Guelfi e ghibellini. Bianchi e neri. Buoni e cattivi. Se c’è un meccanismo che i social e i tempi dell’opinionismo gratuito, da tastiera, hanno esacerbato, è proprio l’esercizio della tifoseria. Ogni fatto diventa invariabilmente pretesto per dividere le fazioni, anche quando andrebbe semmai fatto un ragionamento più ampio, proprio perché sono le terre di mezzo, le zone grigie a fornire un quadro completo e spesso soluzioni alle dispute. Naturalmente, il fatto che questa estate i club siano ancora chiusi – perlomeno ufficialmente, poi ci arriviamo – e che ciò abbia generato un esagerato abusivismo di serate, è il pretesto perfetto per acuire le posizioni di chi vorrebbe riaprire tutto e di chi invece mantiene posizioni di prudenza e di rispetto delle regole imposte.
A complicare il quadro – anzi, a ben guardare, a fare chiarezza sul quadro – ci si sono messi il concerto di Salmo e il rave di Viterbo. I fatti sono noti: il rapper ha messo in atto un concerto-guerrilla a sorpresa nel centro di Olbia, la sua città, annunciato sui social poche ore prima che accadesse, e che ha radunato diverse migliaia di spettatori sotto il palco senza alcun rispetto delle norme vigenti: no mascherine, no tamponi, no green pass. Suscitando reazioni molto divise e polarizzate: secondo qualcuno ha fatto bene, perché siamo stufi di vedere il mondo dei concerti castrato dai distanziamenti, quando poi dagli chalet a mare alle piazze, gli assembramenti sono all’ordine del giorno. Salmo, dal canto suo, ha dichiarato che quelle migliaia di persone sarebbero comunque state nel corso centrale di Olbia quella sera, anche senza un concerto di un artista famoso, senza limitazioni sanitarie di alcun tipo. In concreto, l’idea di Salmo sarebbe stata quella di dimostrare che un concerto vissuto senza condizioni di emergenza è possibile, non è fonte di focoali e non è meno dannoso di tante altre abitudini che ci vengono invece concesse senza troppi problemi. Tutto ciò non è bastato, ovviamente, a far riflettere chi pensa che Salmo sia stato uno sconsiderato; non è stato sufficiente, in molti casi, a far pensare che l’idea e le motivazioni di Salmo siano comunque scricchiolanti per chi d’altro lato ha visto nella forzatura del cantante un gesto del tutto sensato.

Poi, c’è il rave di Viterbo, un assembramento del tutto abusivo, su un terreno privato, dove circa 10mila persone (ma chi c’è stato dice molte meno) si sono radunate in un’area abbandonata con roulotte, viveri, soundsystem, accampanodosi per diversi giorni suonando e ballando. Il caso ha fatto il giro dei media, un boccone troppo ghiotto per non diventare l’esca acchiappa-click di testate giornalistiche che, salvo qualche eccezione di cui abbiamo visto video di inviati ufficiali o articoli di giornalisti effettivamente presenti, non sono nemmeno andate sul posto ma hanno copiato e incollato notizie senza alcuna fonte verificata, per cui si è sparso un tam tam distorto e si è parlato per giorni di due morti (quando c’è stato un solo decesso nei giorni del rave, e comunque sì, un decesso è già uno di troppo), di bimbi partoriti sotto cassa, stupri, cani uccisi dal caldo e dall’incuria dei padroni, e altre nefandezze che andrebbero confermate da testimonianze dirette (ci sono state varie voci di smentita su tanti, troppi aspetti dell’evento). In ogni caso, sensazionalismo mediatico a parte, è chiaro che la situazione di Viterbo non è paragonabile a quella di Olbia, e che un evento del genere, con migliaia di persone assembrate fuori da un contesto civile e senza alcun tipo di controllo, rischia di diventare un contesto molto pericoloso, sia a livello puramente epidemiologico sia a livello di percezione mediatica. Perché se è vero che la galassia rave fa sempre comunque parte della cultura dei club e della musica da ballare, è altrettanto vero che da almeno dieci, quindici anni è un comparto che ha preso una sua strada, molto distante da quella del circuito dei club, anche da quelli più strettamente underground. Il mondo dei rave, dei teknival, dei free party si è costruito una sua direzione e una sua etica, al di fuori delle dinamiche del clubbing e spesso in aperta sfida con esse, e con quell’altra faccia della medaglia ormai codificata, regolamentata, che viaggia sui binari di economie ricche, sicure, sulle prevendite, sui tavoli, sulle liste e sulle collaborazioni con il mondo dei brand e della finanza.
