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I dazi, Trump e Moog: quando l’economia si scontra con la musica

La politica dell'amministrazione Trump si intreccia con il mondo della musica

Il mondo della musica elettronica, o semplicemente quello della musica, spesso attecchisce per l’opportunità di evasione che offre ai propri fruitori. Il dancefloor con le sue dinamiche amplifica in un certo senso questa possibilità ed offre un affascinante mondo parallelo, un “sottosopra” direbbero i fan di Stranger Things, in cui immergersi e dimenticare gli affanni di una vita quotidiana sempre più stressante, sempre più frenetica. Proprio per questo motivo il fascino della notte sembra spesso non appartenere al mondo reale e chi opera al suo interno non viene riconosciuto come un professionista che svolge un lavoro di pari dignità rispetto agli altri. Questo grado di separazione tuttavia è fittizio o più labile di quanto si creda. L’economia ha un’influenza concreta così come le decisioni di natura politica che possono da un giorno all’altro cambiare le carte in tavola, non solo per chi vive di giorno.

Non ci credete? Eppure proprio l’attualità rappresenta un esempio emblematico in questo senso. Sono infatti entrati in vigore i dazi commerciali da parte del governo americano nei confronti delle importazioni dalla Cina, notizia data da ogni giornale e TG. Percentuale stabilita dall’amministrazione Trump al 25% per un income stimato attorno ai 34 miliardi. Il caso è interessante perché molte aziende che si occupano di tecnologia al servizio della musica saranno coinvolte e la prima ad alzare la voce è stata Moog Music. Celebre per l’omonimo sintetizzatore, questa compagnia vive dal 1964 con la mission di produrre uno standard per musicisti professionisti alla ricerca di diverse possibilità di modulazione e del suono caldo analogico, autentico marchio di fabbrica della casa di Asheville. Ma Moog acquista diversi componenti delle sue creazioni proprio in Cina e ciò implica che qualcuno dovrà assorbire quel famoso 25% di cui parlavamo prima. Far fronte all’aumento dei costi di produzione obbligherà l’azienda, secondo stime già rese pubbliche, ad aumentare sensibilmente il prezzo di vendita dei propri prodotti. Il timore è dunque che in un mercato sempre più di nicchia ci sia un ulteriore calo delle vendite che potrebbe costringere Moog Music a licenziare diversi dipendenti o a delocalizzare la propria produzione. Singolare visto che lo scopo di questa manovra è quello di “favorire l’aumento dell’acquisto di prodotti americani”, non quello di far scappare o fallire le imprese ancora sul territorio. Speriamo almeno di non dover indossare nel futuro prossimo dei cappellini con lo slogan “Make Moog Great Again”.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA 
09.07.2018

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