• DOMENICA 24 SETTEMBRE 2023
Interviste

Cosmo ci racconta il mondo del futuro: musica, politica, libertà, festa, droga. L’idea di una società matura

In una lunga intervista per parlarci del suo nuovo album, il cantante/producer ci ha condotti sulle rotte di argomenti che partono dalla musica ma spiegano l'idea di una società in evoluzione, in trasformazione, in tutti i suoi aspetti

Foto: Chiara Lombardi

Un ritorno attesissimo. Che non delude le aspettative. Cosmo non è più il personaggio di nicchia di qualche anno fa, il cantante che mescolava in modo sorprendente la forma canzone con il mondo elettronico, prima flirtando con la galassia indie e poi rimarcando in maniera via via più profonda il suo background da clubber, con un percorso in costante evoluzione fin dai tempi della band Drink To Me, passando poi per gli album da solista. Ed è stato molto bravo nel girare intorno al pop innestando di volta in volta la componente elettronica e da club in modo sempre più presente, con ‘L’Ultima Festa’ (2016) e poi, definitivamente, con il best seller ‘Cosmotronic’ (2018) con cui ha sfondato delle barriere ancora molto resistenti nel panorama della musica italiana, riuscendo ad arrivare alle radio, ai media, a un pubblico sempre più vasto in streaming come dal vivo, con un tour di enorme successo che ne ha consolidato lo status.

Oggi Cosmo è un artista su cui i riflettori sono puntati con la luce al massimo: il nuovo album ‘La Terza Estate Dell’Amore’ è un lavoro atteso dai fan come dal tutto il sistema dello spettacolo, sia per il successo del suo predecessore, sia perché l’autore è stato talmente bravo a rinnovare e rinfrescare il linguaggio pop – musicalmente ma anche nel suo modo di porsi – da essere una case history assolutamente intrigante, da ogni punto di vista. Il nuovo lavoro riprende il filo del discorso lasciato in sospeso con ‘Cosmotronic’, ma se ne discosta nel modus operandi, nelle intenzioni e ovviamente, anche nel risultato. Cosmo e io ci siamo incontrati solo un paio di volte, di sfuggita, nelle hall degli hotel o dietro qualche palco, occasioni sempre concitate, saluti rapidi, nulla più di qualche convenevole. Eppure, ora che siamo di fronte, attraverso uno schermo di computer e una videochiamata, mi sembra di riprendere una chiacchierata con un amico di vecchia data, che esordisce annunciandomi felice la nasciata della figlia (la terza, dopo due maschi: congratulazioni!) e con cui l’intervista inizia così, senza troppi fronzoli, comodi tra una chiacchiera e l’altra. Un’intervista di quelle belle, vere, rare, dove si va molto oltre la promo del disco: arriveremo a parlare di comunità, di politica, di droghe, del concetto di festa, di sentimento comune e del silenzio della politica di fronte alle esigenze di un intero settore di lavoratori. Tutti aspetti che fanno capire perché Cosmo abbia tanto successo. Perché è un artista capace di instaurare un dialogo profondo con chiunque lo ascolti, e di creare uno scambio da cui poi, alla fine, che sia quando si esce dal suo concerto o si clicchi sul tasto che termina la conversazione, ci si sente arricchiti.

 

Mi piacerebbe iniziare riavvolgendo il nastro di un paio d’anni, a quando è esploso il successo di ‘Cosmotronic’ e del suo lungo tour, cresciuto di data in data grazie soprattutto al passaparola entusiasta del pubblico. Ecco, cos’hai pensato quando è calato il sipario e si è spenta l’ultima luce dell’ultima data del tour, dopo quella gigantesca festa del Forum?
Devo essere sincero, io tutto questo successo di ‘Cosmotronic’ e del tour, l’ho un po’ patito, ho fatto fatica a gestirlo. All’inizio ero molto carico, facevamo i concerti, poi gli afterparty con la mia crew Ivreatronic, insomma si iniziava alle nove di sera e si finiva alle cinque, in certi stati… poi durante l’estate ho iniziato ad avvertire anche un po’ di disagio, di stanchezza. Il Forum l’abbiamo fatto a febbraio 2019, io a ottobre 2018 stavo per tirarmi indietro, non volevo più farlo.

Ma come?
Sì, ero stanco, avevamo finito in bellezza con Movement… dovevo staccare. Infatti sono andato in vacanza con la mia famiglia e ho fatto bene, perché poi ero pronto, ricaricato.

