È uscita la settimana scorsa la DJ MAG TOP 100 Festivals 2023, una delle classifiche più attese tra le nostre varie Top 100. Chiaro, non siamo ai livelli di frenesia e discussione generati dalla mitica Top 100 Djs, che è da anni cartina tornasole della fama dei dj e della passione verso i dj e il nostro mondo nel suo insieme. Ma i festival sono ormai un vero status symbol e oltre al piacere di andarci, al gusto di testimoniare di esserci, si somma quella sorta di “attaccamento alla maglia” che ci fa tifare per i nostri festival preferiti, perché in qualche modo sono lo specchio dei nostri gusti musicali e ne siamo fan, oltre che frequentatori, con un certo orgoglio.
Ma cosa ci dice la DJ MAG TOP 100 Festivals di quest’anno? Come cambiano, appunto, i gusti del pubblico e come si trasforma la geografia dei festival, con conseguenti pesi culturali, economici e artistici?
A dominare la classifica sono quelli che inequivocabilmente possiamo considerare i tre più importanti festival del pianeta, senza dubbi (una volta tanto…): per line up, portata spettacolare, numeri, e impatto sul settore, Tomorrowland, Ultra Music Festival e Glastonbury non hanno davvero rivali. E soprattutto, rappresentano tre anime ben distinte di “grande festival”: poi a sta al gusto di ciascuno di noi scegliere il personale numero uno in base al tipo di esperienza che si cerca, che si tratti del mondo fantastico e giocoso di Tomorrowland con il suo mainstage – musicalmente spesso un poco scontato ma indubbiamente universale, ecumenico, internazional-popolare – ; oppure di Ultra con la sua portata edonistica, muscolosa, tutta effetti speciali e super ospiti che flirtano tra mondi diversi, insomma totalmente americana; o che invece la nostra preferenza sia per un festival che mette al centro la voglia di mettere insieme i giganti del pop e i nuovi nomi, il rock e la techno, la ricerca e il gusto dell’avventura come fa Glasto, in questo molto, molto britannico, idealmente l’opposto di Ultra. Comunque la vogliamo vedere, questi tre sono i capisaldi dell’universo festivaliero mondiale, oggi.

Foto: Rodw/Wikimedia Commons
Poi possiamo allargare il discorso alla top 10, che di fatto è composta perlopiù, a sua volta, di festival storici e dal blasone consolidato: Coachella, Awakenings, Creamfields… spicca tra questi una nuova entrata clamorosa: UNTOLD. Un festival che abbiamo imparato a conoscere bene e da vicino e che in pochissimo tempo si è saputo imporre nell’immaginario collettivo, grazie a line up da urlo (talvolta un pochino “pasticciate” ma certamente ottime per fare cassetta), location e organizzazione impeccabili (a sentire che ci è stato) e a una macchina comunicativa formidabile. Sono caratteristiche per le quali servono investimenti pesanti, è chiaro, ma evidentemente da quelle parti qualcuno ha deciso di investire in un festival, che porta turismo e indotto da tutto il mondo, e non è cosa da poco considerando quanto spesso le istituzioni invece di essere lungimiranti in questo senso, fanno muro ostacolando la crescita di realtà che invece possono diventare dei veri colossi. Un discorso che ci sentiamo spesso di fare riguardo le realtà del nostro Paese. Ma che non sono sempre veritiere.
Ben tre festival italiani sono presenti nella Top 100. E se potevamo anche auspicare di vederne qualcuno in più – va detto che lo scenario dei festival è variegato per stili, dimensioni, approcci, e location – non è davvero male vedere un vero must come Kappa Futur Festival in undicesima posizione e notare poi che Nameless e anche un festival relativamente nuovo come Panorama siano entrati nella Top 100. Senza contare gli esclusi eccellenti. In un Paese relativamente piccolo, e dove la festival culture è piuttosto giovane, imprenditorialmente e culturalmente parlando, possiamo dire di vivere una stagione piuttosto felice, e dove le eccellenze sono eccellenze vere. Al contrario della Top 100 Djs, dove a fronte di un numero ragguardevole di talenti noti e rilevanti a livello mondiale, la pattuglia degli italiani è sempre sparuta e dove con un pizzico di spirito di comunicazione e di squadra in più, potrebbe davvero diventare un fenomeno di ben altro rilievo.
Certo, dire che siamo un Paese “piccolo” non è una grande scusante, guardando il confronto impietoso con nazioni vicine come la Croazia, molto più piccola per dimensioni ma con ben otto festival in classifica. La differenza sta tutta nella ricettività: si tratta di un Paese anagraficamente giovane (in tutti i sensi) che ha voglia di attrarre investimenti esteri e turismo costiero ed estivo. E infatti, nel giro di un decennio i potentati britannici, americani, olandesi, hanno costruito un vero territorio felice per festival di ogni tipo. Con tutto l’indotto che possiamo immaginare. E non pensiamo che siano investimenti a breve termine: la storia ci insegna che quello dei festival è un business capace di durare nel tempo, considerando anche l’effetto nostalgia. Se il Regno Unito è certamente un territorio fuori scala per la cutltura festivaliera radicata e profonda (11 festival su 100 in classifica significheranno qualcosa…), proprio dagli inglesi possiamo imparare quanto i festival possano ormai rivolgersi ai ventenni come ai cinquantenni che vogliono vedere i loro idoli di sempre. Così come si fa in Olanda o Germania (altre nazioni con numerosi festival in classifica, e spesso di alta qualità per proposta e storia).

Foto: Tomorrowland
Il mondo sta cambiando, e la Top 100 Festivals ne ritrae una geografia sempre più globale, con l’Europa e gli Stati Uniti non più unici protagonisti. Thailandia, Sud Corea e Giappone raccontano di una notevole predisposizione del pubblico per i grandi eventi, sempre più presenti e sempre più indipendenti dai grandi brand internazionali dell’intrattenimento, e anzi con ambizioni forti di espansione. Cosa che si fatica – almeno stando a vedere la classifica – a dire per gli Emirati Arabi, che probabilmente spingono ancora troppo su un acceleratore di organizzazioni certamente grandiose ma che pensano più ai grandi nomi che al contesto totale degli eventi, e quindi a come costruire una narrazione che faccia innamorare gli appassionati in modo costante e duraturo. Manca il continente africano, quasi totalmente, che porta in Top 100 il solo Oasis, festival marocchino sicuramente suggestivo ma che sa un po’ di comfort zone turistica per europei che hanno voglia di esotismo da cartolina – anche se dovremmo andarci di persona per verificare – e e che però tra mille difficoltà sta facendo capolino con realtà ancora molto underground e genuine, e certamente intriganti. Stiamo a vedere che succederà nelle prossime stagioni da quelle parti.
In definitiva, andare ai festival è una figata. Andarci per scoprire posti nuovi, conoscere persone nuove, e vivere esperienze totalizzanti, è un modus vivendi radicato in chi ha dai 30 anni in giù. I festival hanno soppiantato i club da diversi anni in quanto a spirito del tempo, e come dicevamo questo vale per i ragazzi come per chi ha già un’età più matura. Un festival è momento di formazione, è vacanza, è svago, è una bolla sospesa nel tempo per qualche giorno. E crea un fortissimo spirito comunitario e identificativo. Tutte ragioni per cui i festival sono oggi i veri luoghi dove andare per fruire la musica, soprattutto elettronica. Ma nel giro di dieci anni sono cambiate moltissimo le dinamiche, le organizzazioni, la geografia dei migliori fesival del mondo. E la DJ MAG TOP 100 Festivals lo dimostra stagione dopo stagione.
30.08.2023