• SABATO 25 MARZO 2023
Clubbing

10 pezzi di Afrika Bambaataa che DJ Shadow e Cut Chemist ci hanno fatto tornare in mente

Prima di tutti. Prima che l’hip hop potesse definirsi tale, prima che Rick Rubin iniziasse a lavorare con Beastie Boys e Run DMC intuendo che i bianchi fossero in grado di rappare e che le rime potessero scardinare il cuore del pubblico più degli esperimenti rock sulle sei corde. Quando potevi vivere nel Bronx solo se ti affiliavi a una gang, quando i ghetti erano davvero dei ghetti e viverci era sinonimo di prevaricazione.

Non si può parlare di Afrika Bambaataa senza ricordare un pezzo di storia americana, che a raccontarla oggi sembra il plot di un film firmato Spike Lee, ma nei primi anni ’80 era il pane quotidiano di molti neri newyorkesi. Lui, Kevin, ha iniziato a fare musica non per vocazione, ma come risposta alla violenza nel suo quartiere: dopo aver visto il film del 1964 Zulu, in cui inglesi e africani si massacravano a sangue per la conquista di Natal in Sudafrica, decise che la brutalità non era la via, in nessun dove e per nessuna ragione.

Se questo è l’inizio della storia di Afrika Bambaataa, è anche l’inizio di una storia raccontata ieri sera ai Magazzini Generali di Milano da DJ Shadow e Cut Chemist, rispettivamente padre del sampling e padre del turntablism. Da qualche mese si sono uniti in tour per dar vita al progetto Renegades Of Rhythm: DJ Shadow and Cut Chemist Play Afrika Bambaataa. Una manciata di ore in cui i due DJ suonano i dischi appartenuti al fondatore dell’hip hop, pescando da una collezione di oltre 40.000 vinili custoditi dal 2013 presso la Cornell University.

Immaginate una mappa della metropolitana di New York in cui ogni fermata corrisponde ad un disco: la partenza è Trouble Man di Marvin Gaye, ma allo stop successivo le porte si aprono sui ritmi caraibici di Malik, e poi ancora su Uncle Louie, sui Public Enemy, fino a scorrere veloci verso il terminal Steve Miller. Dischi passati in sequenza velocissima, studiati ad arte per offrire un’esperienza eclettica e transgenerazionale: i battiti dub e disco creano un’atmosfera perfetta, il missaggio è preciso al secondo, il set visuale è un caleidoscopio amarcord di foto provenienti direttamente dall’underground dagli anni ’80 e ’90.

Oggi vogliamo ripercorrere la vita di Bambaataa attraverso dieci tra i suoi brani più iconici. La sensazione, a ridosso dell’esibizione di ieri sera organizzata da elita e Live Nation, è che a volte essere un pioniere vuol dire anche essere un evergreen.

Planet Rock

È forse LA traccia di Afrikaa Bambaataa. Sicuramente una di quelle che vi entra in testa con una velocità inversamente proporzionale a quella con cui esce. Viene pubblicata nel lontano 1982 e contiene una famosissima citazione di Trans Europe Express dei Kraftwerk.

Feel The Vibe
Tratta da quella meraviglia di album intitolata Jazzin’ by Khayan: The New World Power, è stata la traccia che ha fatto capire al mondo le potenzialità della urban dance associata al rap.

Looking For The Perfect Beat
Tutte le storie di successo nascono da un’intuizione, a volte banale, piazzata nel posto giusto, al momento giusto. Looking For The Perfect Beat è stata la prima traccia prodotta insieme al collettivo Universal Zulu Nation Family of Funk, il suo gruppo d’esordio, con il quale ha iniziato a diffondere l’hip hop come cultura e non solo come genere musicale.

Unity
Afrika Bambaataa meets James Brown. Il successo comincia ad arrivare a metà degli anni ’80 e insieme ad esso i featuring memorabili. D’altronde, come dimenticare l’occhiolino che si fanno basso e batteria sulla splendida Unity.

Jazzy Sensation
Un’altra prima volta. Jazzy Sensation è stata la traccia che ha consacrato il pioniere dell’hip hop sotto etichetta, il pezzo col quale comincia ad essere considerato un vero e proprio recording artist e non solo un improvvisatore. L’etichetta era la Tommy Boy, di New York.

Just Get Up and Dance
L’invito funky per eccellenza. Il club diventa disco, il ritmo diventa gambe. Era il 1990 e ad accorgersi dell’artista non sono più solo le micro label, ma giganti come la EMI.

Metal
Dopo James Brown, un altro featuring memorabile per la varietà umana che mette insieme. Gary Numan fa uscire questa canzone nel lontano 1979 all’intero dell’album The Pleasure Principle e 25 anni più tardi Afrika ne fa una cover a cui partecipa lo stesso Gary.

Renegades of Funk
Forse il pezzo più utilizzato come colonna sonora di eventi nel corso delle due decadi 1990-2000. Canzone di entrata dei Toronto Raptors, appare poi nel videogioco Grand Theft Auto: Vice City Stories e nella versione televisiva di Miami Vice. Noi ci ricordiamo solo le heavy percussion che farebbero alzare il culo dalla sedia anche a un ottantenne.

Reckless
Prima del più famoso Murder On The Dancefloor di Sophie Ellis Bextor, c’è un passo precedente: la spericolatezza sulla pista da ballo. You make me reckless, reckless everyday/You make me reckless/Standin’ by the disco floor è la hit che ha visto la collaborazione tra la grande famiglia degli inglesissimi UB40 e il nostro pioniere americano.

Freestyle
Ditemi una sola persona al mondo che non ricordi il commercial di Nike Basketball del 2001 che combina l’eco delle palle da basket sul parquet e il freestyle di Afrika + Hydraulic Funk. Non ve ne viene in mente nessuna. Quella pubblicità è semplicemente definitiva.

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Irene Papa
Analogue at birth, digital by design. Editor for dlso.it, Zero e DJMag.

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