Che cos’è stato il Forum per te?
È stata una grande festa, ma è stato anche il momento in cui ho messo un gigantesco punto, la parola fine a una fase lunga e importante della mia vita, iniziata addirittura con i Drink To Me, in cui facevo disco-tour-disco-tour, a ritmi di un disco ogni due anni, o anche con maggiore frequenza. Quindi immagina, non avevo mai staccato davvero. Dopo il Forum mi sono detto “ok, adesso metto un punto a ciò che ho fatto finora, anche a Cosmo per come è stato finora”. E per la prima volta mi sono preso davvero tutto il tempo necessario per pensare e progettare il nuovo disco. Non ho fatto niente per un anno, quando mi veniva qualche idea, e pensavo “devo correre in studio a buttarla giù!” mi forzavo di ricacciare indietro quella scimmia, di starmene lontano dallo studio, di fare in modo che ci fosse del tempo, un guado, prima di rimettermi davvero a lavorare. Ho avuto modo di raccogliere le idee, ecco.

 

E quando hai raccolto le idee?
Quando ho raccolto le idee è arrivata la pandemia! Quindi sono rimasto ancora più bloccato. Però quello che ho percepito è stato una capacità nuova di riuscire a gestire le mie, diciamo “fissazioni”, nel disco. In passato i miei vari input erano presenti ma separati, se pensi a ‘Cosmotronic’ il lato nettamente club è proprio relegato al “disco 2”, no? In ‘La Terza Estate Dell’Amore’ ho rotto quegli indugi, ho mescolato suoni, linguaggi e stili come mai avevo fatto prima. Nei mesi in cui eravamo bloccati in casa ho fatto molta ricerca, tanti dj set per Ivreatronic, e ho realizzato che la musica che sentivo mi piaceva molto più della mia, che tra l’altro non riuscivo mai a inserire nei miei set. Così mi sono deciso: avrei fatto qualcosa di nuovo; e infatti ‘La Terza Estate Dell’Amore’ mi piace e mi soddisfa molto più di qualsiasi mio lavoro precedente.

Ascoltando questo disco, si percepisce quest’amalgama di linguaggi: il rave, le canzoni, la voglia di andare a fondo nell’essere proprio un producer.
Sì, è così, proprio una commistione di linguaggi, è il termine esatto. Poi non so spiegarti esattamente, è un istinto che ho sviluppato in quest’ultimo anno o due, per cui capivo cosa stava funzionando, quali direzioni erano quelle giuste, quali no. E cosa mi piace sentire sul dancefloor: la acid, l’impostazione solare di fine anni ’80, che sia balearica, acid house, appunto, un “sambodromo” di sintetizzatori, il beat rallentato di cui mi hanno fatto innamorare Marco Foresta e Hugo Sanchez di Tropicantesimo… l’electro, che peraltro sta tornando in gran spolvero, no? Il breakbeat. Linguaggi che ho capito piacermi, e mi elettrizza questa voglia di ricerca perché ho 39 anni e mi sento uno che ancora sta esplorando dei territori vergini. Anche per dei mixati che sto preparando, ho capito che mi interessano le tracce non prodotte da produttori house e techno canonici, i freak, quelli che li ascolti e pensi “ma senti questo come ha declinato questo mondo!”. L’elettronica è qualcosa di sterminato, le possibilità sono infinite, lo ripeto sempre anche ai ragazzi, ai ragazzini che mi scrivono consigli sulla produzione.

‘La Terza Estate Dell’Amore’: il titolo ha un riferimento molto preciso, credo sia chiaro a molti ma oscuro per molti altri. Ecco una caratteristica che apprezzo di te: riesci ad essere universale però partendo da una materia molto settoriale. Non ti fai mai la pippa “ma lo capiranno tutti? Arriverà?”?
No, no… chi se ne frega! Chi è pronto a cogliere, coglie. Se parliamo di rave o di hippie, e non sai a cosa ci riferiamo, è un problema tuo. Voglio dire, c’è internet, cerca. E comunque nel disco c’è un manifesto che spiega bene quello che intendo, è già in Rete, si trova. Del resto, ho smesso da tempo di pensare di poter arrivare a tutti. Ammetto che mi sono un po’ arreso al fatto che viviamo nell’epoca delle sottoculture, della razionalità multipla. Ci sono varie tribù: ad esempio, i no vax sono una tribù. I negazionisti sono una tribù. Esistono, hanno dei loro valori. Siamo tante tribù che convivono, io mi rivolgo ovviamente a chi vuole e può cogliere, capire quello che esprimo.

