Foto di Julio Rionaldo
Per chi nella vita ha a che fare con la musica elettronica e i suoi sinonimi, spegnere di colpo l’interruttore della festa e iniziare la quarantena comporta alcune fasi mentali. Nel mio caso, dopo una settimana la prima fase è stata quella della tiepida accettazione. Ti viene da pensare “ok, questo weekend niente clubbing, e probabilmente neanche il prossimo, ma teniamo duro per questo mese e torneremo tutti in pista”. Poi arrivano altre notizie, studi più approfonditi, e ti rendi conto che questo male che affligge il mondo durerà molto più dell’iniziale previsto: non è più questione di settimane, ma di mesi. E allora che si fa?
Fase due, seconda settimana: nostalgia canaglia. Passi i pomeriggi a condividere foto di serate epiche in giro per club o nella folla di qualche festival estivo, con il sorriso stampato in volto, tanti amici intorno e un dj che ti fa sognare. È tutto un archivio Instagram Stories ed esplorazione di rullini riempiti tra Social Music City, VOLT, Sonar, Goa, Circolo Degli Illuminati e tutti i luoghi in cui hai lasciato un po’ di cuore negli ultimi anni. Rivivi con nostalgia quegli attimi e ti chiedi quante volte nella vita hai deciso di non andare alla serata o a quel concerto – o magari te ne sei andato prima – perchè eri stanco, svogliato, giù di morale. E vorresti tornare indietro, lanciartici di testa. Nella seconda fase del “clubber in isolamento” si sviluppa la mancanza della festa, inteso come sentimento puro, aldilà della concezione moderna di “festa” che apre un milione di parentesi tipiche del bianco occidentale che chiama party anche raduni di gente in nero che passa la serata a squadrarsi, a tentare di entrare alla zona più vicina possibile alla console, in fila al bar, in bagno. No, nella festa che hai in testa dopo le prime due settimane di isolamento ci sono solo sorrisi, ballo, sudore, adrenalina, abbracci. Colori accesi. Ogni singolo disco nelle orecchie, dal primo all’ultimo. Nessuna sovrastruttura, solo l’entusiasmo di un bambino. Ma la realtà ti riporta con i piedi per terra.
Fase tre, terza settimana: presa di coscienza. Sei ancora lì. Hai consumato i dj set di HOSH, Mathame, Fideles e compagnia nei video mozzafiato di Cercle, ti sei goduto per un’ora i dischi della Boiler Room casalinga di Dixon, hai seguito tutte le dirette Instagram ‘SOCIAL TV’ di DJ Mag Italia, hai ascoltato tutte le storie di Discoball su m2o, ti sei anche bevuto in un sorso l’intera compilation ‘Unity’ dei Tale Of Us. Non ti sei perso neanche un nuovo album, da Four Tet a Childish Gambino, da Jay Electronica a Nicolas Jaar e Lil Uzi Vert. Hai sperimentato tutto. Grande musica, bellissimi racconti. Ma il sabato sera vorresti sentire le orecchie fischiare, e quasi ti manca l’hangover della domenica. Il tuo paradiso sotto le strobo probabilmente non tornerà mai più come prima. Alla terza settimana è chiaro a tutti, anche ai non-addetti-ai-lavori, che il clubbing ha preso una batosta di quelle che ricorderà per sempre. Non se la passava bene prima, adesso è stato gambizzato, e se alla fine di questo incubo non verrà aiutato a rialzarsi c’è il rischio concreto che resti lì per terra. Come ha ben detto Albi Scotti qui su DJ Mag, allo stato attuale delle cose siamo agli ultimi bilanci. Passi del tempo a riflettere su questo, a concentrarti sulle altre responsabilità della tua vita che non abbiano a che fare con un essere umano che fa ballare suoi simili, ma dal venerdì pomeriggio ti sale quel magone che è impossibile ignorare.
Fase quattro, quarta settimana: l’ottimismo. Non è l’ultima fase, nè tantomeno l’ultima settimana di isolamento. Ma dopo quasi un mese di quarantena, provi a vedere le cose da un nuovo punto di vista. E se tutto questo portasse ad una rivoluzione culturale? Quanto saranno più lunghe le notti quando torneremo nel nostro club preferito? Quanto profondamente sentiremo i dischi suonati alle serate? Che genere di empatia andremo a sviluppare con chi siede, parla, canta, balla insieme a noi? E allora ti fai coraggio con i libri che celebrano questo grande sentimento – tra gli ultimi, ‘Haçienda’ di Peter Hook e ‘Porcelain’ di Moby – e con i film che hanno reso la club culture un fenomeno globale: ‘Human Traffic’, ‘Trainspotting’, ’24 Hours Party People’, ‘Eden’ e così via. Il trucco: ingannare il tempo, restando connessi alla nostra bolla magica. E se fossi un produttore, approfitteresti anche di Ableton in prova gratuita per 90 giorni o delle classi dei ragazzi di MAT Academy. Vuoi essere ottimista, come il mio amico e collega Ale Lippi che auspica un ritorno in scena del “mondo della notte” con un rebranding totale.
La vita non è una festa ma la festa è vita. Torneremo da dove siamo usciti e rientrati più e più volte. Saremo diversi, forse più liberi e disinibiti, o magari vittime delle paure che ci trascineremo per gli anni a venire. La storia ci insegna che ad ogni tragedia il mondo ha risposto ballando. I nostri antenati ballavano per far finire le guerre e le carestie, o per far scendere la pioggia. Se il sistema crollerà, balleremo sulle sue macerie. Ad oggi è solo un’incognita, ma citando Jip in ‘Human Traffic’, mi piace pensare che torneremo ad essere “un universale senso d’insieme dove poter stare bene. In sintonia, con chiunque, come parti di un unico movimento che conduce alla fuga“. See you again on the dancefloor.
08.04.2020