Nata in Messico e appassionata di musica sin da giovanissima, Ana Lucia, meglio conosciuta come Coco Maria, rappresenta la generazione di tastemaker e selector che stanno contribuendo a plasmare una sorta di rivoluzione nel mondo dei dj. Il suo è un viaggio che inizia in tenera età e che la porterà ad affrontare diverse sfaccettature della scena per come la conosciamo oggi. L’abbiamo incontrata durante alcuni day off per un’intensa chiacchierata dopo il suo tour europeo, in previsione dell’atteso appuntamento con il dj set a Jazz:Re:Found 2021. Oltre a questo appuntamento ci sarà anche un atteso dj set in chiusura del festival Giarre per Ricci Weekender domenica 12 settembre.

Il tuo percorso musicale inizia in Messico per poi spostarsi in Europa. Tra le varie fasi di vita le più importanti sono quelle che hai vissuto a Londra, Berlino ed infine Amsterdam. Quali sono le esperienze chiave che hai vissuto in questi luoghi?
Il mio viaggio è iniziato quando ero bambina. I miei genitori erano e sono estremamente appassionati di musica. Mia madre ascoltava musicassette dalla mattina alla sera e mio padre suonava musica tradizionale con la chitarra in pubblico e in famiglia. Faccio parte di una famiglia molto ampia che era solita riunirsi per le festività o per i pranzi domenicali e in queste occasioni spesso cantavamo tutti assieme. Impiegai poco tempo ad apprendere anche io come suonare la chitarra e con i miei fratelli e sorelle mettemmo in piedi la nostra prima piccola band. Prendevamo le canzoni famose che ci piacevano e cambiavamo i testi scrivendone di nuovi in messicano ed eravamo sempre entusiasti di poter condividere la gioia della musica con altre persone.
Un approccio genuino tipico dei bambini. In che momento questa mentalità si è evoluta?
Ho vissuto un periodo abbastanza duro quando arrivò il momento di scegliere cosa studiare per crearmi un futuro lavorativo. L’arte non era contemplata come un’opzione e la mia famiglia premeva affinché mi preparassi per un lavoro più tradizionale. Così decisi di studiare qualcosa che mi piacesse, anche se era molto lontano dal mondo dell’arte. La scelta fu di frequentare psicologia in Francia e una volta terminato questo percorso tornai in Messico. Continuavo ad interrogarmi su quale sarebbe stata la mia vita “da grande” ed il mio sogno nel cassetto era quello di trasferirmi a Berlino. Avevo alcuni amici tedeschi che mi parlavano di questa città molto creativa dove ciascuno aveva la possibilità di trovare il suo spazio.

Poi però il vero trasferimento, quello quasi definitivo, fu quello a Londra se non erro.
Sì, andai a vivere a Londra perché all’epoca avevo un ragazzo che viveva lì. Fu più una coincidenza dettata da ragioni sentimentali che strettamente musicali. La fortuna fu che lui è un musicista e quindi ebbi sin da subito uno sguardo privilegiato sulla scena musicale di quelli anni. Si parla di più di dieci anni fa ed in quel periodo non pensavo minimamente che sarei stata una dj. Avevo l’idea che per fare questo mestiere bisognasse essere estremamente tecnici e pensavo che fosse collegato unicamente alla musica elettronica. Per questo il mio primo approccio fu con il mondo delle live band, in cui trovai tanti amici, tra cui Giorgio Poi (Bomba Dischi n.d.r) che all’epoca stava studiando per diplomarsi come chitarrista jazz.
A quel punto frequentavi un ambiente musicale molto delineato. Quale fu il momento di transizione che ti avvicinò al djing?
Frequentavo un ambiente stimolante e pieno di idee. Andavo in tour con le band, i miei amici di Londra mi portavano ai party meno convenzionali, quei luoghi dove poi le idee prendevano forma e dove nascevano nuovi generi musicali. Una sera andammo in uno di questi party che si tenevano nei basement di alcuni palazzi in periferia. Lì ascoltai un musicista iraniano che suonava alcuni strumenti tradizionali e fu un momento di grande ispirazione. Dopo il concerto ci fu un dj set al piano superiore, dove un dj stava suonando dentro una cucina, e stava mettendo dischi di cumbia peruviana davanti alle persone letteralmente impazzite per quel sound. Sapevo che i latini andavano pazzi per quelle sonorità ma era la prima volta che vedevo un dancefloor culturalmente eterogeneo essere preso così bene da quella musica. Fu lì che nella mia testa ci fu un click e compresi cosa volevo fare davvero nella vita. Sono passati undici anni da quella notte, ma ancora me la ricordo.