 

 
 
 
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Il manifesto del disco, di cui accennavi ora, mi ha fatto molto godere – peraltro godere è un concetto ricorrente nella tua poetica – e mi ci ritrovo, lo postiamo qui sopra a favore dei lettori (basta scorrere la gallery). Mi ha fatto sorridere, qualche giorno fa, il commento sulla bacheca di un amico, di uno che scriveva “facile parlare di superamento del capitalismo quando si chiedono 15mila euro a data”. È una critica talmente antica da declassarsi a cazzata da bar, ma prendiamola come termometro di obiezione a un manifesto così diretto e deciso: come risponderesti?
Ed esco pure su una major, perché mi distribuisce Sony! Sono critiche di cui non me ne frega niente. Degli hater, dei commentatori da internet… sono cose che non concepisco. L’idea che un musicista, una persona di spettacolo, riceva dei compensi e non debba avere un’idea, non debba schierarsi, siamo ancora lì? Poi non mi sento certo il salvatore di un cazzo, non salvo niente e nessuno con la mia musica. Ma voglio far emergere certe idee, voglio che entrino o rientrino nel linguaggio comune, perché se un’idea la cancelliamo dal linguaggio, è morta. Le idee, le parole, muoiono. Spariscono.

E come puoi fare in modo che diventi un messaggio e non soltanto uno slogan da campagna di lancio del disco?
Eh, lì… dipende da come lo gestisci. Io ho preferito lanciare un manifesto piuttosto che tante altre menate, perché volevo che disco e manifesto si accompagnassero. L’intellettuale organico è una figura desueta ma credo sia essenziale rivalutare la lotta ideologica, io vorrei fare qualcosa di simile a un club, nella concezione proprio culturale e sociale del club, con una condivisione di valori. Il ballo è uno statement politico, e la situazione che stiamo vivendo ne è la prova.

Cioè?
Cioè siamo stati estromessi a livello di esistenza. Non esistono ancora i protocolli per andare a ballare, non c’è un tavolo di discussione. Adesso fanno gli esperimenti al Fabrique, alla Praja, ok, ma potevamo risparmiarceli a questo punto. Invece sento il ministro della Salute dire che non è ancora tempo di pensare di parlare di riaprire i club. Capisci? Non pensare di riaprire, ma pensare di parlarne. È ammissibile? Noi ci siamo offerti con Emiliano Colasanti di 42 Records, e con DNA Concerti, di sperimentare dei format per i live in diverse regionali italiane. Ci mettiamo la faccia. Ci facciamo carico di essere le cavie. Niente, si fatica a aprire un qualsiasi dialogo, è tutto un “ma”, un “se”, un “vedremo”.

Sentirti parlare in modo così esplicito di politica, in senso propositivo, costruttivo, mi fa venire in mente il manifesto che Paul van Dyk aveva inserito nel suo mix album del 2001 per Ministry Of Sound, si chiamava ‘The Politics Of Dancing’, in cui diceva che se è ovvio che la musica elettronica abbia a che fare con il ballo, con il “dancing”, altrettanto ha a che fare con il “politics”, con la politica. Ballare è un atto politico. E lo credo anch’io: la stagione dei rave, della Love Parade, la stessa Second Summer Of Love del 1988 da cui parafrasi in parte il titolo del tuo album, ma anche l’edonismo degli anni ’90, godere – di nuovo – sono tutte scelte politiche precise, generazionali e post-ideologiche, ma non per questo per forza non impegnate.
Sì, è un’idea di impegno politico che voglio entri sempre più nella mia musica; ovvio, scopro l’acqua calda, ma credo ci sia bisogno di mettere in giro energie diverse, sennò si entra davvero nella più conformista delle epoche. Il titolo ‘La Terza Estate Dell’Amore’ è anche un’invocazione, siamo stati così annichiliti nell’ultimo anno e mezzo che mi auguro davvero possa esplodere una stagione dell’amore, anche se credo ci vorrà del tempo prima che le persone si riprendano da questa sbandata, perché da quindici mesi ci sentiamo ripetere “ballare? Ma non-se-ne-parla!”. E sai chi si prenderà cura dei ragazzi, delle ragazze, delle persone con traumi psicologici che hanno subìto tutto questo?

Chi?
Noi, i dj, i cantanti, i musicisti. Quindi per forza stiamo parlando di un atto politico, quello di riprenderci la vita, quella normale, di sempre. Non scontata, però, a questo punto. Da qualche parte ho letto questa frase, bellissima: “se non si potrà ballare, non sarà la mia rivoluzione”. È così, mi ci rivedo. Nell’impegno politico dev’esserci la festa, è importante. La festa, il concetto di festa, è una forza prorompente, aggregatrice, che coinvolge perché è un’utopia realizzata.

