“Allora gli anni ’80 sono finiti, sono stati noiosi come i loro miti”. Mi piace iniziare gli articoli con delle citazioni, quando possono contenere buona parte dei concetti che vorrei esprimere nelle righe seguenti. In questo caso, i versi sono di Daniele Silvestri, in particolare del primo singolo suo a girare in radio e in TV, ‘Voglia Di Gridare’, datato 1994. Se i miti degli anni ’80 sono stati noiosi, figuriamoci quelli degli anni ’10, che sono finiti sì un paio d’anni fa, ma che in questa situazione di congelamento di tutto, di stasi e incertezza diffuse, si stanno trascinando stancamente anche in questo primo scampolo del nuovo decennio. Ed ecco allora cosa ci piacerebbe ricevere in dono dal 2022: l’arrivo degli anni ’20. Un’aria nuova, fresca, nuove tendenze, soprattutto una nuova mentalità e un nuovo umore generale, un sentimento popolare (citiamo anche Battiato, va’, che non fa mai male) condiviso, comune.
Se c’è qualcosa che la pandemia e tutte le sue limitazioni hanno esacerbato, è l’individualismo, l’egoismo sfrenato dell’ultimo decennio. L’ascesa dei social ha portato a un cambiamento di rotta di quello strumento meraviglioso che è la Rete, dando spazio a una schiera di poveracci malati di vanità che come un cancro ha compromesso l’approccio di tutti noi (o quasi, beato chi è riuscito a tenersene fuori) alla vetrina pubblica, con buona pace della paradossale tutela della privacy che ci obbliga a flaggare ogni pagina web (a proposito, avete notato che spuntare le preferenze su cookies e privacy è diventato un lavoro a tempo pieno? Quante ore al giorno ci perdiamo?) e della riservatezza delle nostre vite che invece abbiamo volontariamente regalato ad aziende e curiosi in cambio di endorfine da like. Ci siamo cascati. Tutti. Anche i dj. Anche i producer. Questo nostro meraviglioso mondo che per lungo tempo è stato una bolla – per usare un termine molto anni ’10 – felice, orgogliosamente diversa, alterantiva, si è scoperto più conservatore che mai, e anzi, spesso, molto più banale e “normale” di tante altre bolle.
Diplo è il prototipo del superstar dj anni ’10: pop, underground, hitmaker, star dei social. Con qualche nota alta…
Il divismo, l’industrializzazione, la mainstreamizzazione della dance sono state una conquista ma anche un processo di deterioramento di quella unicità che distingueva i dj dalle popstar. Quasi due anni di stop hanno portato molti oltre il limite dell’esasperazione, e se lamentarsi ed esprimere frustrazione è legittimo, per le preoccupazioni, la precarietà, l’assenza di una routine non soltanto economica ma anche psicologica e di rapporti umani, vederlo fare da chi non ha mai smesso di sbocciare o di sbattere in faccia al mondo una vita da jet privato, fa ridere, per non dire di peggio. Per carità, nessun moralismo; è solo una questione di buon gusto, e di buon senso. Se mi lamento con gli amici al bar perché sono al verde ma poi offro da bere a tutti, quantomeno sono ridicolo. Oppure sono in malafede, e non la conto giusta. Ma questo momento, che si diceva essere una grandissima opportunità per riprendere fiato, contatto con la realtà, e riflettere, è stato in parte un’opportunità colta – e questo va riconosciuto a chi si è prodigato per trovare vie alternative, a chi ha provato a intavolare discorsi seri con le istituzioni, a chi ha rispettato divieti e norme anche quando sono diventati paradossali, a chi è tornato a gestire club e serate con uno spirito decisamente più sostenibile, e ne ha giovato morale e pubblico -, ma in tanti altri contesti è stato solo l’occasione perfetta per mettere in scena il più classico dei chiagne e fotte all’italiana, le speculazioni a base di cavilli legali e di ribellione a misura di portafogli.
E allora, negli anni ’20 ci piacerebbe vedere meno dj che si sparano le pose sui social, meno esibizionismo, meno smarchettate, e più musica, più sincera passione, più sincerità, per quanto possa sembrare retorica detta così. Qualcuno già dice che se i social network sono stati il grande botto del decennio passato, capaci di influenzare anche la politica e la realtà tutta, sono un fenomeno già in fase calante. Chissà. E chissà se davvero lasceranno il posto a un’epoca meno stressante e meno bugiarda, oppure se questo processo accelererà ulteriormente, tra metaverso, NTF, criptovalute e tutto il virtuale che ci fluttuerà intorno.

Tomorrowland è il festival più significativo del decennio passato: enorme, trasversale, colorato, adatto a un pubblico ampio come non mai
Ma gli anni ’10 non sono stati soltanto noiosi o portatori di bruttezza; tutt’altro. Siamo sinceri: sono stati un viaggio in cui ci siamo divertiti, tanto. Sono stati un momento storico esagerato per la dance e per tutto ciò che ruotava intorno ai dj. Nel 2010 eravamo un settore marginale del music business. Nel 2019 i festival, i grandi palchi, le grandi hit, i grandi nomi dello stardom musicale parlavano spessissimo la lingua della cassa in quattro. La dance culture è diventata gigantesca, più che negli anni ’90, in cui era qualcosa di enorme ma comunque confinato nell’ambito degli appassionati. Ora, no. È stata il grande trend di buona parte del decennio e i dj oggi non solo guadagnano delle fortune, ma sono a tutti gli effetti dei volti noti. Se proprio vogliamo fare un buon proposito per il 2022 (e per i ’20) è quello di gestire con maggiore parsimonia questo grandissimo capitale (non soltanto economico, beninteso) accumulatosi durante i dieci anni passati.
Gli anni ’10 sono stati una grande cavalcata, con momenti splendidi, controversie, detrattori e fan, per e contro chiunque. Ne abbiamo avute davvero per tutti i gusti. Poi la fuoriserie lanciata a tremila all’ora ha dovuto tirare il freno a mano, per forza di cose. Non è dipeso da nessuno. La macchina non si è ribaltata. Si è solo fermata, con il motore acceso. È ripartita più lenta, un po’ usurata, ma è sempre in carreggiata. Sarebbe bellissimo e sano, parecchio sano, se gli anni ’20 fossero quelli in cui senza pensare di rallentare, ci godremo una giusta velocità di crociera. Al netto di tutto il bene e il male che abbiamo detto in queste righe, chiudiamo sottolineando un concetto che non vorremmo vi fosse sfuggito e su cui non vorremmo essere fraintesi: amiamo la club culture, amiamo i dj, i club, i festival, l’emozione di una traccia sconosciuta suonata alle 5 di mattina in un posto buio e con cento persone sotto cassa e quella di un inno che tutti cantano a squarciagola nel mainstage di un grande evento. E vogliamo, fortissimamente vogliamo, ricominciare a vivere queste emozioni. Tutte.
06.01.2022