Mi è sempre piaciuto ascoltare nuova musica. Infatti quando Marco e Alessandro mi hanno mandato in anteprima il loro primo singolo ‘Satellites’ per presentare il loro nuovo progetto, Dïpdive, io sono stato molto contento. Conosco entrambi da un po’ di tempo e devo ammettere di essere stato fan dei loro vecchi progetti solisti, rispettivamente Roundrobin e KPLR. Quindi, dopo aver sentito il brano, ho deciso di rivolgere loro qualche domanda riguardo la nuova avventura per capire meglio il loro lavoro e le loro idee.
Ragazzi vi siete trovati pur venendo da mondi totalmente diversi.
Marco: Si assolutamente, io facevo lo-fi pop, producevo io i miei pezzi e seguivo un filone quasi acustico ispirandomi al cantautorato inglese.
Alessandro: Io invece vengo da un mondo più dance. Ho iniziato con la future house, con l’obiettivo poi raggiunto, di uscire su Hexagon. Ma forse proprio in quel momento ho capito che non avevo più nulla da dare a quel mondo.
Come vi siete conosciuti?
Alessandro: È una storia incredibile. Un artista americano per cui Marco registrava alcuni vocal un giorno mi ha mandato una canzone per lavorare al mix e al master di un brano. Sentendo la voce, gli ho scritto immediatamente chiedendo informazioni riguardo. Mi ha detto che era un ragazzo italiano e mi sono fatto dare il numero per contattarlo. Al primo messaggio vocale in risposta ho immediatamente riconosciuto l’accento e abbiamo scoperto di abitare a circa un’ora l’uno dall’altro.
Marco: All’inizio ci sembrava quasi impossibile questa coincidenza totalmente nata dalla casualità.
Dopo un paio d’anni circa di lavoro siete arrivati finalmente a firmare per Warner Music, e oggi esce il vostro primo singolo come Dïpdive. Ci spiegate il nome del progetto?
Marco: Diciamo che racchiude un po’ i nostri caratteri. “Dip” in inglese vuol dire immergere, ma si usa in situazioni in cui si valuta, si riflette se “buttarsi”. E il continuare a pensare e rappresenta un po’ la mia personalità. “Dive” invece vuol dire tuffarsi, lanciarsi e corrisponde all’essenza di Ale.
Com’è nata ‘Satellites’?
Marco: Ale ha mandato il giro del pezzo e io ho scritto la top line. Ma suonava un po’ troppo tendente alla dance “vecchia”, quindi, una volta arrivati al build, abbiamo deciso di inserire anche strumenti veri e sul drop abbiamo layerato le chitarre elettriche. Ed è stata la prima volta che abbiamo inserito questo tipo di suoni nelle nostre produzioni.
Quando avete deciso che sarebbe stato il primo singolo?
Marco: È stata la prima traccia che abbiamo creato insieme. Da questa abbiamo tratto le sonorità che abbiamo utilizzato anche per gli altri brani che abbiamo prodotto. Volevamo che la prima canzone desse un imprinting al progetto.
Alessandro: Quando lo abbiamo sentito abbiamo pensato subito fosse il più forte tra quelli inizialmente prodotti. E anche andando un po’ controcorrente rispetto a qualcuna delle persone con cui lavoriamo, ci siamo imposti volendo provare subito a pubblicare ‘Satellites’.

Ascoltata ‘Satellites’ posso dire che è una canzone molto radiofonica, che non segue però forse lo stile del mercato musicale elettronico che va per la maggiore in questo periodo. È una scelta molto apprezzabile dal mio punto di vista.
Marco: Non ragioniamo mai sullo stile in cui vogliamo indirizzare il brano, ci sentiamo liberi di lasciare che tutto il processo avvenga in modo naturale, lasciandoci influenzare solo dai nostri background personali. Ci focalizziamo magari su un elemento che crediamo possa essere forte e sviluppiamo quello. Credo che se ci sono degli elementi validi all’interno di un brano, questo possa fare breccia negli ascoltatori. Preferiamo magari non essere capiti, ma essere poi riconosciuti a livello di unicità. Con produzioni VIP e edit pensiamo comunque si possa poi virare su qualcosa che tiene “il catchy” del disco, ma andando verso altri generi musicali.
Qual è il significato del brano?
Marco: Nella confusione più totale avere una persona che possa essere un punto di riferimento è fondamentale. È necessario che ci sia qualcuno con cui si ha un rapporto di equilibrio. Proprio come i satelliti che girano intorno ai pianeti. Ci siamo immaginati questo rapporto come due satelliti che girano uno intorno all’altro in perfetta sintonia qualsiasi cosa accada intorno a loro.
Come mai avete deciso di scrivere il brano in inglese?
Marco: Io ho sempre sentito più musica inglese e americana, apprezzo molto anche quella italiana, ma mi è sempre venuto più naturale scrivere in inglese e in più, nel mondo di oggi, scrivere in italiano mi sembra quasi una barriera comunicativa che non permette di arrivare a tutti.
Cosa possiamo aspettarci dai Dïpdive?
Alessandro: Le vibes della nostra musica seguiranno quelle di ‘Satellites’. Con Warner abbiamo già deciso quali saranno i prossimi due singoli.
Marco: E ovviamente vogliamo iniziare a suonare in giro!
Come vi piacerebbe strutturare i vostri live?
Marco: Vorremmo strutturare un dj set ibrido sfruttando il fatto che Ale è molto capace a fare il dj e io so suonare. Probabilmente Ale integrando la console con un lunchpad o una drum machine e io cantando e suonando la chitarra.
Alessandro: Vorremmo riuscire ad arrivare a creare qualcosa di unico e riuscire ad essere rispettati come artisti rimanendo coerenti con noi stessi e con la nostra musica.
15.09.2023