Foto: Chiara Lombardi

Quando ti sei rimesso in moto per progettare il nuovo album quali erano gli stimoli, le ispirazioni?
In questo disco ogni canzone è un mondo a sé, nei suoni, nelle idee, è un corpus coeso, spero, ma eterogeneo. Ogni volta, in ogni pezzo in lavorazione, c’era un nucleo musicale da cui partivo che però doveva portarmi in una specie di trance, ho lasciato respirare i pezzi in modo da creare una sospensione. In studio ho ballato tantissimo, e poi emergevano le sfumature: una 303, delle percussioni tribali, a dare una direzione. L’importante era sorprendermi, c’era meno progettualità e più flusso. Se su ‘Cosmotronic’ avevo le idee chiare: cassa dritta, un po’ tagliata sui bassi, quadrata, un respiro regolare. Un metodo collaudato. Qui invece ho mescolato tutto, breaks, bassi, mix anche confusi talvolta, giravo le manopole e sentivo cosa poteva succedere.

Usi parecchio lo studio come strumento di sperimentazione, vero?
Sì, sì, mi diverto, ci perdo ore, giorni. Ho tantissimi synth e hardware anche se poi mi sono ridotto a produrre il disco quasi tutto con un modulare e una drum machine.

Lavori da solo?
Sì, sempre, in tutta la fase di produzione. Poi per mix e master sono andato da Andrea Suriani, Suri, a Bologna, era autunno, un periodo in cui stava richiudendo l’Italia con le varie zone rosse. Periodo terribile. E lì ho preso dei funghi allucinogeni in un bosco insieme a un amico, ho pensato: questo mi salverà dalle notizie per qualche settimana.

Ecco, è interessante il modo in cui parli sempre in modo esplicito di droghe: non ne fai mistero ma hai un approccio molto adulto, ne tratti come si tratta un argomento delicato ma con una mentalità direi propositiva, del tipo: è un fenomeno che fa parte delle nostre vite, esiste, può essere divertente ma anche pericoloso, se ne deve parlare senza falsi moralismi. Ho ragione?
Ma certo, è così. Un mio amico, Enrico Petrilli, ha scritto il libro ‘Notti Tossiche’, una ricerca accademica in cui cerca di ribaltare la percezione sul tema. La guerra alle droghe ha fallito miseramente, è un fatto. Magari è stata un’ingenuità necessaria, si trattava di un fenomeno nuovo. Ma oggi bisogna prendere atto che le cose stanno in un altro modo. Molti ragazzi abusano di droghe, qualcuno ci lascia le penne ma parliamo di percentuali basse sulla totalità dei consumatori, e quindi, soprattutto, va creata un’educazione, non una repressione: è molto probabile che i ragazzi provino l’ecstasy, quindi non fingiamo che non sia così, insegnamogli invece come si assume, diciamogli che devono idratarsi molto, non fumare, non bere alcolici, non mischiare con altre sostanze. Questo andrebbe fatto. Anche questa è politica. Siamo una società sclerotizata e narcotizzata, il problema non è la droga ma il rapporto morboso con la droga, come il denaro, il lavoro, il sesso, il telefono. In alcuni casi la droga può rovinare la vita di una persona, in altri può essere ricreatvia, in altri ancora essere addirittura un’esperienza formativa. Bisogna imparare a trattare le droghe da adulti, non da vecchi sclerati o da bambini.

Credo che questa sarà la grande sfida della società del futuro: una chiave di lettura adulta, aperta, su tutti i temi importanti, dai diritti umani e sociali, alla vera parità di opportunità al tema delle droghe. 
Certo, è una società che si basa su schemi che sono saltati, superati, e la politica deve rimettersi al passo, non vivere di facile propaganda e poi vivacchiare nelle istituzioni.

Foto: Chiara Lombardi

Senti, torniamo alla musica: mi piacerebbe chiederti del prossimo tour ma al momento mi sembra una grande incognita.
Eh, il tour… come ti dicevo con DNA abbiamo bussato alla porta di diverse regioni, ci siamo proposti di fare delle date con i test, con delle modalità sperimentali, ma la verità è che un concerto come il mio deve essere vissuto in piedi, ballando, e anche con tutte le nostre idee in campo abbiamo notato un pregiudizio ideologico, morale, proprio, dall’altra parte, quindi siamo in stand by rispetto a tutto questo. “Ci penseremo”, ci dicono.

Come ti piacerebbe portare in giro ‘La Terza Estate Dell’Amore’ ?
Sicuramente l’ideale è un rinnovamento totale della concezione del palco, degli spazi, vorrei che non ci fosse la classica dinamica del pubblico che guarda noi lassù. Vorrei far perdere la bussola a chi è lì, immerso, dentro, senza l’attrattiva del palco ma con quella di stare insieme, in mezzo alle altre persone. Qualcosa di più simile al clubbing che al concerto. Vorrei far viaggiare tutti fortissimo.

Una discoteca-labirinto.
Ahahah! Sì! Non un concerto, non uno spettacolo ben fatto. Un’esperienza. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Albi Scotti
Giornalista di DJ Mag Italia e responsabile dei contenuti web della rivista. DJ. Speaker e autore radiofonico.

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