Domani uscirà il primo singolo di ‘Gods in the Womb’, intitolato ‘Grey Skies’. Un lavoro in studio dove Chris Pescosta ha investito larga parte del suo tempo assieme a nomi illustri del panorama artistico, non solo dal punto di vista musicale. Presentiamo in anteprima esclusiva il video che accompagna il singolo oltre ad una chiacchierata con il suo autore, svoltasi pochi giorni fa tra un aneddoto e l’altro su questo ultimo periodo della sua carriera.
Partiamo dal principio. Nell’introduzione a ‘Gods in the Womb’ dichiari di esserti preso un anno lontano dai ritmi frenetici della vita quotidiana per dedicarti a questo progetto. Come si è sviluppato questo percorso e quando ti sei reso conto che stavi lavorando effettivamente al tuo futuro album?
Dopo gli anni passati a Londra, circa 6 anni fa sono tornato in Italia, a Milano. Ho iniziato una nuova fase di ricerca suonando in solo con chitarra, effetti vocali, looper, una microkorg e un drumpad. L’intento era di partire da brani dal mio repertorio e giocare e improvvisare rendendo interessante, intenso e completo il suono per me e per l’ascoltatore, senza l’uso di basi. Ho ricominciato dalla strada, per poi passare a locali e festival. Parallelamente continuava la mia attività in tour con grossi nomi della scena pop italiana, che mi ha portato a suonare per la prima volta in tour mondiale di un anno e mezzo. Ho avuto la fortuna di scrivere le musiche di un film per il cinema per il grande pubblico in Italia, l’ispirazione per ‘Gods in the Womb’, che è anche il nome di una traccia dell’album, è nata durante la ricerca di musica per una scena epica del film. Una volta terminata la produzione del film e del tour mondiale ho iniziato a produrre musica astratta per spettacoli di danza contemporanea, oltre a cercare di trasferire il mio suono del live solo in un disco. A un certo punto ho capito che non sarei riuscito a riprodurre nella sua interezza lo spirito del live, da lì in poi ho cambiato filosofia e mi sono lasciato sorprendere. Ho deciso poi di registrare la maggior parte delle voci super wet fin dall’inizio, operazione rischiosa e al limite della legalità, per impormi una direzione sonora. Dopo 4 mesi di clausura invernale forzata di scrittura, produzione ed esperimenti, mi sono trovato ad avere uno scheletro sensato di 9 tracce coerenti. Da quel punto in poi ho passato 9 mesi ad affinare e mixare i brani in maniera ossessiva. Ero talmente immerso nei trip di eq, volumi, spazializzazione e fasi che ad un certo punto anche se ero incerto ho deciso di chiudere i mix. Ho avuto la conferma della “legalità” del lavoro quando ho sentito i master di Murad Mazen di Katarastudios, che ha dato il tocco finale ai brani senza stravolgere la mia idea di suono.
“Ero talmente immerso nei trip di eq, volumi, spazializzazione e fasi che ad un certo punto anche se ero incerto ho deciso di chiudere i mix.”
Nella creazione di ‘Gods in the Womb’ hai incrociato il cammino di tanti artisti e addetti ai lavori che in qualche modo e misura hanno contribuito al risultato finale. Tra questi citi Luca Fronza, Marco Maccarini, Nicola Peruch e Giovanni Boscariol. In che modo, anche grazie al loro tocco, sono cambiate alcune parti di questo lavoro? Ci sono stati altri personaggi chiave o ispiratori in questo processo?
‘Grey Skies’, il primo singolo in uscita è un brano che ho scritto circa 10 anni fa, un brano oscuro e intenso, tastiera e voce, no click. Durante la fase di sperimentazione l’ho inviato a Luca, che dopo una settimana mi ha inviato il brano nella versione attuale. Il sound ruvido e profondo della ritmica e del basso del Korg ms20 hanno accentuato la dimensione crepuscolare del brano. É stato l’inizio di tutto. Abbiamo collaborato in molti punti dell’album, la sua esperienza nel reparto beats/sub/bass e il suo supporto sono stati fondamentali. Devo molto anche a “Parallel Release” l’autore di “Parallel Skies”, il remix di “Grey Skies”, da cui ho appreso l’arte dell’equalizzazione e che mi ha sopportato durante la produzione rispondendo alle mie mille continue domande tecniche. Marco Maccarini ha seguito il lavoro fin da principio. All’inizio in qualità di vicino di casa e anima da feedback. Mi ha convinto a suonare il mio wurlitzer nel disco durante il mio periodo “no traditional instruments”, e lo ringrazio per questo, in fin dei conti ho passato molti anni con wurlitzer, rhodes e clavinet sul palco. Inoltre mi ha prestato la sua voce per l’introduzione di un brano, nessuno lo sa, ma la sua voce registrata è meravigliosa. Nicola Peruch e Giovanni Boscariol, miei cari amici, tastieristi, produttori e profondi conoscitori del mondo dei sintetizzatori mi hanno accompagnato due giorni durante una gita di piacere nella Q-Room di Sven Miracolo, il paradiso dei synth. Durante i test di Jupiter 8, Ems Synthi 100, Roland System 700 e altri strumenti incredibili e rarissimi abbiamo registrato quello che sarebbe diventato “Gods in the womb” usando il mitico Oberheim 4-voice. Anche per il video di ‘Grey Skies’ ho avuto la fortuna di lavorare con amici professionisti in vari settori che si sono appassionati al progetto. Matteo Bittante, coreografo nel campo della danza contemporanea e art director ha aumentato la mia visione iniziale e l’ha concretizzata insieme a Shake Modulo Project che ha gestito e ripreso il piano sequenza in 8K con la sua Red. La location, un gigantesco capannone a Milano e la zona di supporto logistico mi sono state concesse da Carboni Arti e Mestieri e Killer Kiccen, e molte altre forze amiche hanno permesso la realizzazione di questo progetto. Una bella storia d’insieme fatta in nome dell’arte. Il titolo dell’album ‘Gods in the Womb’ si riferisce al titolo dell’opera dell’ artista Jose Molina. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e sottoporgli il progetto, gli è piaciuto e mi ha concesso l’uso della sua opera per la copertina.

Dal trip hop alla pura sperimentazione, fino a ritmi più cantautoriali, come definiresti ‘Gods in the Womb’ per chi si approccia la prima volta al tuo nuovo album?
Senz’altro mi sento molto vicino alla scena di Bristol, è una vibrazione che mi è affine da sempre. Io comunque sono nato a Corvara, un paesino di montagna in Alto Adige e nel frattempo non mi interessa più assomigliare a nessuno. Io vivo per i momenti magici in cui riesco a trascendere, tutto il resto è un percorso per arrivarci, un viaggio.
La tua naturale evoluzione ti ha spinto a compiere scelte difficili e spesso poco ammiccanti nei confronti del mercato discografico più generalista. Senti di avere chiara in testa la direzione che vuoi intraprendere in questa fase della tua carriera o vince ancora l’emozione e l’ispirazione di un dato momento della tua vita?
20 anni fa ho mollato un lavoro meraviglioso sicuro e ben remunerato per lanciarmi nel mondo della musica. Ogni esperienza ha avuto un senso e mi ha lasciato qualcosa. Questo è un momento particolarmente fortunato, ho molto tempo per guardarmi dentro, studiare ed esprimermi in totale libertà.
Le energie che incontrerò disegneranno l’avvenire.
13.06.2019