• VENERDì 12 DICEMBRE 2025
Interviste

ASCO racconta la musica sinfonica che incontra l’elettronica

Un viaggio e una chiacchierata nell'esperienza di Symphony of CAOS. Che fonde orchestra classica e musica elettronica, ridefinendo i confini della performance contemporanea

Foto: Wordsforyou Agency

Là, dove i confini tra generi si fanno sempre più labili e la sperimentazione diventa cifra stilistica, emerge un progetto che ridefinisce il concetto stesso di performance da club. Là dove la musica elettronica contemporanea percorre nuove vie c’è Symphony of CAOS, che rappresenta un’esperienza che trascende in facto le categorie tradizionali; un punto d’incontro tra mondi apparentemente inconciliabili; l’orchestra classica e la pulsazione della cassa in quattro quarti, la disciplina della sinfonica e l’energia primordiale del dancefloor. Trattasi di un’idea del dj ASCO, 131° nella nostra Top 100 DJ.

Quando si chiede ad ASCO di definire la natura del suo progetto, la risposta è chiara: “Symphony of CAOS è il mio modo di raccontare l’impatto emotivo della musica quando classico ed elettronico si incontrano. È un’esperienza dove orchestra, coro e cassa in quattro quarti diventano un’unica voce, capace di trasformare un club o un festival in uno spazio sinfonico“. È un’esperienza pensata per chi la vive, prosegue, “dove persone che non hanno mai ascoltato musica classica possono conoscerla ed apprezzarla sotto una veste nuova, mentre chi non conosce il mondo del clubbing si trova davanti a qualcosa di unico. È un linguaggio mai affrontato prima per un pubblico nuovo, curioso e sensibile”.

 

Il progetto si fonda su un dualismo che non è soltanto estetico, ma filosofico e performativo. Il caos e l’ordine non sono in contrapposizione, ma in dialogo costante, in una tensione creativa che diventa il cuore pulsante dello spettacolo. “Per me il caos è l’energia primordiale, l’istinto, la parte più sincera di quello che vivo. L’ordine è la forma, la disciplina, l’orchestra”, spiega. Questa dicotomia trova la sua espressione fisica nella performance stessa: “Nello show questo dualismo è espresso in modo molto chiaro: quando mi rivolgo all’orchestra per dirigere sono di spalle al pubblico, lì c’è solo armonia, solo ordine. Quando mi giro verso il pubblico è evidente che l’energia del drop sta arrivando, cambiano le regole, cambia l’atmosfera, esplode la cassa e diventa puro CAOS”.

La genesi di Symphony of CAOS affonda le sue radici in uno dei periodi più difficili per l’industria musicale globale. “È nata durante la pandemia, nel momento più difficile per noi dj. Dopo anni in cui stavo finalmente conquistando il mio spazio nella scena elettronica internazionale, tutto si è fermato”. In quel vuoto improvviso, dove i club erano chiusi e i festival cancellati, l’unico canale di comunicazione con il pubblico erano le dirette streaming. “In quel periodo il mio unico dialogo col pubblico erano le live stream, così ho cercato una chiave per rendere un dj set interessante anche a chi non era del settore. Ho iniziato a coinvolgere altre arti come danza, arte circense, musicisti dal vivo, performer. Così è nato il progetto CAOS, un formato capace di parlare a tutti, non solo al mondo club”.

La trasformazione definitiva avvenne quando la pandemia iniziò a mollare la presa sulla società. “Finita la pandemia, il sindaco della mia città, Ascoli Piceno, mi chiese un evento per celebrare il ritorno alla normalità. Decisi di trasformare quella visione in qualcosa di più grande”. L’ispirazione arrivò da un ricordo d’infanzia potente: “Ripensai a quando da bambino vidi Armin Van Buuren esibirsi con un’orchestra, lo considerai il punto più alto che potesse raggiungere un dj. Così ho deciso di provarci. Quella che sembrava un’utopia oggi è diventata Symphony of CAOS”.

