X.Lee, Radiomancer
Foto: Andrea Avezzù
Prima regola del bravo giornalista: non prenderla sul personale. Tradotto: non usare la prima persona se non è strettamente necessario. E soprattutto – questa è anche la grande missione da porsi se si fa questo mestiere – non dare la propria opinione come fosse una verità, ma cercare di dare a chi legge gli strumenti per farsi la propria, di opinione. Oggi, forse, non sarò un bravo giornalista, perché dichiaro subito che la prendo sul personale e quindi parlerò in prima persona e vi darò un’opinione strettamente, squisitamente mia. Però, è inevitabile, visto che vado raccontando un’esperienza vissuta in prima persona e in modo sorprendente.
Innanzitutto, a sorprendermi è stato l’invito della Biennale Musica, istituzione importante e autorevole, parte della Biennale di Venezia, una tra le più importanti manifestazioni artistiche del mondo. Non è la prima volta che la Biennale invita DJ MAG Italia alle sue mostre e concerti, ed è sempre un piacere ricevere inviti così altolocati e prestigiosi. Ma questa volta l’invito è stato seguito da una volontà precisa di averci lì, ed esserci è stato speciale. Perché mi sono sentito come in un club, anche se eravamo in un teatro (quel gioiellino del Piccolo Arsenale, un luogo magico circondato da una zona magica di una città magica, per cui uscire alle undici di sera in una domenica di pioggia per tornare in albergo diventa una situazione da film, o da avventura di Corto Maltese, tra le brume dei vicoli e il silenzio delle calli da cui trapelano pezzi di dialoghi di chi vive lì sopra). E sembrava di stare in uno di quei club d’avanguardia, dove la musica è libera e gioiosa sperimentazione. Ma facciamo un passo indietro, non voglio confondervi e mettere il carro davanti ai buoi.

Agita Reke, B-Network
Foto: Andrea Avezzù
L’occasione è la serata di chiusura della rassegna Solo Voice, curata dalla compositrice Lucia Ronchetti, con le performance di Agita Reke, Daniele Carcassi e X.Lee, tre artisti selezionati da Biennale Musica College che hanno sviluppato il tema della manifestazione (la voce, appunto) declinandola verso una direzione elettronica e sperimentale. Proprio Lucia Ronchetti ci spiega che “X.Lee, Daniele Carcassi e Agita Reke, sono tre giovani compositori-performer attivi in Europa e in America, capaci di esprimersi attraverso performance, sound installation, progetti multimedia e diversi generi compositivi. Hanno presentato dei progetti che uniscono tecniche della scena elettronica con trattamenti live electronics dedicati alla voce. I tre giovani artisti hanno lavorato nello studio CIMM di Mestre Bissuola sotto la guida dei tutor del College Musica, in particolare con Gugliemo Bottin e Bob Benozzo (e a distanza Jennifer Walshe e Thierry Coduys), registrando diversi file audio con Andreas Fischer, basso dei Neue Vocalsolisten Stuttgart. Lo staff tecnico e organizzativo della Biennale li ha sostenuti nella loro ricerca e nei loro esperimenti per un lungo periodo formativo che è cominciato ad aprile 2021 e si è concluso con il loro concerto conclusivo del 26 settembre”. Una versione molto elegante che io sporcherò tradendo un lato emotivo che mi ha investito e colpito, perché i tre show sono stati davvero potenti e originali.
Il primo a salire sul palco è stato Daniele Carcassi, con la performance ZERO dove giradischi, sintetizzatore, field recording e rielaborazione dei materiali in tempo reale sono stati la coperta che ci ha avvolto, l’abbraccio musicale che ci ha fatto entrare in una dimensione astratta rispetto alle coordinate spazio-temporali. Non esagero. Merito anche di un allestimento curatissimo da un punto di vista sonoro (l’impianto e la sua resa erano eccellenti) e di visual e light design, vero elemento capace di fare la differenza fornendo alle performance ulteriore forza e completezza anche concettuale. “L’esperienza all’interno della Biennale College Musica è stata interessante e stimolante. La mia performance ZERO, eseguita in prima assoluta, è stata preparata durante tre settimane, disposte tra luglio-agosto-settembre” ci racconta Carcassi. “Credo che la musica sia costantemente influenzata dalle esperienze che la circondano, e anche in questo caso l’ambiente della Biennale e la città di Venezia hanno contribuito fino all’ultimo momento al risultato finale della mia performance. Questa infatti, sebbene fosse stata strutturata per seguire una narrativa ben precisa, aveva al suo interno lo spazio per improvvisare liberamente con il sintetizzatore e il giradischi, e la flessibilità di poter giocare con i materiali sonori ed i colori presenti all’interno degli ambienti ricreati. Un’esperienza che si ritroverà anche nei miei prossimi lavori musicali” ci spiega.
