Rick Rubin, lo storico produttore americano delle star della musica dagli AC/DC a Lady Gaga, da Eminem a Mick Jagger e tantissimi altri, sostiene che “la migliore forma d’arte è quella che divide il pubblico“. Ovvero, se qualcuno arriva a tenere così profondamente alla tua musica da provare sincera rabbia per ciò che hai pubblicato fuori dal suo gusto, sostanzialmente vuol dire che l’hai conquistato. D’altronde piacere a tutti è impossibile: negli anni c’è chi ha criticato apertamente i Beatles, i Rolling Stones, i Daft Punk e via dicendo. Non esistono istituzioni universali nella musica. La critica è parte del gioco, lo è sempre stato e l’era dei social non ha aumentato questo aspetto. Lo ha solo messo nero su bianco.
La critica costruttiva è un bene. L’insulto che nasce dalla frustrazione è inutile. Quando i migliori musicisti della storia dell’uomo rivoluzionavano la musica per sempre, magari trenta o quaranta anni fa, a casa i detrattori ci sono sempre stati. La critica diveniva pubblica attraverso gli organi di stampa, le radio e al massimo le TV, passando dalla bocca di giornalisti musicali, altri musicisti, istituzioni e in generale voci competenti, con l’autorità necessaria per avere un megafono. Oggi, Facebook e Instagram permettono al fan di relazionarsi direttamente con l’artista, e quindi consentono di poter esprimere il proprio parere direttamente sotto gli occhi della star.
People hated on bob Dylan when he stopped playing folk music. Now nobody remembers that. People will get with the program eventually. It’s growing pains. Sucks that people are throwing shit and booing that’s ruthless. Stay with it 👊
— ZEDS DEAD (@zedsdead) April 4, 2019
Questo meccanismo ha generato situazioni paradossali. In molti casi l’artista sembra tenuto a dare spiegazioni alla propria fan base di continuo. Soprattutto quando i numeri iniziano ad essere notevoli. Un caso recente è quello del produttore Getter, nome di punta del circuito bass internazionale. Il suo ultimo album, ‘Visceral’, suona molto più sperimentale rispetto ai precedenti lavori, con il carattere hardcore decisamente limato a favore di brani più introspettivi, melodici ed eclettici. Un progetto tra l’altro molto interessante, perchè denota il talento multiforme di un artista che ha già dato prova di saper spaziare in più ambiti musicali, come ad esempio il rap del suo secondo alias Terror Reid. Ma la maggior parte dei suoi fan non sono d’accordo: volevano un continuo delle sue sonorità originarie, un proseguo di casse potenti, synth che tagliano la faccia e trapstep. Motivo per cui le prime tappe del tour dedicato all’album sono state sommerse di fischi, ululati e lancio d’oggetti. Risultato: Getter annuncia la cancellazione del tour. E probabilmente seguirà un lungo stop, con un contraccolpo psicologico non da poco. “Magari l’album è mediocre” penserete voi, e per i gusti singoli potrebbe anche risultare così. Il problema è che il motivo della shitstorm su Getter non è relativo alla qualità dell’album, ma all’aver semplicemente sperimentato una nuova strada.
Mi sarebbe piaciuto nascere nei ‘60 far parte di una band tipo Motley Crue, cantare e chiavare. Invece ho su Instagram giacomino03 che è indignato perché faccio i feat che non gli piacciono. 🤦🏻♂️
— Ernia (@holyernia) March 25, 2019
Il rapper Ernia, il cui nuovo album ’68’ è uscito ieri, una settimana fa scriveva su Twitter che gli “sarebbe piaciuto nascere nei ‘60 far parte di una band tipo Motley Crue, cantare e chiavare.” e invece ha su Instagram “Giacomino03” che è indignato perché non fa i feat che gli piacciono. Come i seguaci di Getter, anche Giacomino03 incappa in un paradosso: che l’artista debba a tutti i costi rendere conto per qualcosa. Ma in fondo cos’è l’arte? Una libera espressione di sè. Certo, anche di stile, correnti, momenti storici, riflessi della società; davanti a tutto ciò rimane comunque la propria personalità che comunica con il pubblico. Non ti piace più ciò che fa il tuo artista preferito? Perchè mai insultarlo, se ciò che fa con la sua arte è esprimere la propria creatività? Il sottobosco delle piattaforme musicali è pieno di artisti che, sull’onda dell’influenza della star, stanno proponendo la sua musica originaria. Ma invece no, è lui a dover stare alle regole del gioco stabilito dai fan.
People always ask why do u respond to hate. I think the best way to deal with hate is to understand that person & open up healthy dialogue pic.twitter.com/Ve505refdr
— kayzo (@KayzoMusic) June 2, 2017
Oggi la maggioranza delle persone con cui conversiamo di musica converranno sul fatto che non c’è più l’estro creativo di una volta, che la musica era meglio prima, che oggi sono tutti uguali. Però sono i primi a fare hating sotto l’ultimo post Instagram di chi cerca di fare qualcosa fuori dagli schemi, o che ci mette un po’ troppo a pubblicare musica. I social hanno fatto credere al mondo di poter dire qualsiasi cosa. Tanto è legale, e se sei divertente prendi pure qualche like. Dici (o meglio, scrivi, perchè a voce non lo faresti mai) a Carl Cox e Diplo che sono due sfigati perchè si fanno fare le foto con Sfera Ebbasta, i Daft Punk sono degli stronzi perchè non fanno il tour, Getter ti fa schifo perchè ha cambiato genere musicale. Loro non sono liberi di fare ciò che vogliono, perchè tu li segui su Instagram e ascoltando la loro musica adesso pretendi che mantengano ciò che di essa ti piace. Tu invece sei libero di poter fischiare, tirare bottiglie, insultare su Instagram. Un paradosso, appunto.
08.04.2019