L’evoluzione pandemica del Coronavirus ha bloccato e sta bloccando, come era prevedibile, tutti gli eventi di marzo e aprile. Quello che non era così facile da prevedere – perlomeno, non in questa misura – è l’evoluzione del contagio con questa rapidità e su questa scala. Ma se purtroppo in Italia abbiamo ricevuto per primi la batosta, il resto d’Europa e di buona parte del mondo sembra accorgersi solo nelle ultime ore della portata del virus. E dunque, cosa succede a club, festival, eventi musicali?
In Italia, è ormai chiaro, marzo e aprile saranno mesi drammatici. Anche ammesso che l’ordinanza di tenere tutto chiuso finisca il 3 aprile (e non è scontato), sarà difficile pensare di restaurare un clima di fiducia e di voglia di stare insieme in un luogo affollato per almeno un altro mese, come minimo. È anche, soprattutto, una questione di buonsenso: se il 3 aprile si riapre, non significa che non ci sono immediatamente più pericoli di contagio, e i club non sono certo laboratori asettici e sterilizzati. Quindi, stagione finita, purtroppo, e scrivere queste parole fa piangere il cuore perché significa davvero una ricaduta molto, molto grave su tutto il nostro settore. I conti si faranno a settembre. I festival in Italia rischiano di subire la stessa sorte: tutti gli eventi fino a fine aprile sono già stati cancellati, spostati, messi in stand by. Giustamente. Giugno appare ad oggi come un mese in cui, se le cose si mettono per il meglio, succederà di tutto perché si recupereranno moltissimi eventi rimessi a calendario proprio in concomitanza con l’inizio dell’estate. I festival estivi invece sperano ancora in un risanamento della situazione, in un ritorno alla normalità. Il fatto che poi l’estate porti alle occasioni di stare insieme all’aria aperta, limita ulteriormente la percezione del pericolo. Tracciando un bilancio, al momento le proiezioni sono pesantissime: dj, manager, assistenti, tecnici, light e visual designer, promoter, proprietari di club, investitori, driver, bartender, personale di sicurezza e personale di sala, uffici stampa, agenti di booking. Un universo di professionisti che lavorano in proprio o affiliati spesso a imprese medio-piccole, che si trovano “parcheggiati”, congelati in uno stop forzato. Due mesi, ma facciamo anche tre, senza lavorare, e con un futuro che prevede un ritorno al pieno regime solo a lungo termine, è un dramma. Un dramma enorme. E sicuramente la mappa dei club e dei festival che disegneremo dopo l’emergenza sarà molto diversa da quella di prima. Qualcuno dovrà per forza di cose riconfigurare le proprie attività. E volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, questa è un’opportunità: anche in tempi di benessere, abbiamo visto diversi festival e serate cambiare pelle, e inventarsi o adottare format che con il tempo si sono dimostrati efficaci e originali. Può essere una prospettiva interessante.

E il resto del mondo? L’Europa sta scoprendo solo ora le difficoltà del momento, club come il Berghain hanno annunciato la sospensione degli eventi e le chiusure variano di Paese in Paese a seconda delle disposizione delle autorità. Moltissimi dj stanno annunciando in queste ore lo stop dei propri tour attraverso i social. Vero è che nessuno vuole perdere la propria economia, anche perché se si dovesse presentare una situazione analoga a quella italiana, molti prima dello stop vorranno mettere in cascine più fieno possibile in vista delle vacche magre (e ci sono assicurazioni, contratti, accordi che tutelano le parti, e poi società come Discwoman che tentano speculazoni imbarazzanti come quelle delle donazioni per i lavori persi). D’altro canto, è vero il contrario: dimostrarsi responsabili e chiudere, o rallentare, anche senza imposizioni dall’alto, può far piangere il portafogli ora ma far ripartire più velocemente le cose in futuro. Vedere città come Londra che nonostante le avvisaglie del disastro continuano la loro vita come nulla fosse, preoccupa. Non dimentichiamoci che un drink al pub, la cannuccia di un amico, un bacio in discoteca, un colpo di tosse di chi ci balla accanto, chi condivide con noi un sorso d’acqua o di cocktail, o l’uso di droghe, o il sudore in pista, non fa altro che accelerare il propagarsi del virus. E le stesse persone vanno poi al lavoro e al supermercato dove incontrano e toccano altre persone. E siamo noi, sono i comportamenti quotidiani di ciascuno di noi.
Dalla fine di febbraio a oggi, metà marzo, abbiamo già scritto diversi aggiornamenti sulla situazione anche a livello globale. Ad oggi, Ultra Music Festival, Ultra Abu Dhabi, SXSW, Time Warp, EDC, Beyond Wonderland, Tomorrowland Winter, Coachella e tutta la Winter Music Conference di Miami sono cancellati o spostati più avanti; i festival e gli eventi estivi sono in forse, non ci sono ancora annunci ufficiali ma le indicazioni di massima sono molto prudenti e le misurre per eventuali annullamenti sono al vaglio. I festival italiani adottano la stessa linea, l’idea naturalmente è quella di tenere duro e tenatare di capire come si metteranno le cose nell’arco del prossimo mese, e capire con un minimo di anticipo se è possibile mantenere gli eventi in programma o spostarli, riconfigurarli, annullarli. I concerti in Italia sono saltati praticamente fino all’estate, qualche esempio illustre: Marracash (quattro Forum sold out) e Ghali (tre date al Fabrique) slittati all’autunno. Idem per le serate e i club, che come sappiamo sono chiusi già da diverse settimane. E anche in tutto il mondo le grandi organizzazioni stanno dimostrando prudenza, buonsenso e intelligenza. Spesso più dei governi. Se prendiamo la blanda reazione del governo americano, ad esempio, notiamo che invece artisti, promoter, locali e organizzatori stannoa gendo in senso opposto, chiudendo e annullando preventivamente tantissimi show e tour. Una mossa saggia. Lo stesso succede in UK, dove la linea del premier Boris Johnson fa quantomeno discutere, perché “tirare dritto” mettendo in conto che le vittime ci saranno in ogni caso, e sperare che così almeno l’economia subirà un contraccolpo meno duro, è una scommessa sulla pelle della propria popolazione, è come lanciarsi a teta bassa contro un muro, mettendo in conto che ci si spaccherà la testa, e sperando di dover mettere meno punti di sutura possibile. Ma parecchi dj e club stanno agendo con più cautela, anche lì, nonostate ancora molti tour e concerti risultano in programma. Insomma, per una volta il tanto vituperato mondo dello show busness, dove il mantra show must go on sembra sempre ressistere ad ogni tragedia o problema estero, pare essere più intelligente, cauto e sensibile di molti altri settori. È molto difficile fare valutazioni a lungo termine, oggi, ma stiamo a vedere come si evolve tutto lo scenario.
Dalle prime avvisaglie alla pandemia globale il decorso è stato davvero breve. Un dato che può farci preoccupare ma che deve anche farci sentire sollevati, perché significa che medicina, sanità e ricerca sono più che mai avanzate e ci permettono di porre un freno all’emergenza in modo più rapido di quanto mai avremmo potuto immaginare nella storia dell’umanità. Il mondo non è perfetto, ma è tecnologicamente molto avanzato. E, nel male di questa inaspettata e terribile calamità, siamo fortunati.
16.03.2020