Dopo di lui, tocca alla lettone Agita Reke esibirsi in un act (il titolo è B-NETWORK) che parte dalla voce, campionata in diretta, e alle evoluzioni che seguono questo suggestivo punto di partenza, un grande viaggio che come spesso succede, parte da un piccolo inizio, da un solo semplice elemento. Anche qui le luci giocano un ruolo fondamentale, disegnando cerchi e spazi che ci fanno sentire, come prima, abbracciati, “dentro” un ideale luogo della percezione, seppure in modo differente dalla precedente performance. “La mia idea principale era quella di creare una performance che parlasse di connessione tra corpo, emozioni, e che fosse allo stesso tempo molto astratta, fuori da un’esperienza corporea e quasi onirica. E sono anche molto felice di portare in scena la mia musica, perché il mio background è quello di una compositrice, e questo di solito significa non avere pieno controllo su ciò che avviene sul palco. Essere invece una performer mi permette di giocare con il tempo, con la struttura in modo diretto, e ciò include anche delle piccole improvvisazioni live. Ho avuto un’ottima sensazione durante il concerto, il light design e il suono sono stati fondamentali per rendere più intensa la mia storia e per condividerla con gli spettatori. Posso dire che è stato come un sogno diventato realtà, e sono molto grata per questo”. Queste le parole di Reke, bravissima nel raccontarci le sue sensazioni rispetto a un live che si ha sospesi e immersi in una dimensione decisamente unica.

Daniele Carcassi, Zero
Foto: Andrea Avezzù
A chiudere la serata, X.Lee, artista residente a Los Angeles. Ed è la scelta perfetta per chiudere la serata, iniziata in maniera piuttosto energica, proseguita in modo etereo e quindi conclusa con una performance ad altissimo impatto sonoro. X.Lee mostra i muscoli e porta in scena rave, noise, post-industrial, e una scarica di bassi che ci riportano a mondi vicini al nostro: techno, trap, brostep. Naturalmente in una soluzione tutt’altro che mainstream, ma l’effetto combinato con il solito, splendido light design era davvero mozzafiato. Così ce lo descive X.Lee: “Ho vissuto una grande esperienza alla Biennale. Mi ha dato l’opportunità e le risorse di esplorare e sviluppare appieno il mio progetto, focalizzato sull’idea di prendere le tecniche del turntablism originale, influenzate dall’hip hop, dalla jungle, e dalla storia della techno, e applicarle al territorio della musica contemporanea sperimentale attraverso il mio pezzo RADIOMANCER. Una performance che ho costruito utilizzando Serato con il controller via vinile per manipolare segnali radio e field recording di onde elettromagnetiche. Forse il nostro concerto può essere stato poco tradizionale rispetto agli altri proposti dalla Biennale quest’anno, ma penso sia stato eccitante vedere gli stili di diversi performer e gli approcci differenti di ciascuno di noi con i nostri suoni, influenze e visioni”.
Poco più di un’ora di concerto. Circa venti minuti per ogni artista. In un teatro. Seduti. Distanziati. Eppure, è la sensazione più vicina a quella di una serata in un club che abbia vissuto nell’ultimo anno e mezzo. E non soltanto perché i club sono chiusi. Ma perché anche in tempi non viziati dalle limitazioni che abbiamo vissuto, una serata come questa sarebbe stata speciale. Sarebbe stata l’ideale prosecuzione del discorso culturale che nasce nei club e allo stesso tempo negli ambienti artistici alti. Teoria e pratica. Innovazione, sperimentazione, ma senza polverose sensazioni di accademia, di esercizio di stile fine a se stesso, di intellettualismo sterile. Al contario, la vivissima trasformazione della musica, attraverso tre artisti giovani, vogliosi di esplorare ma anche consapevoli di ciò che stanno portando in scena e del patrimonio da cui attingono. Merito loro se la Biennale Musica mi ha dato davvero l’impressione di stare tra le mura di un club d’avanguardia, e insieme a una manifestazione culturale. Così come è merito del CIMM (tra i curatori una menzione d’obbligo va a Bottin). E merito di Lucia Ronchetti, curatrice di Solo Voice. Che conclude: “la loro capacità di relazionarsi con il pubblico, di entrare in dialogo con gli altri artisti presenti al festival e soprattutto di discutere e confrontare le loro idee progettuali, li ha portati a diventare uno straordinario e inedito team, che presenta estetiche e intenzioni espressive molto diverse, realizzabili dallo stesso tavolo operativo, dove le loro esperienze formative si sono incrociate in un fertile e metamorfica terreno tecnico. La sobrietà intensa della lettone Agita Reke, la creatività vulcanica e sorprendente del fiorentino Daniele Carcassi e la radicalità del sino-americano X.Lee sono diventati un evento unico, un viaggio nel suono vocale che la nuova generazione di compositori presenta come una caverna profonda, e magica, piena di ricordi di un mondo narrativo, lineare e decodificabile ormai tramontato, ma gravido di nuove espressioni verbali e nuovi linguaggi che sembrano universali.
Non possiamo che concordare. E sperare di vedere tante altre performance come queste.
13.10.2021