 

Il salto di scala è arrivato con il Fabrique di Milano, un traguardo che si è trasformato in trampolino. “Per me il Fabrique era un punto di arrivo che poteva diventare un vero punto di partenza, ma non avrei mai immaginato sarebbe stata una svolta così grande”, confessa. “Inizialmente è stato difficile fare un salto così ambizioso ma la fiducia nel progetto ci hanno portato a crederci davvero. Nel giro di un mese è arrivato il sold-out e una serie di scelte che stanno delineando il percorso attuale del progetto, di cui sono orgogliosissimo”.

L’etichetta di primo dj orchestrale non è vissuta come un titolo onorifico, ma come una responsabilità artistica e culturale. “Significa aver aperto una strada nuova. Non è un titolo, è una responsabilità: dimostrare che la musica classica può vivere una vita nuova dentro al clubbing o ai festival moderni senza perdere la sua sacralità, e che l’elettronica può diventare un linguaggio emotivo, non solo funzionale”.

Il percorso che ha condotto a questa rivoluzione estetica è passato anche attraverso collaborazioni fondamentali con alcuni dei nomi più importanti della scena elettronica internazionale. “Ogni dj e produttore cresce ascoltando i propri idoli. Quando ho iniziato, per me uno dei più importanti era senza dubbio Sander Van Doorn. L’incontro con quella realtà fu mediato da figure chiave del settore: fu Leandro Da Silva a far ascoltare la mia musica a Jorn, il leggendario A&R di Spinnin, che girò subito una mia demo a Sander. Lui percepì immediatamente qualcosa di nuovo e di diverso, dandomi la possibilità da lì in poi di rilasciare la mia musica sulla sua DOORN Records e aprirmi al mondo dei grandi”.

 

 
 
 
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La collaborazione con i Blasterjaxx arrivò successivamente, quando il loro manager decise di seguire anche la sua carriera. Eppure, in una curiosa dialettica tra passato e presente, riflette su come quei traguardi un tempo considerati definitivi siano diventati quasi invisibili: “Quelle esperienze hanno aperto porte e definito la mia identità sonora, ma è incredibile pensare che ciò che per me era il traguardo più grande, oggi è quasi sconosciuto ai più, che vedono in me una figura completamente a sé, lontana da quel mondo e paradossalmente anche dal clubbing tradizionale”.

L’intenzione artistica che muove ogni performance è chiara e ambiziosa: “Voglio riuscire a trasmettere le mie emozioni, il caos che ho dentro, qualcosa che va ben oltre ciò che puoi vedere da un reel scrollando un social da casa o sentendo quella stessa musica in macchina. Voglio che il pubblico senta di far parte di qualcosa di più grande, che si lasci attraversare senza filtri. Che torni a casa con un’emozione nuova, qualcosa da raccontare come incredibile, unico, mai provato prima”.

Il futuro del progetto si delinea nella direzione di una continua evoluzione sonora, dove classico e moderno non sono più due mondi separati ma linguaggi complementari di un’unica narrazione. Alla domanda su come si stia evolvendo il suo suono in vista dei festival internazionali, la risposta è un manifesto programmatico: “Sto portando la parte sinfonica verso una dimensione sempre più epica e cinematica, e quella elettronica verso un’impronta più techno, più diretta, a volte più dura, altre più sperimentale. Voglio che il mio suono viva su palchi enormi mantenendo la stessa intensità emotiva. Non cerco di adattarmi ai festival: cerco di portarci un mondo nuovo”.

 

 

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Riccardo Sada
Riccardo Sada
Distratto o forse ammaliato dalla sua primogenita, attratto da tutto ciò che è trance e nu disco, electro e progressive house, lo trovate spesso in qualche studio di registrazione, a volte in qualche rave, raramente nei localoni o a qualche party sulle spiagge di Tel Aviv.
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