Ieri Avicii ha compiuto 30 anni. È complicato usare il condizionale, nonostante una corretta grammatica imponga l’uso del tempo verbale utile per indicare un evento che esiste solo in presenza di una determinata condizione. La vita, in questo caso. Nella sua funzione modale, il condizionale esprime anche una forma di insicurezza. Sottolinea cioè la situazione che avrebbe senso soltanto in un certo stato delle cose. “Senza te morirei”. “I would die without you”. Già, without you. Sono passati diciassette mesi dalla tragica morte dell’artista svedese, ancora protagonista di un movimento che corre così veloce da metabolizzare il lutto in un weekend. The show must go on. Tra l’apparente superficialità del mondo che continua a rappresentare e la profondità della sua storia personale, non mancano gli sforzi felici per dimostrare di saper trovare uno spazio consono per una seria riflessione. L’International Music Summit di Ibiza, uno dei principali momenti di aggregazione e valutazione, ha dedicato ampie pagine della conferenza ad Avicii, con approfondimenti sui problemi di natura psicologica e mentale che hanno cominciato ad affliggere anche la musica elettronica, un nuovo continente con le dinamiche sempre più al limite, che rischiano di risucchiare verso il basso i più deboli. La Tim Bergling Foundation, fortemente voluta dalla famiglia di Avicii, ha organizzato un concerto tributo per ricordare il figlio, il prossimo 5 dicembre alla Friends Arena di Stoccolma. I biglietti sono andati a ruba. Inoltre, le citazioni dei colleghi durante serate e festival si susseguono senza sosta. È difficile fermare tutto questo quando di mezzo c’è la musica, arte senza tempo, immortale, capace come nessuna di cogliere, interpretare e predire emozioni e stati d’animo. La discografia di Avicii è piena di riferimenti che vanno in questa direzione.
Avicii è nato nel 1989, alla fine della Second Summer Of Love, quella dei rave e dell’acid house, poco prima della caduta del muro di Berlino che ha fatto strabordare la manica verso sud e verso est con i risultati che conosciamo. Per una manciata di mesi non fa parte del “Club 27”, con cui viene indicato un gruppo di artisti scomparsi proprio a quella età maledetta. Robert Johnson, Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Jean-Michel Basquiat, tutti con la “j” tra l’altro, il J27, prima di Kurt Cobain e Amy Winehouse. Quanti di noi avrebbero voluto credere alla teoria della cospirazione, del complotto, secondo cui sarebbero tutti da qualche parte, lontani dai riflettori che gli anno bruciati? Ci abbiamo provato, l’immaginazione non manca. Usare il condizionale nel giorno del trentesimo compleanno è inumano, devastante, contro la natura. Ma allo stesso tempo importante per ricordare un grande artista dall’animo fragile.
09.09.2019