La più giovane direttrice d’orchestra italiana, Beatrice Venezi, dentro il nostro mondo di BPM, club, festival, groove, drop, feste, dj set. Come viene visto da chi ha una lente particolare attraverso cui guardare? Come si relaziona la musica colta con la cultura del club? Abbiamo pensato di chiedere a una musicista classica di parlare di dance e di club culture. Beatrice Venezi non è una qualunque: a soli 25 anni è già direttrice d’orchestra; dirige due orchestre a Milano e Napoli; ha molti progetti in giro per l’Europa. Ed è il volto ideale per rinnovare l’immagine stanca e austera della musica classica, stretta in canoni che rischiano di diventare anacronistici. L’interlocutore ideale tra due mondi così lontani. Almeno apparentemente.

Ciao Beatrice, benvenuta su DJ Mag. Ti chiedo subito qual è la tua formazione e cosa ti ha spinto a intraprendere questa strada.
Nella mia famiglia nessuno ha una formazione classica; in compenso mio padre è da sempre un grande fan dei Led Zeppelin. Alle elementari ho sentito di un mio compagno che andava a lezione di pianoforte, ho voluto andarci anch’io e me ne sono innamorata. Così mi sono iscritta al Conservatorio, dieci anni a Lucca, e poi a Siena, infine mi sono specializzata a Milano in composizione e direzione d’orchestra. La mia sensibilità personale, invece, arriva appunto dall’imprinting famigliare: mio papà ascoltava il progressive rock degli anni ’60 e ’70, ero immersa in universi musicali molto diversi tra loro e questo mi ha fatto bene, credo.
Tu dai un’immagine molto lontana dall’iconografia tipica del mondo della Classica. Ci sono tue foto in sneakers e look casual, ti ho vista su riviste di attualità e ora su DJ Mag. Ti senti un po’ investita del ruolo di “ambasciatrice del rinnovamento” di un certo immaginario?
Ho sempre sentito dentro di me questa esigenza, sentivo e sento di dover svecchiare il mio ambiente, così elitario e chiuso su se stesso. E’ un peccato perché si tratta del nostro patrimonio culturale, è enorme e merita di essere conosciuto e amato come lo è in tutto il mondo.
Io credo che il pubblico di DJ Mag, ad esempio, si avvicini molto più volentieri alla classica se vede una ragazza della sua generazione, una in cui si può immedesimare, rispetto a un vecchio maestro in frac.
Lo credo anch’io, a volte nel mio ambiente sono vista male per questo. La classica ha swing, ha ritmo, ha groove, a suo modo. Perché non vederla da questa prospettiva? Favorire la divulgazione è nostro compito, visto che il sistema scolastico non lo fa e in generale la musica è sacrificata e sacrificabile tra le materie di istruzione e nella divulgazione culturale.

Come può arrivare un imprinting dalle scuole, dalle istituzioni, e anche dal sistema dell’intrattenimento?
Ai ragazzi a scuola viene fatto suonare il flauto stonato di plastica, così non si va da nessuna parte, è grave. Partiamo in un altro modo. Ad esempio: Turandot è una favola, perché non introdurre in questo modo l’Opera di ragazzi? Così può diventare stimolante. I grandi temi dell’opera lirica sono quelli dell’amore, dei valori universali, sono quelli che ritrovi in Twilight o Game of Thrones. Sono storie universali affascinanti anche oggi.
Certo. E invece per coinvolgere maggiormente dei giovani adulti cosa si può fare?
Credo si debba puntare su quello che oggi viene chiamato storytelling, creare una narrazione. Riuscire a essere fruibili, l’opposto dell’opera concettuale, astratta, filosofica, di moda nel secolo scorso. Serve la volontà di comunicare qualcosa. Essere elitari, come Schönberg, aveva senso cento anni fa. Oggi non è più così, la società è cambiata tantissimo e il “trip” di essere elitari è vecchio.
Anche perché questa è l’epoca meno elitaria della storia. Oggi un giovane multimiliardario desidera gli status symbol che desideriamo tutti: l’ultimo modello di smartphone, tanti like sui social… per la musica e l’arte è la stessa cosa, l’esempio di Banksy è emblematico: la sua arte è così raggiungibile da essere alla portata di tutti, le sue opere si possono toccare, sporcare, cancellare.
E’ vero, sono d’accordo con te.
Ci sono produttori di musica elettronica che hanno riletto delle partiture classiche, una serie voluta da Deutsche Grammophon, storica etichetta di Classica, coinvolgendo artisti con le carte in regola per non togliere dignità ai lavori originali: Carl Craig, Moritz Von Oswald, Matthew Herbert, Max Richter… Come vedi questa operazione?
La vedo molto bene, può essere utile per dare un input di interesse verso la Classica. Non credo sia il modo per veicolare la “vera” classica, ma sicuramente è interessante e curioso rinnovare partiture come “Le Quattro Stagioni” di Vivaldi attraverso riletture di questo tipo, fermo restando che si tratta davvero di musica con un valore e un peso specifico inestimabili.
Cosa ascolti quando si tratta di musica contemporanea, intendo pop e dintorni? E qual è il tuo rapporto con il club e la sua musica?
Ho un buon rapporto con il club e con la musica dance. Mi piace andare a ballare, logicamente c’è musica e musica, e soprattutto club e club. Ci sono posti davvero interessanti e altri dove vedi i “casi umani”. Diciamo che prediligo i primi. Credo poi che un musicista classico debba avere una conoscenza a 360 gradi di ciò che ha intorno, le realtà dei club sono molto vivaci e intercettare questa fascia di pubblico è interessante. Mi piace ballare, mi piace il ritmo. Ascolto molta musica contemporanea, trovo ci sia del pop interessante e anche tanta dance interessante. Sono molto attratta da artisti come i Matmos, o Flying Lotus, capaci di essere sperimentali ma accessibili, fruibili, e allo stesso tempo di avere un notevole valore sul piano della scrittura.
14.05.2016