• SABATO 03 MAGGIO 2025
Interviste

Chi vuole un nuovo album di Riva Starr?

Uno dei più autorevoli e rispettati dj e producer del mondo torna con 'Keep Me On The Dancefloor', album che mescola brillantemente house e canzone, strumenti e software. Ce lo siamo fatto raccontare dal suo autore
 
Foto: Instagram @rivastarr
 
Titolo autoironico come la frase che accompagna la foto di apertura di questo articolo, in cui è Riva Starr stesso a chiederlo ai suoi follower. La verità è che tutto noi lo volevamo, ed eccolo qua. Ci sono artisti che vivono una stagione di gloria e poi svaniscono, magari il loro pezzo famoso resta nella memoria collettiva, diventando più famoso del suo autore o autrice. Ci sono le superstar che diventano simbolo di un periodo storico ben preciso, vivendo poi di rendite di posizione (più o meno bene nel tempo). E poi ci sono quegli artisti che possiamo chiamare evergreen. Sempre sulla cresta dell’onda, sempre rispettati, magari senza quel successo popolare da stadio ma costanti, con carriere che durano decenni e che puoi trovare sempre nelle migliori line up, quelle dei club e dei festival di qualità.
 
Riva Starr appartiene senza ombra di dubbio a questa categoria. Attivo dal 2007 – ma con una lunga parentesi con altri nomi d’arte e altri stili fin dalla seconda metà degli anni ’90 – il dj e producer partenopeo (e ormai londinese da un bel pezzo) è stato capace prima di inventarsi una personalissima interpretazione della house che ha catalizzato l’attenzione di player importanti come Fatboy Slim (e la sua label Southern Fried), Switch e Jesse Rose; e poi, un disco e un remix alla volta, di entrare nelle grazie dei Grandi della house e diventare parte di questo olimpo: Defected, Green Velvet, Calvin Harris, Jocelyn Brown, Spiller, Dennis Ferrer sono solo alcuni dei nomi con cui Riva ha collaborato negli anni, per release e remix.
 
Con produzioni sempre più accurate, una label diventata a sua volta storia della musica da club (SNATCH! Records) e una carriera che lo vede di diritto tra i maggiori esponenti house di sempre, oggi Riva Starr è un nome mitico, dallo stile impeccabile e dal sound classico ma contemporaneo, sempre riconoscibile. E cosa può fare un artista nella sua posizione? Può spingersi a una mossa un po’ controtendenza come un album. Non solo: un album crossover, che implementa canzoni con voci e strumenti, non soltanto club tools. Il nuovo disco di Stefano Miele aka Riva Starr si intitola ‘Keep Me On The Dancefloor’, è da poco uscito su SNATCH! ed è il pretesto perfetto per un’intervista che fotografa il periodo molto esaltante di questo straordinario dj e produttore.
Raccontaci un po’ di questo nuovo lavoro: in che mood e condizioni è nato?
È un disco nato dal desiderio di tornare a lavorare in studio con musicisti, cantanti e autori. Una cosa che succede meno quando lavori cu cose piu’ dj tools oriented – o almeno, nello stile che ho seguito per anni. Ma in realtà io ho iniziato proprio così, con album di canzoni, collaborazioni, live. Ho prodotto anche per altri artisti, come i Nidi d’Arac (St. Rocco’s Rave). Quindi per me è un ritorno a casa, in un certo senso. Avevo già fatto qualcosa in questa direzione con ‘Hand in Hand’ nel 2013, ma qui ho spinto ancora di più. Volevo mettermi in gioco in un contesto che mi costringesse a imparare cose nuove. Ho sempre avuto la voglia di scrivere canzoni, e queste session in studio mi stanno aiutando tantissimo. Ho lavorato con autori e musicisti di grande talento, ognuno con il proprio mondo. È stato bello lasciare un po’ il controllo e lasciarmi sorprendere.
Il titolo ‘Keep Me On The Dancefloor’ è uno statement abbastanza chiaro, tuttavia nel disco ti prendi il coraggio di andare anche verso una direzione di possibili crossover. Come mai senti questa esigenza?
Mi piace che abbia una doppia lettura. Da un lato, è un invito a ballare – fammi muovere, colpiscimi con la musica. Ma dall’altro, è anche una chiamata all’attenzione: fammi sentire qualcosa, tienimi sveglio e interessato emotivamente. È quello che cerco nella musica e nella vita, in fondo. I brani dell’album sono nati in modo molto spontaneo, non c’è mai stata una direzione imposta. Le scelte per la tracklist sono state dettate semplicemente dal gusto e dal feeling che ci davano i pezzi. E credo che in un album ci possa stare anche qualche traccia più crossover, se rimane coerente con il tuo sound.
Anche ‘Vicino O’ Mare’ era un tentativo di sposare la tua consolidata vena house con uno stile più radiofonico e anche con le tue radici partenopee. Quel brano mi aveva colpito molto, hai voglia di raccontarci la sua genesi?
‘Vicino O’ Mare’ è nata da una collaborazione con Rosario Castagnola, Sara Startuffo e Torok, tre musicisti e produttori fortissimi di Napoli, che probabilmente conoscerai. Loro lavorano su tante produzioni importanti in Italia. Ci conoscevamo da tempo ma non avevamo mai collaborato. ‘Vicino O’ Mare’ è stata la prima cosa che abbiamo scritto insieme. Volevo fare qualcosa in napoletano, come già avevo fatto nel mio primo album ‘Pista Connection’ con il progetto Miele uscit0 nel 2000. Ho voluto riprendere quella vena, ma con il mio sound attuale. Le influenze lì sono varie, c’è una bella componente French, ed è stata subito molto supportata da tutto il giro French touch. Abbiamo scritto il pezzo in un giorno e mezzo di session spontanea, e ora c’è anche il remix di Louie Vega in uscita a breve, sono contento che stia diventando una piccola gemma nu-disco nel circuito del clubbing internazionale. Sta girando bene in America, Inghilterra e Australia. Mi piace che, anche se magari non capiscono il testo, ne colgano le good vibes del cantato napoletano.
 
