Se c’è un artista di cui si può dire tutto e il contrario di tutto, questi è Dargen D’Amico. Perché è lui per primo, e il suo mondo, ad essere un coacervo di contraddizioni e un caleidoscopio di sfaccettature differenti. C’è il Dargen dance della “Banana frullata”, quello emotivo e introspettivo di “Arrivi stai scomodo e te ne vai” o di “Odio volare”, il Dargen versione stream of consciousness dei diciotto minuti di “Nostalgia istantanea”, quello cazzone di “Bocciofili”, quello di “VV”, di “Il presidente”, di “Van Damme” e ancora altre mille galassie di D’Amico. A gennaio, Dargen uscirà con il nuovo album di inediti; il disco nuovo sarà preceduto da un box speciale, già acquistabile in Rete, e in arrivo dal 2 dicembre, contenente tutta la discografia di JD, gli album, le collaborazioni, alcuni outtakes, remix e brani inediti (raccolti nel disco “L’Ottavia”). Intanto, D’ ha caricato diversi video su YouTube, con pezzi inediti, perlopiù remix di vecchie cose e demo mai pubblicati. Fare un viaggio nella discografia dargeniana è come passare attraverso un buco nero che sul suo Orizzonte degli Eventi inghiotte il rap, il pop, l’elettronica, uno stile unico di scrittura e di intendere la musica italiana che mette insieme tutti questi elementi, e che in un decennio scarso ha collocato Dargen in un posto tutto suo nel panorama musicale del nostro Paese.
In attesa di ascoltare tutto il malloppone, e di scoprire poi il nuovo album di inediti (che, se ordinate il box, vi verrà spedito automaticamente a gennaio), ho chiesto a Jacopo di parlarmi della raccolta; ne è uscita una chiacchierata originale nei contenuti, e anche nelle modalità (poteva essere altrimenti?): una chat su Skype continuata poi via WhatsApp, quindi aggiustata (la punteggiatura in chat è quello che è, una regola da cui non siamo sfuggiti neppure noi) e messa in bella copia. Quasi surreale.
Il tuo nuovo progettone si chiama “D’iO”, un titolo altisonante e come sempre molto ironico. Che ci troviamo nel megabox? Dargen, Dio, tanta musica?
C’è tutto, relativamente a me. Ogni album che ho pubblicato, molti inediti, Dio e io, D’ un po’ come Io, Robot.
Da dove nasce la voglia di raccogliere tutto il tuo materiale in un nuova edizione completa, tipo enciclopedia universale D’Amico?
L’idea in realtà è di Gaudesi, dovremmo chiederlo a lui (Francesco Gaudesi, manager e socio di Dargen nell’etichetta Giada Mesi, NdA). Anche se nasce dalle richieste di ristampare i dischi esauriti, in realtà l’Edizione Enciclopedica era quasi implicita come habitat per la presentazione del disco nuovo, che è il succo di questi ultimi dieci anni di parole. Durante la lavorazione, il box ha preso anche una piega mistica, di revisione impietosa del proprio operato.
Sei uno di quelli che riascoltano i propri vecchi dischi o metti invece le cose fatte in un cassetto, chiudendolo poi a chiave?
Ultimamente sono stato costretto a riascoltare molti brani, purtroppo. Non mi mancano le mie cose, una volta chiuso un disco difficilmente vado a riascoltarlo. C’è della musica bellissima in giro, non vedo perché dovrei riascoltare le mie cose.

Un punto di vista interessante. Qualche mese fa ho riascoltato un paio di volte “Musica senza musicisti”, tuo album del 2006; chiaramente si sente una distanza stilistica e di scrittura rispetto a lavori più recenti, però mi sembra invecchiato bene. Come vivi la distanza temporale di certe cose che ai tempi erano clamorosamente innovative? Pensi di essere rimasto uno che riesce ad essere innovativo o non ti interessa?
Il tempo passa e non passa, la vita è un bell’esempio, non sempre un bell’ambiente ma sicuramente un bellissimo esempio. Si nasce già morti e anche per i dischi è così. Quel disco non voleva essere innovativo, voleva essere se stesso. E non è innovativo, fortunatamente essere innovativi è improbabile. Diffida da chi dice di innovare, ovunque, in qualsiasi campo, dalla musica a scendere.
