Se vi aspettavate una delle tante marchette costruite ad arte per le classifiche e le ospitate radiofoniche, beh, scordatevelo. L’album di debutto dei CamelPhat è un viaggione – a tratti davvero inaspettato – tra techno, groovy house, spazzolate tech house, deep house, derive elettroniche e addirittura spunti indie. E qui sta il bello. La presenza di molti cantanti e collaboratori che, con il mondo strettamente melodic techno di cui i CamelPhat sono diventati alfieri hanno poco con cui spartire, aumenta in maniera sostanziale il “respiro” di questo LP. Jake Bugg, Florence Welch, Yannis Philippakis, Ali Love non sono solo comparse che aggiungono colore ma riescono ad esaltare la musica su cui cantano senza entrare in una “guerra di ego” tra vocal e base.
Intendiamoci, l’operazione ‘Dark Matter’ è furba: l’intento è quello di raggiungere un pubblico crossover che, anche fossero riusciti a ripetere lo straripante successo di ‘Cola’, non avrebbero comunque conosciuto il nome dei CamelPhat. È furba, quindi, ma fatta senza risparmiarsi e lesinare sulla qualità e la ricerca musicale. L’album ha tutte le carte in regola per raggiungere il risultato sperato perché il materiale è valido e vario. E questa è la chiave della piacevolezza delle 21 (ventuno!) tracce di ‘Dark Matter’.
Oltre ai già conosciuti ‘Panic Room’ feat Au/Ra, ‘Be Someone’ con Jake Bugg e ‘Rabbit Hole’ con Jem Cooke (‘Cola’, lo sappiamo, gioca in un altro campionato), attirano l’attenzione la vocal tech house di ‘Spektrum’, l’ipnotica ballata ‘Easier’ assieme a LOWES e, naturalmente, il notevole esperimento di ‘Not Over Yet’ assieme a Noel Gallagher. Un britpop-che-incontra-la-melodic-techno riuscitissimo, che crea un win-win clamoroso sia per l’ex Oasis che per i due produttori di Liverpool. Un bell’esempio di come la musica sia davvero un linguaggio universale.
03.11.2020