live ad Assago nel 2023 si è creato un bellissimo rapporto con lei e la sua crew che continua assolutamente ancora oggi e sono certo rimarrà nel tempo.
13.07.2025