In questi primi mesi del 2020 abbiamo avuto tutti la testa molto occupata da una pandemia che ha praticamente bloccato il pianeta. Un virus che ci ha costretto a rallentare, a fermarci, a fare i conti con una serie di aspetti della vita sociale contro cui mai avremo immaginato di sbattere. La maggior parte di noi è nata e cresciuta in una società senza guerre, senza povertà vera, senza problemi di prime necessità inevase. In sintesi, siamo sempre stati bene, chi più chi meno. E col tempo, abbiamo seriamente pensato di essere una società invincibile. Con dei ritmi e delle esigenze imprescindibili. Invece, il Covid-19 ha bloccato tutto e ci ha messo nelle condizioni di rivedere diversi aspetti di ciò che facciamo e delle dinamiche che fanno girare le nostre vite. A maggior ragione, quando parliamo di musica. Il bilancio è drammatico: l’estate è alle porte e ancora non sappiamo se e dove sarà possibile andare a ballare. E soprattutto, manca la musica.
Il 2020 era inizato molto bene, con diversi successi e un curioso fermento verso la musica dance, dopo qualche stagione di risacca. Gli anni ’10 sono appena finiti, ci siamo lasciati alle spalle – da qualche stagione ormai – le fortune dell’EDM, che, con buona pace di chi l’ha sempre detestata, ha messo il turbo a tutta la club culture. E anche trap, dancehall e reggaeton nel 2019 hanno iniziato ad avere il fiato corto. Con l’inizio del nuovo decennio, la cassa in quattro stava tornando, ancora una volta, prepotentemente al centro della scena: basti pensare a hit come ‘Boogieman’ di Ghali e Salmo, a ‘Bando’ di Anna, e ovviamente alle tante club-hit internazionali che partendo da un sottosuolo techno e house, stavano cominicaindo a girare per bene anche in circuiti più mainstream. Un po’ come è successo a tante tracce delle ultime due stagioni (basti citare ‘Losing It’ di Fisher, per dare un’idea). Ma poi è arrivato il virus, e quindi il lockdown, e quindi i club chiusi, i festival annullati, e un generale “ci vediamo nel 2021” che ha distrutto le aspettative e i progetti di molti artisti e discografici, scatenando anche un certo panico tra dj, manager, agenzie di booking e promoter.
Se marzo e aprile sono stati i mesi della preoccupazione e delle previsioni più nere, nelle ultime settimane abbiamo tutti rialzato la testa, perché davanti a noi uno scenario e delle previsioni più ottimistiche, e la voglia di tornare a vederci, a frequentarci, a stare bene nei locali e nei festival si fa più forte. D’altronde sta arrivando l’estate, e la bella stagione chiama la voglia di ballare. È un assioma. Ma proprio qui sorge la grande domanda: cosa balleremo quest’estate? Perché è abbastanza chiaro che dopo i primi mesi dell’anno, non ci sono più state hit. Avete notato? Non è uscito nulla di così potente da poter mettere in piedi un trend per l’estate. Non ci sono hit da club e anche il numero di produzioni di genere è drasticamente calato. All’inizio del lockdown abbiamo sentito molti producer affermare “con i club chiusi, avremo tanto tempo per fare musica nuova”. Solo che questa musica non è quasi mai dedicata ai dj e clubber. Probabilmente, perché a stare lontani dai club passa anche l’ispirazione per quel genere di produzioni. La musica dance deve rispettare un requisito fondamentale: dev’essere funzionale, deve far ballare. E se i dj e i producer non hanno il dialogo costante con chi li va a sentire, quel tipo di energia, anche in studio, viene meno. Avere i club chiusi per tre mesi non è certo stimolante in questo senso. La dance è un linguaggio in costante e rapida trasformazione; i mesi della pandemia hanno tirato un pesante freno a meno a questa corsa.
Ma c’è un altro, enorme, problema a complicare ulteriormente un anno che sarà difficile dimenticare: anche ammesso che nel giro di poche settimane escano una serie di pezzi stratosferici, non sappiamo come e dove sarà possibile ascoltarli. I festival sono tutti cancellati; i club non hanno ancora delle certezze sulle riaperture. Solo l’idea di immaginarci in mezzo ai nostri amici, a centro pista, sotto cassa, a entusiasmarci quando entra un basso che fa saltare tutto e la cassa che fa ripartire un drop, ci commuove. L’idea di ascoltare, di guardare i nostri dj preferiti, di fare l’alba, di uscire dal locale con le orecchie ancora gonfie di musica, ci fa stare male. Eppure, ad oggi, a metà giugno 2020, il futuro prossimo di tutto questo mondo galleggia nell’incertezza, correndo il rischio, più forte di giorno in giorno, di affogare.

Se vogliamo guardare la realtà, è vietato riunirsi, ci sono disposizioni sanitarie e sociali precise che proibiscono l’apertura di locali come le discoteche, e impediscono lo svolgimento di eventi come i concerti e i festival. Però è possibile fare manifestazioni. Lo ha dimostrato la destra politica a Roma. Lo hanno dimostrato innumerevoli manifestazioni anti-razziste nel fine settimana. Lo dimostrano bar e locali di aggregazione dove le distanze sociali, com’è logico che succeda, saltano insieme alle mascherine. Eppure, i club no. I concerti no. I festival no. C’è qualcosa di profondamente ingiusto che sta diventando grottesco. Di più: surreale. Riapre tutto, si fa spalluce, si fa passare in cavalleria, si fa finta di niente anche di fronte a decine di migliaia di persone accalcate nelle piazze. Se ci pensate, è la cosa più vicina a una concerto o un festival che si possa immaginare. Ma loro sì. E noi, no. C’è qualcosa che non va.
09.06.2020