Foto: Olav Stubberud
Fred again.., Skrillex, Four Tet. Tale Of Us, Anyma, tutta la corrente melodia techno. Il singolo di Zef e Marz di cui abbiamo parlato qualche settimana fa. Il successo internazionale di artisti come Eliza Rose (e del suo produttore Interplanetary Criminal), Pinkpantheress, di Joy Orbison rifiorito alla grande negli ultimi due anni, degli Overmono, dei Bicep, e quello undergound di tutto un sottobosco di personaggi come Nikki Nair, Borai, Denham Audio. I segnali sono chiari: il suono degli anni ’90 è tornato prepotentemente di moda. E non è una novità: sul fronte mainstream le cose girano così già da un pezzo – basti pensare a tutto il revival e i ripescaggi e saccheggi che riempiono radio e classifiche, remake di David Guetta in primis, tanto che avevamo ironicamente pensato di suggerirne altri papabili, cosa che poi è puntualmente capitata davvero con ‘What Is Love’ di Haddaway.
Ma questa volta ad essere riprese sono le correnti più intriganti di quel decennio davvero epico per la musica elettronica. Il suono trance e progressive migliore, quello che riusciva a pompare e a far emozionare con costruzioni lunghe, dilatate, senza giocare facile sui drop uplifting; tutta la galassia dei suoni UK, dall’hardcore dei primi ’90 alla garage della seconda parte del decennio e ancora al 2 step di fine millennio; i synth spigolosi e nevrotici, gli stab di piano, le voci pitchate. In una parola: RAVE. Una parola che è tornata assolutamente al centro di tutto lo scenario della dance “interessante”, di quei suoni e di quelli stili che stanno raccontando qualcosa di intrigante in un panorama ormai difficile da decifrare.
Da un lato abbiamo tutta quella techno che da scura e minimale si è via via fatta più melodica, accessibile, talvolta davvero pop (pensiamo alle ultime produzioni firmate Anyma o a Ben Böhmer per fare un paio di esempi eclatanti): una novità per i ventenni, ma nulla più che un recupero, spesso piuttosto pedissequo e manierista, della miglior trance e della progressive che negli anni ’90 era riuscita a farsi largo e a diventare popolare, radiofonica. Se ci sono nomi di assoluto pregio che hanno cambiato il corso della dance nel corso delle ultime stagioni (i già citati Anyma e ovviamente Tale Of Us, Ben Böhmer, Enrico Sangiuliano che in questi giorni festeggia i cinque anni dall’uscita del suo album game-changer, ‘Biomorph’) proprio riportando la “fu” trance su binari freschi e attualissimi, il rovescio della medaglia sono le migliaia di produzioni scopiazzate che male assemblano le idee valide e originali di quelli bravi. Storia vecchia, per carità, sappiamo benissimo come girano le cose, a maggior ragione in un settore dove la produzione dei brani è veloce, funzionale per definizione e dove l’idea geniale di pochi viene ripresa da molti che ci provano.
E questo vale anche per gli altri trend del momento: il sound UK di Fred again.. è stato immediatamente imitato da molti, con la rapidità con cui i marchi fast fashion portano in negozio la copia carbone delle collezioni dell’alta moda. Uno stile certamente originale, che tuttavia affonda le sue radici e i suoi riferimenti in tantissima musica degli anni ’90, quella britannica dei rave e di una stagione felicissima del suono da club. Non è un caso che ultimamente i suoi compagni di merende siano Four Tet – uno che quel suono l’ha preso fin dai primi giorni della sua carriera e l’ha riarrangiato in ogni sfaccettatura possibile – e Skrillex, che pur essendo americano deve molto alle interpretazioni made in UK della musica da ballo: senza il dubstep bristoliano la sua carriera non sarebbe probabilmente mai cominciata. E oggi sembra aver fatto il giro, con due album in cui omaggia chiaramente tutte le suggestione sonore che lo hanno ispirato da questa parte dell’oceano e insieme ai Fred again.. e Four Tet con cui sta dividendo consolle e produzioni. Produzioni che sono state sicuramente reference importanti anche per diversi artisti italiani che ne hanno fatto tesoro: su tutti i già citati Zef e Marz che nel debutto del loro progetto da “frontmen” hanno pescato a piene mani da quelle suggestioni, cucendoci su un abito sartoriale squisitamente pop.
Un discorso che può proseguire con tantissima musica tornata cool nel giro di poco: lo UK garage veloce e nevrotico, la drum’n’bass che fino a qualche tempo fa era assolutamente e irrimediabilmente fuori moda e oggi sembra vivere una nuova primavera; certa house ripresa e dopata, come dimostrano producer come Mau P.
Insomma, la musica è fatta di cicli e ricicli, corsi e ricorsi storici. La dance non fa eccezione; parliamo di generi che hanno 30 anni sulle spalle, di esperimenti pionieristici senza rete e talvolta ingenui ma assolutamente rivoluzionari, all’epoca, e che quella scintilla di innovazione hanno conservato anche oggi che sono la spia dorsale di nuovi generi che da lì partono, quindi una sorta di reboot, di restyle, di revival messo a fuoco con caratteristiche nuove. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, e se il post-modernismo in musica era l’epoca dei campionamenti, il post-post-modernismo è il recupero più o meno abile, sincero, pedissequo o al contrario originale e ispirato della dance di 20, 30 anni fa.
21.06.2023