Ma proprio il mondo del clubbing “ufficiale” è il terzo attore su cui si è accesa e scatenata la discussione durante l’estate. I club dovrebbero essere chiusi, ma sono in larga parte aperti, e senza nemmeno nascondersi dietro il proverbiale dito; anzi abbiamo visto flyer e promozione social di moltissimi locali in tutta Italia, possiamo citare posti come Praja, Musica Riccione, Villa Delle Rose per fare qualche nome eccellente. Si fanno serate, con un certo permissivismo delle autorità preposte, che devono aver pensato che è meglio avere tante persone in luoghi sicuri che alle feste abusive. E non hanno tutti i torti: abbiamo visto le piazze piene in occasione degli Europei di calcio, e da lì in poi, con l’arrivo della bella stagione, piazze e luoghi di socialità non si sono mai svuotati. I ristoranti sono tornati a lavoare a pieno regime e così i bar. Senza contare poi tutto l’universo di locali da spiaggia che hanno potuto beneficiare di una burocrazia favorevole per dotarsi di impianti e dj e prendere così il posto dei club, che invece sono rimasti l’unico comparto del settore dell’intrattenimento a restare chiuso ancora per tutta l’estate 2021.

In tutti i casi, abbiamo visto una forzatura delle regole. Ma tutti i casi sono diversi tra loro, per natura dei locali, delle dinamiche, dei rischi. Eppure, mediaticamente abbiamo la percezione che tutto questo sia visto come un grande blocco unico, come il cattivo maestro mondo della Notte, della musica, che agli occhi dell’opinione pubblica del nostro Paese deve sempre essere raccontato come piratesco, come quel mondo di mezzo che aggira o infrange le regole. La realtà delle cose è invece diversa. Andrebbero fatti dei distinguo e andrebbe contestualizzato il rave di Viterbo così come il provocatorio concerto di Salmo così come la realtà dei club. Il primo è un evento autoprodotto e autogestito, che sarebbe stato illegale anche in tempi meno sclerotizzati di questo: i rave e i free party si organizzano e si frequentano proprio per porsi al di fuori di un sistema, nel bene e nel male, è una bolla che vive in paralleo con quella che chiamiamo “società”. Il concerto di Salmo è stato sicuramente messo in atto con modi e con un’attenzione alla sicurezza discutibili, ma alla luce dei fatti non ha causato focolai rilevanti e ha dimostrato che prima o poi è necessario affrontare il problema delle riaperture, e anche se siamo spaventati e prudenti prima o poi dovremo lasciarci alle spalle i timori. Che in fondo è lo stesso principio che anima i gestori dei club che hanno deciso di aprire in queste settimane, con un rischio calcolato in quanto a contagi ma anche in quanto a portafogli: essere multati e chiudere per cinque giorni durante la settimana è una sanzione sopportabile. Semmai la grande differenza da sottolineare è che Salmo ha messo in piedi un evento gratuito per il gusto della sfida, i club sono mossi da ragioni più schiettamente (e comprensibilmente, visto che esistono costi fissi e variabili da pagare) economiche. In entrambi i casi, siamo tutti consapevoli che un anno fa sarebbe stato molto più rischioso trovarsi davanti a situazioni del genere, e infatti se le discoteche oggi sono ancora – almeno teoricamente – chiuse è anche per la scellerata riapertura della scorsa estate. Scellerata dal punto di vista politico, perché i permessi sono stati concessi mentre il Paese era ancora alle prese con un rischio alto di ritorno dei contagi e a livello psicologico tutti eravamo molto più spaventati e nervosi. Oggi abbiamo maggiore consapevolezza nell’affrontare questa situazione e ci sono quattro vaccini a disposizione di chi vuole vaccinarsi (e in italia ben più della metà della popolazione è vaccinata, ad oggi). Gettando uno sguardo a diversi Paesi europei, dev’essere proprio questo pensiero ad aver spinto a riaperture prima caute e poi praticamente in regime di normalità, visto che nelle ultime settimane si sono svolti festival come Creamfields e All Points East UK in Inghilterra, e ancora grandi eventi in Francia, in Belgio, in Germania e in tanti Paesi balcanici e dell’Europa orientale, lasciandoci davvero scornati e amareggiati quando vediamo quegli spettacoli sui social.
Che fare, quindi? Come dicevamo in apertura, il dialogo e la varietà di voci possono portare a soluzioni ragionevoli, che non siano dettate dalla rabbia per il tempo e il lavoro perduto né dai timori diventati paura della socialità. Siamo consapevoli che una piccola percentuale di rischio esisterà ancora per un po’, ma dobbiamo farci coraggio e affrontare la situazione. Un esempio illuminante in questo senso è quello di Cosmo, che ha annunciato due date a inizio ottobre, a Bologna, al chiuso, senza distanziamento, e con l’ingresso riservato a chi ha un green pass o un tampone negativo. Al momento la sua idea è sensata ma è teoricamente ancora non avallata dalle contingenze politiche e burocratiche. E si ritorna sempre qui: non è possibile che il mondo istituzionale non abbia ancora trovato una soluzione perché club e locali possano riaprire. E fa impressione leggere le dichiarazioni del sottosegretario al ministero della Salute Andrea Costa che ammette lo sbaglio nel non aver riaperto le discoteche. Perché più che una consolazione è una presa in giro: siete voi il potere, potete farlo.
31.08.2021