Andarsene all’improvviso, giusto tre giorni dopo aver pubblicato un nuovo, acclamato album. Non si trattasse di un evento così triste e serio, direi che è una cosa da genio e da vera, imprevedibile rockstar. Una cosa da Bowie. Andarsene con un grande ritorno discografico, lanciato da un video quasai profetico, a vederlo ora: “Lazarus”, un letto d’ospedale, una sensazione e un’atmosfera macabre. Detto così fa un po’ dietrologia da due soldi. Ma anche nella casualità, David Bowie ci ha azzeccato. Un testamento artistico e visivo incredibile.
Polvere di stelle
Rockstar trasformista, decadente, scintillante. Eleganza e glitter, aplomb britannico e ambiguità, scandalo e istituzione. Un alieno caduto dallo spazio, con il dono dell’immortalità, capace di attraversare il tempo senza esserne scalfito. Un musicista sopraffino. Una voce di velluto. Un provocatore con il gusto dello spettacolo. Mick Jagger, Brian Eno, i Queen, Iggy Pop, Bono. La Storia del Novecento è passata attraverso Bowie, e Bowie ha scritto la Storia del Novecento, come pochi altri artisti. Sempre capace di anticipare e dettare le mode, innanzitutto con una manciata di hit indimenticabili – di più, generazionali -; e poi con un’immagine sempre diversa, e sempre, inevitabilmente, iconica. La polvere e le stelle. Stardust, come Ziggy, il suo stage character più significativo e storico. Ma la polvere era per gli altri, perchè Bowie era una stella. Luminosissima, abbagliante.
Genio, leggenda, icona
Tre parole che considero abusatissime. Il genio è raro da trovare, considerare qualcuno un genio per un video virale o un tormentone è troppo poco. Genio è chi riesce a condurre con successo una carriera di oltre quarant’anni, passando da “Space Oddity” a “Ziggy Stardust”, da “Under pressure” alla maturità di “The next day”, con la costante della novità, della ricerca, dell’essere sempre diverso da se stesso e da tutto quello che si sente in giro. Leggenda è chi riesce a essere credibile con un fulmine dipinto in faccia, con una benda da pirata sull’occhio, con abiti e trucco femminili, con costumi e outfit presi di peso dalla fantascienza, dal futuro, da un’immaginazione allucinata; leggenda è chi passa attraverso gli abissi e gli eccessi di sostanze degli anni ’70 e ’80 e ne esce con intoccata eleganza; chi con la stessa nonchalance reagisce alle leggende (metropolitane?) delle voci sui flirt con Mick e Iggy. Icona è chi buca l’immaginario collettivo, con i riff di chitarra, con i ritornelli, con i look unici. Quelle cose che anche un bambino conosce e sa a memoria. Quelle cose che ti sembra di aver sempre saputo, di non aver mai imparato, perchè sono così naturali da far parte di te fin da quando sei nato. Icona è chi in un film (a sua volta divenuto iconico) come Zoolander, fa un cameo come giudice in una gara tra modelli, a un tempo riferimento estetico e autoironico. Come dire, chi se non Bowie può essere giudice super partes quando si parla di estetica?

I am a dj, I am what I play
Così recitava un suo brano del 1979. Il dj da club non esisteva ancora, o meglio, non era ancora una figura affermata. Bowie si rivolgeva ai dj delle radio, che al tempo decidevano vita e morte degli artisti. Ritratto ironico e cinico, il singolo non volò alto, ma verrà poi ripreso, capovolto, come motto della filosofia dei dj. “Sono quello che suono”. Frase cara a Claudio Coccoluto, ad esempio, che spesso la cita per descrivere quella che è più di una professione. Benny Benassi, qualche anno fa, ripescò il pezzo e ci fece una sua versione. E in un’epoca in cui tutto viene citato, campionato, remixato, il numero di volte in cui Bowie è stato menzionato e ripreso è impressionante, un indice chiaro di come sia parte integrante e imprescindibile della cultura popolare e dell’immaginario collettivo. “Heroes” è usata in film, spot, tracce dance, cover, ovunque. “Let’s dance!” è un inno, un grido di battaglia in sè. “Space Oddity” è un pezzo di storia, mi viene in mente, così a caldo, il 360° Tour degli U2, dove veniva utilizzata come “sigla” di apertura dei concerti. E vogliamo parlare della cover di “Aladdin Sane”? L’immagine del fulmine, di cui già parlavo sopra, è un simbolo, come lo swoosh di Nike, il cavallino Ferrari, la M di McDonalds. Perdonate i paragoni irriverenti. il gusto della provocazione, con Bowie, è nell’aria.

Una piccola, grande meraviglia
“Little wonder” è un brano del 1997, il singolo di lancio di “Earthling”. Visto che DJ Mag è una rivista di musica elettronica, mi pare giusto concludere il nostro piccolo omaggio a questo grande artista con la sua hit più elettronica: erano gli anni della drum’n’bass, e David se ne uscì con questo pezzo pazzesco, con un sound perfettamente in linea con i tempi, e perfettamente credibile, in cui non rinunciava alla sua identità sonora per rincorrere le mode, ma dove era la moda a vestirsi addosso al suono di Bowie in maniera impeccabile, come fosse una giacca tagliata su misura. Perchè i geni sono così: non devono mai inseguire, semmai sono sempre inseguiti. Ci mancherai, Bowie. Ma la tua musica no. Perchè rimarrà in eterno, e tanto basta perchè, da vera leggenda, tu non te ne vada mai del tutto. La tua opera monumentale, e la tua immagine beffarda e austera, nobile e provocatoria, rimarrano per sempre. Come si addice a un’icona.
https://www.youtube.com/watch?v=UT2oqEHwvUY
11.01.2016