Nella storia dell’arte di ogni tempo – ma soprattutto in quella contemporanea -, per capire in profondità un artista e non rischiare di cadere in un’interpretazione superficiale, fuorviante o totalmente sballata occorre eseguire un ragionamento che parta da due punti fondamentali: calare l’opera d’arte nel contesto geografico e storico in cui è stata creata e cercare di ricostruire le relazioni, personali e artistiche, che l’autore ha intessuto in quel preciso periodo. Quando, al giorno d’oggi, ci è richiesto di dare un giudizio su un prodotto musicale di qualsiasi genere, è bene ricordarsi di fare la stessa cosa. “Embrace”, il sesto studio-album di Armin van Buuren, necessita proprio di questo approccio open-minded in quanto, come ogni scelta musicalmente coraggiosa, presenta un intrinseco e reale rischio di non essere recepita nel modo in cui è stata pensata. Il dichiarato intento di van Buuren era quello di “abbracciare diversi suoni e strumenti e incorporarli all’interno del mio personale suono”, e così è stato: l’album si presenta come un caleidoscopio di sonorità, strumenti, generi e approcci molto differenti tra loro che, tuttavia, sono tenuti assieme da una sapienza compositiva e da una sensibilità che permette a quasi tutti i tasselli di combaciare. Si passa dalla mutante uplifting della title-track ‘Embrace’ al super-pop di ‘Another You’, dalla vocal-progressive di ‘Face Of Summer’ alla rimbalzante big room di ‘Off The Hook’ scritta in collaborazione con un certo Hardwell.
Ciò che appare subito chiaro è che “Embrace” rappresenta la naturale prosecuzione dell’indagine musicale iniziata con “Intense”. Un progetto ambizioso e non a rischio zero: l’album non farà pienamente contenti né i fan più integralisti della trance né quelli abituati a sentire l’Armin più “pop” e easy. Ma è proprio questo il concetto che il quarto Dj al mondo ha più volte ribadito: andare oltre le proprie barriere, cercare quel “quid” capace di rendere il lavoro in studio ancora elettrizzante dopo così tanti anni passati davanti al mixer. La caratteristica che più stupisce e rapisce di “Embrace” è l’accostamento di solidi strumenti analogici – pianoforte, batteria, chitarra, basso, fiati, ottoni e, ovviamente, azzeccati vocal – con VST e plug-in virtuali tipici dell’approccio più “nerd” alla produzione. Un accostamento, questo, sottolineato e strutturato con una sapiente dialettica – e qui si sente l’esperienza dell’olandese e dei musicisti con cui ha collaborato – capace di far dialogare questi due mondi lasciando loro il tempo sia per esprimersi singolarmente che per unirsi in un connubio emozionale che, quasi sempre, riesce a esaltare l’ascoltatore. Un album, questo, che farà molto discutere e storcere il naso a molti ma che, se tenuto debito conto della costante evoluzione della parabola artistica di chi l’ha concepito, potrebbe non apparire così fuori luogo come sembra al primo ascolto. D’altronde, un certo Tim Bergling non ha fatto una cosa simile in questi ultimi anni?

29.10.2015