Anche il nuovo disco nasce già morto, allora? Mi puoi raccontare qualcosa in proposito?
Chiaro, non è certo un’eccezione. “D’iO” è il disco in cui ho cercato di unire i puntini lasciati sparsi dai dischi precedenti. Prima cercavo di dire che è per questo motivo che non stonava l’idea di veicolarlo verso il mondo – che non poteva più vivere senza – anche all’interno di un box enciclopedico. E anche “L’Ottavia” ha questa indole, anzi possiamo dire che “D’iO” e “L’Ottavia” si trovano precisamente nello stesso punto, schiena contro schiena. Uno con lo sguardo rivolto indietro, diciamo verso il passato per capirci, e l’altro rivolto verso il futuro.
Con chi hai lavorato al nuovo materiale? C’è sempre Marco Zangirolami ai controlli? Chi sono i produttori e i beatmaker con cui hai lavorato?
Diciamo che qualsiasi produttore abbia incontrato da febbraio a luglio è poi finito nel disco, anzi nei dischi. Devo abituarmi a dire “nei dischi”, è come quando aspetti UN figlio e il medico ti annuncia che in realtà sono MOLTI gemelli. Però non ti faccio un elenco dei produttori perché lo trovo volgare. A proposito di volgare, Zangirolami è fonico in tutto e per tutto.
Anche fotonico in tutto e per tutto. Ma qualcuno ha mai detto a Zangi che è il twin di Aphex Twin, a proposito di gemelli? Anche se Zangi è più bello!
Zangi è il sosia di chiunque porti i capelli rossi lunghi. È molto bello ma io lo vedo come un amico, e lo vedo soprattutto di spalle a causa del lavoro che svolge.
A questo punto del tuo percorso, ammesso che sia necessario, come ti definisci? Te ne hanno dette di ogni: cantautorap, rapper alternativo, genio, outsider…
No dai, seriamente, terrei a sottolineare come faccio da almeno un anno – e ci sono le prove – che questa cosa del rap che in realtà è il nuovo cantautorato ci è un po’ scappata di mano. Va bene scherzare su tutto, io sono il primo a farlo, però è il momento di darsi una calmata e fare un trapasso indietro. Le persone hanno cominciato a crederci. Per quanto mi riguarda, “cantautorap” è nato come neologismo infelice per dare una risposta simpatica durante un’intervista, non ci ho mai creduto fino in fondo, so bene quello che hanno fatto i cantautori italiani. So anche che le etichette sono necessarie, specie nella moda. Però oggettivamente oggi la maggior parte del rap italiano è simile a una lista della spesa, una wishlist di prodotti della moda e viene comunque etichettato dagli addetti ai lavori come nuovo cantautorato, anche senza fondamento. I cantautori invece non si sapevano vestire. Le strofe rap italiane sembrano articoli di Vice Italia. Che poi su Vice Italia vi sono un sacco di contenuti interessanti tradotti dai Vice del resto del mondo. I rapper d’Italia invece traducono dai rap del resto del mondo solo i flow e le cose meno affascinanti. Poi le liste della spesa sono fondamentali, però non facciamo più confusione col cantautorato. Magari riparliamone tra vent’anni.
Sono d’accordo con te, le definizioni scappano di mano e anche il rap sta scappando di mano ai rapper. Però tu non sei un rapper canonico, hai un modo di intendere il rap che ti porta inevitabilmente verso altre derive, lo dico conoscendo a memoria tutti i tuoi dischi. Non mi anticipi nessuna collaborazione presente nei nuovi brani (se ce ne sono)?
No, e può sembrare una risposta ambigua ma non lo è.
Ci sarà un tour?
Beh, è quello che si spera sempre. Vedremo con le coincidenze e le contingenze.
Non dubito che Dargen saprà sorprenderci ancora una volta. Dai primi lavori ad oggi è passato da uno status di outsider dell’hip hop ad artista di culto, venerato dai fan e dalla critica; poi ha raggiunto un pubblico sempre maggiore, e ora vedremo quale sarà la sua prossima mossa. Io mi auguro di vederlo presto in tour, e di sentire altrettanto presto il nuovo lavoro. Intanto, un ripasso generale non sarebbe male, ed ecco che “D’iO” casca proprio a pennello.
28.11.2014