Sono un dj. Tra due minuti suono davanti a 100mila persone nella mia città, una delle più belle del mondo. Domani iniziano gli Europei di calcio e io sono qui per inaugurarli. Davanti al simbolo della città, la Tour Eiffel. Madonna, quanta gente, è pieno di gente, Champs De Mars pieni, per me. È ora, tocca a me!
Provate a immaginare a cosa pensava David Guetta ieri sera, verso le 23, quando è salito sul palco davanti alla Tour Eiffel. Io faccio fatica a mettermi nella sua testa, seppure qualche bella emozione da palco l’ho provata nella mia vita. Ma un conto è qualche migliaio di persone, un conto sono 100mila anime, di tutte le età, dai bambini agli anziani, dagli studenti alle famiglie. Lì, per te, nella tua città, quella dove sei cresciuto e dove hai tirato la carretta delle serate mal pagate, delle notti gelide dopo il club dove suonavi per cinque, sei ore sognando la gloria. Ora essere davanti alla Tour Eiffel, un simbolo di Parigi e un’icona mondiale, deve dare una vertigine, fa diventare immortali.
Ci siamo
David Guetta è già entrato nella storia per tante ragioni e in tanti modi diversi: ha portato la dance fuori dai club in tempi insospettabili, ha fatto germogliare l’EDM in America con ‘I gotta feeling’, è stato il primo a incarnare la concezione contemporanea del dj superstar, dell’icona che dal club arriva al mondo pop (Tiesto lo ha fatto percorrendo un’altra strada, e comunque è sempre rimasto molto fuori dal mondo pop di serie A). Ma la serata di ieri è storica per un altro motivo. Il suo concerto – e già il fatto che la denominazione ufficiale sia proprio quella di “concerto”, non di dj set – davanti a una folla così importante e imponente, trasmesso in diretta in tutto il mondo, sancisce una volta per tutte quello che ripeto come un mantra da qualche anno: il dj è la nuova popstar. Bella scoperta, direte. Certo, lo vediamo e lo dicono i numeri, ma l’investitura dell’apertura di un evento popolare di così grande portata cambia definitivamente la prospettiva. Parliamo di calcio, l’appuntamento nazional-popolare per eccellenza. Mio padre, che ha settanta anni e da vent’anni cerca di capire cosa fa un dj con tutto il meccanismo annesso, se ieri sera era davanti alla tv lo avrà capito. E così mio nipote di otto, e così i tanti bambini e genitori ieri sera in Champs De Mars, nella fan zone UEFA dove verranno trasmesse le partite degli Europei, e in tutte le case del mondo. Per questo è il sogno di tutti noi. Perché il dj è l’unica figura artistica contemporanea capace di spingere sul pedale della novità e di stare sul piedistallo del pop. Avanguardia e jet set.
La club culture è nazional-popolare
E qui a molti si accapponerà la pelle. Ma come? Siamo la cultura alternativa per eccellenza. Siamo quelli diversi, nei gusti, nelle mode, siamo l’avanguardia. La club culture non è nazional-popolare, se lo è cade la parola culture. Per la mia formazione, per il mio gusto e il mio bagaglio musicale e culturale, è un ragionamento che sono spesso portato a fare. Ed è giusto, era giusto. Era giusto cercare di ricavare una nicchia e dare una dignità a qualcosa che era perennemente visto come diverso e sbagliato. Lo è ancora. Ma non siamo più negli anni ’90, ed è altrettanto giusto e consapevole, oggi, accettare che la club culture sia anche questo. È l’after segreto, è Boiler Room, è il Berghain, è Ibiza, è Tomorrowland, è Paris Hilton resident all’Amnesia, è The Black Madonna resident allo Smartbar di Chicago, è Fatboy Slim che suona al lasershow di un grosso sponsor in piazza Gae Aulenti a Milano, è il club da 200 persone e David Guetta alla Tour Eiffel. E io sono felice che lo sia. Da ragazzino guardavo i grandi concerti rock, sapete quei festival mastodontici come Lollapalooza o Glastonbury, e sognavo che un giorno anche i dj sarebbero stati capaci di radunare simili folle. Poi è successo. Con la Love Parade, con Brighton Beach, con i grandi festival degli ultimi anni, con Major Lazer a Cuba, con la serata di ieri a Parigi. Eventi diversi tra loro, ma accomunati dalla presenza di dj che hanno raccolto la potenza comunicativa del rock, del pop, sostituendone l’iconografia. Il concerto è stato, come prevedibile, una sfilata di successoni firmati Guetta, per un’ora di set che era una vero greatest hits: ‘When love takes over’, ‘Titanium’, ‘Play hard’, ‘Hey mama’, e naturalmente l’inno degli Europei, ‘This one’s for you’, canta live da Zara Larsson (non impeccabile, a dirla tutta). Sontuosa, spettacolare e imponente la scenografia. Suggestivo l’intro con le note di Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo.