 
 
Nell’album hai coinvolto diversi cantanti, c’è addirittura un pezzo con Chromeo. Come sono nate queste connessioni? E come scegli la voce giusta da mettere in una tua canzone? 
La scelta di musicisti e cantanti è stata molto mirata, ci ho messo tempo. Sono pignolo su voci, melodie e testi. Ho fatto tanti ascolti, studiato testi, parlato con amici e publisher che mi hanno messo in contatto con le persone giuste. L’incontro con Henry (che canta gran parte dell’album) è stato in realtà casuale. Me lo ha presentato Adrianne della Sony UK – che prima lavorava in Defected – e ha capito subito che ci saremmo trovati bene. In quel periodo a Londra c’era anche Dario Bassolino per alcune sessioni, quindi ci siamo ritrovati insieme in studio, senza che fosse tutto pianificato. In altri casi invece ho spiegato esattamente lo stile che cercavo, e mi hanno proposto dei nomi da approfondire. Poi si sceglie anche il musicista giusto, che può non funzionare sempre, ma quando funziona… è good vibes.
 
Nella cartella che ho ricevuto qualche tempo fa, ho notato la dicitura “daytime”. Significa che arriveranno dei remix e delle cub edit di questi pezzi?
L’album ha una parte “Daytime”, che è quella originale, e poi una “Nighttime”, con tutti i remix – ce n’è uno per quasi ogni traccia. E poi c’è il progetto Jamz, nato a fine session: quando finivamo le registrazioni, ci prendevamo un’oretta per andare a braccio su un beat e creare cose più da dancefloor. Così sono nati i pezzi Jamz, più freestyle, più fluidi. Tutte queste produzioni saranno rigorosamente presenti anche su vinile con in aggiunta delle versioni inedite.
 
‘Keep Me On The Dancefloor’ esce sulla tua etichetta SNATCH! Records. Avevi valutato altre opzioni?
Questo album non ho mai pensato di farlo altrove: è nato e cresciuto per essere pubblicato sulla mia etichetta. Mi piaceva la sfida di creare qualcosa di un po’ diverso rispetto all’output usuale della label, che è molto club – roba tipo Nina Kraviz, Carl Cox, Jamie Jones, Anotr, Dennis Cruz, Michael Bibi… Un certo tipo di clubbing, insomma. Ma io ho sempre apprezzato anche realtà tipo Ninja Tune o XL, che riescono a pubblicare sia elettronica pura che roba più cantautorale.
Ci abbiamo messo tanto impegno in questo progetto, abbiamo fatto anche errori da cui imparare per il futuro. Ma è sempre molto stimolante. Sono sempre stato molto indipendente nel modo di pensare la mia musica, quindi ha senso per me portare avanti questo tipo di esperienza con la mia etichetta.
 
 
 Foto: Instagram @rivastarr
 
Cosa significa gestire oggi una propria label, che differenze noti rispetto a quando hai aperto SNATCH!?
Oggi gestire un’etichetta è ancora più complicato, c’è sempre la sfida di evolvere col mercato, capire i trend e tenere tutto sostenibile. Fortunatamente ho un team che mi segue dall’inizio, con cui ho grande affiatamento. Ovviamente ora lo streaming è uno dei canali principali, ma per noi è importante anche il clubbing, quindi collaboriamo ancora con piattaforme come Beatport e Traxsource, che hanno il club nel cuore e con tutti i negozi che ancora spingono il vinile. Passiamo tanto tempo a cercare nuovi talenti, che possano portare qualcosa di fresco al nostro catalogo. E poi sì, devi anche capire bene il mondo del publishing, tutte le altre branche del business che aiutano a sostenere l’etichetta.
 
Sei ormai un maestro della house, negli anni il tuo nome è diventato una costante nei cartelloni dei club e degli stage più prestigiosi così come di etichette leggendarie. Pensi mai di allontanarti nettamente da questi territori sonori?
Sicuramente con questo album ho iniziato un percorso che voglio continuare. Voglio migliorare nella scrittura, imparare meglio le sfumature in studio. Le sessioni con musicisti e scrittori sono esperienze molto delicate, richiedono rispetto, equilibrio. È diverso dal lavorare da solo, ma il clubbing rimane sempre nel cuore. Porterò avanti anche progetti più techno come Hyperloop, o più house come Soul Speech o Starr Traxx, che è più Chicago-style. Continuerò a fare cose club, magari con altri nomi, mentre con Riva Starr voglio spingere di più sul songwriting. Vedremo come si evolverà tutto.

Sei un instancabile dj, un vero globetrotter: per promuovere ‘Keep Me On The Dancefloor’ hai in programma date particolari, focalizzate sull’album?
Abbiamo deciso di fare l’album tour dopo l’estate, perché eravamo troppo presi dal lavoro in studio. E vogliamo che l’album abbia il tempo di viaggiare nelle orecchie delle persone. Faremo sicuramente dei pop-up parties tra Londra, Napoli e forse Milano, in location non convenzionali – tipo un coffee shop, una galleria d’arte a Londra dove vogliamo vendere anche i vinili, fare un after in un bar nel mercato di Dalston sempre a Londra. Poi ci saranno occasioni piu’ ufficiali dove promuovere l’album tipo il Movement a Detroit, o l’Hï a Ibiza durante l’estate.

 

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Albi Scotti
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