Un fenomeno che aveva investito anche l’Italia in alcune nicchie, ma che è arrivato con maggior forza solo diversi anni dopo, probabilmente per un diverso flusso migratorio e diverse forme di integrazione delle seconde e terze generazioni di migranti.
Sì, e credo di essere stata fortunata a vivere quella realtà in quelli anni a Londra. Era in atto un forte processo di contaminazione che rese possibile esplorare prima sonorità che in altre nazioni sono arrivate solo in un secondo momento.
Parlando di cumbia, recentemente ho ascoltato un tuo set focalizzato su questo genere, in cui tra l’altro usi un setup tecnicamente pensato per la miglior resa possibile di una selezione apparentemente così particolare.
La storia di quel dj set è abbastanza strana. Stavo per trasferirmi ad Amsterdam quando mi chiesero di realizzarlo ed il mio mixer aveva smesso di funzionare. Lo portai da un caro amico che ha un negozio famoso a Berlino in cui tra le altre cose si occupano proprio di manutenzione. Mi disse che purtroppo non c’era niente da fare e mi diede in prestito quel mixer rotativo a cui poi aggiunsi una dub siren analogica costruita da un amico del mio ragazzo. Quando devo fare delle sessioni di pura selection il mixer rotativo è il mio preferito perché mi permette di fare delle transizioni molto più delicate e con la dub siren riesco a dare quel flavour che mi piace particolarmente.
Passando al presente, c’è un nome di cui abbiamo parlato poco prima di questa intervista che ha avuto una certa rilevanza nel tuo percorso, mi riferisco a Gilles Peterson. Come vi siete conosciuti e com’è nata la collaborazione con Worldwide FM?
All’inizio ho seguito Gilles e molti degli artisti che produceva in tanti concerti e party. Ascoltavo quotidianamente la musica che passava in radio e quindi ancora oggi mi definisco una grande fan. Quando ero a Londra se sapevo che suonava in un locale andavo sempre ad ascoltarlo ed è sempre stata una fonte d’ispirazione. Quando mi sono trasferita ad Amsterdam mi hanno proposto di creare uno show per Worldwide FM, ma ancora non avevo avuto occasione di conoscerlo personalmente e di presentarmi. Poi un giorno camminando per strada con un mio amico lo incontrammo e da lì lo conobbi e diventammo amici. Ci tengo a sottolineare che se ancora oggi posso fare quello che mi piace è merito suo, della sua influenza, delle sue idee e della sua ispirazione. Gli sono molto grata.
Gli ultimi diciotto mesi hanno generato necessità diverse in termini di fruizione della musica. Il pubblico sembra aver sviluppato abitudini di ascolto diverse da quelle che conoscevamo. Fino a qualche anno fa vivevamo in un contesto dove l’unica formula legata al clubbing era quella di dj set prevalentemente monolitici in termini di genere musicale, oggi semrba che ci sia molta più voglia di mettersi in gioco. Percepisci anche te un cambiamento di direzione in questo senso?
Bella domanda. Credo che la pandemia abbia portato ad una saturazione di alcuni schemi mentali, sia da parte dei dj che da parte del pubblico. Tutti abbiamo iniziato a chiederci come mai le cose dovessero sempre andare nella stessa direzione, creando compartimenti stagni dove definire ciò che ascoltavamo e ballavamo. C’è stato sicuramente un reset e una presa di coscienza sulle nostre abitudini. Ho potuto sperimentare anche negli ultimi dj set un pubblico molto più partecipe ed entusiasta nei confronti di sonorità meno convenzionali. La mia proposta musicale non è strettamente correlata al concetto di mixing e molti dei brani che propongono hanno spesso lunghe intro. Una volta avrei avuto paura di proporre certi dischi, ora sento di poterlo fare in maniera molto più istintiva e genuina, di fronte a molte persone che oltre a ballare scelgono anche e soprattutto di essere ascoltatori attenti.

Mi viene in mente un parallelismo con uno dei punti di partenza di questo mondo, ovvero il celebre Loft di New York, dove Dave Mancuso era incurante di certi meccanismi e si concentrava su una selezione molto emotiva e meno tecnica. Se è in atto una rivoluzione, ha comunque dei tratti comuni con le origini e le radici di ciò che amiamo.
Sì, e credo che il pubblico sia diventato più consapevole dopo questo periodo. Le persone hanno avuto molto tempo per riflettere su cosa piacesse loro veramente e su come non abbia senso inseguire qualcosa solo per i trend del momento. Se c’è una cosa che è diventata molto chiara è che il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo e non possiamo permetterci di perderlo inseguendo cose che non ci piacciono davvero. Però devo anche dire che c’è differenza tra essere consapevoli e decidere di agire per cambiare le cose. Prendo spunto da un episodio che mi è successo di recente in cui mi stavo esibendo ed alcuni colleghi non sembravano prendermi molto sul serio, probabilmente per il mio essere donna. Mi chiedo se sia utile rendersi conto dell’esistenza di un problema senza fare nulla per risolverlo. Chissà se una volta tornati alla normalità e alla frenesia della vita quotidiana queste riflessioni porteranno a qualcosa o se tutto tornerà semplicemente com’era prima.
Questo purtroppo non possiamo saperlo, ma possiamo cercare di agire nel nostro piccolo quotidianamente per far sì che certe posizioni possano cambiare. Hai parlato di futuro, tu come ti immagini il tuo dopo un periodo così particolare ma anche denso di soddisfazioni per te?
Continuerò ad impegnarmi per meritare la fiducia che fino ad oggi mi è stata data lavorativamente e da parte del pubblico che mi supporta. Mi concentrerò sempre sulla ricerca di dischi, continuando a viaggiare nelle case dei collezionisti e nelle fiere, quando sarà possibile andarci nuovamente. Voglio fare del mio meglio quando sono dietro la consolle ed allo stesso tempo voglio continuare a migliorare nel mio lavoro radiofonico. Mi piace molto questa carriera parallela che mi permette con il mio show mattutino su Worldwide FM di proporre suoni da tutto il mondo. Durante il lockdown è stata una delle fonti di energia vitale che mi hanno permesso di stare bene con me stessa e con gli altri. Ne sono grata ma sono consapevole che nulla è dovuto e tutto è guadagnato.
31.08.2021