J’accuse
Era pre-mixato. Ha suonato in playback. Aveva addirittura la consolle spenta. Immancabili e puntuali, arrivano le solite polemiche e le accuse. Inutili. Non perché dobbiamo accettare i pre-mixati e le situazioni fake (e onestamente non mi sembrava nemmeno così: ho sentito qualche sbavatura e Zara Larsson ha steccato). Io ho sempre odiato i playback, mi sembra che sia più difficile far finta che fare sul serio. Che sia Beyoncé con tutti i cori e le doppie pronte, il cantante pop ospite in TV o il dj, è una mancanza di rispetto verso il pubblico. Che cazzo, sei pagato per quello, fallo! Eppure, lavorando in questo ambiente mi sono reso conto che in certi contesti, ci sono esigenze tecniche a dettare la necessità del playback. Ma nessuno ha da lamentarsi se la Pausini (esempio) va su Rai 1 e canta in playback, o se i Chemical Brothers nei loro faraonici live (che tanto amo) in realtà premano soltanto play su Ableton. In vita mia ho visto decine di live totalmente finti, laptop con il set praticamente pronto, e in molti casi proprio in quei contesti alternativi dove la realness è valore fondamentale. Ma guai a dirlo. Invece se lo fanno i dj popstar, beh, loro non se lo possono permettere. Non capisco cosa salvi gli uni e condanni gli altri. Non devo certo essere io a difendere David Guetta, ma se c’è uno che ha passato anni nei club a mixare “davvero”, quello è lui. Lo stesso che si è poi inventato i party a Ibiza dove volantinava di persona, lo stesso che ha costruito una carriera più che degna passo dopo passo. Condannarlo per essere diventato pop mi sembra piuttosto ridicolo.
Sign o’ the times
Qualcuno mi ha detto: “perché Guetta? Ci sono artisti francesi più significativi”. Io credo di no. Guetta è un personaggio universale. Lo è la sua musica, lo è il suo modo di essere pop così colorato, perfetto per una grande festa popolare. La scelta della Francia di celebrare gli Europei con l’esibizione di un dj è qualcosa di assolutamente contemporaneo, io sono felice che ci sia un dj su quel palco e non l’ennesima vecchia gloria o il solito cantante storico. L’anno scorso, EXPO a Milano ospitò Andrea Bocelli durante la cerimonia inaugurale. Due scelte dai significati molto differenti tra loro. Leggete il sottotetto che preferite tra le righe. In realtà, un altro nome c’era: i Daft Punk. Certo. Avete provato sul numero di casa o sul cellulare? Continuiamo a sognare e a svegliarci bagnati.
Parigi brucia!
Sono provocatorio, ma Parigi ieri sera è davvero bruciata. E se qualche mese fa bruciava di dolore, ieri la festa è stata soprattutto quella di una città che ha voglia di tornare a uscire di casa, a vivere, a godere delle cose belle della vita. Pensate a come poteva sentirsi ieri sera David Guetta prima di salire sul palco, chiedevo all’inizio. Pensate a come si sarà sentito dopo lo show, con la consapevolezza che tutto è andato per il meglio – l’allarme sicurezza era altissimo -, e di essere stato ambasciatore di qualcosa di molto, molto importante per i propri concittadini: la gioia di vivere, di trovarsi insieme in 100mila non per una fiaccolata o per una manifestazione contro il terrorismo, ma a cantare a squarciagola senza pensieri, con la leggerezza nel cuore. Qualcosa che non ha prezzo.
W la Rai
Chiudo con una chiosa sul commento di Rai 4/Radio 2, che hanno trasmesso la diretta. Caterpillar AM è un ottimo programma, Filippo Solibello e Marco Ardemagni due professionisti indiscussi. Ma sicuramente inadeguati a seguire un evento di cui non conoscevano quasi nulla, e palesemente in difficoltà nel commentare un’ora di concerto di un artista e di una materia su cui sono di certo poco preparati. Sono portato a credere che la decisione sia arrivata dall’alto, ma con un po’ di cura in più si poteva andare a pescare qualcuno che in Rai fosse più adeguato a condurre questa diretta. Lancio un provocatorio appello al nuovo direttore artistico di Radio Rai, Carlo Conti: Carlo, per la prossima volta mi offro volontario.
10.06.2016