Foto: Billboard US
La notizia è questa: è uscito ‘Scorpion’, il nuovo album di Drake, lungo, vario, diviso in due parti. L’altra notizia è che nelle prime 24 ore ha totalizzato oltre 132 milioni di ascolti in streaming, contando solo Spotify (ci sono poi tutte le altre piattaforme, si parla già di record infranti su Apple Music e presto, probabilmente, anche altrove). Un dato impressionante, un attestato di successo indiscutibile nell’epoca in cui misuriamo tutto sui numeri e sulle preferenze accordate con i click. Ma non è questo il solo motivo per cui Drake è così importante e per cui ne parliamo su una rivista in cui l’hip hop è un genere “laterale”. Faccio un salto quantico.
Non so quanti di voi siano appassionati di fumetti. Io sì. Molto. In questi giorni è arrivato nelle edicole italiane il numero conclusivo di ‘Orfani’, serie fantascientifica che ha tenuto parecchi lettori incollati alle sue pagine per cinque anni. Un successo anche per un editore come Sergio Bonelli che ai successi è abituato (è quello di serie come Tex e Dylan Dog, per dire, veri fenomeni di costume italiano). Il bello di Orfani, oltre a una trama adrenalinica e a mille altri aspetti, è che ogni stagione ribalta la situazione iniziale ed è fruibile autonomamente, ma nel complesso crea una macro-trama. Prima di gustarmi il finale, mi sono messo a rileggere tutta la serie dal primo numero della prima stagione. E ho trovato dettagli che non avevo colto, collegato particolari su cui non mi ero soffermato, legato sottotrame e nessi che a una prima lettura sfuggono. Per forza di cose. Perché come ogni film, serie, libro, opera d’arte o disco, il ri-ascolto, la ri-lettura o una nuova visione ci aiutano ad addentrarci di più, meglio, più a fondo nell’opera. E qui arriva Drake.
132 milioni di play. Ma quanti ascoltatori ri-ascoltano un album oggi? Ci troviamo in un momento storico unico: per la prima volta viene prodotta, pubblicata e resa disponibile più musica di quanto potremo mai aascoltare. Ogni giorno escono talmente tante ore di nuova musica da rendere impossibile essere aggiornati su tutto. La soluzione è semplice: concentrarci su poche cose e approfondirle. È il modo migliore per costruirsi le proprie costellazioni su cui orientare la bussola del gusto e di una solida cultura musicale. In queste costellazioni, per un appassionato di musica oggi, 2018, Drake non dovrebbe mancare. Perché è un artista universale, uno dei pochi. Non è trap, non è rap, non è dance, non è pop. È tutte queste cose. Ma a modo suo. Drake sa stare in un limbo in cui qualunque altro artista affonderebbe, mentre lui galleggia ed è perfettamente in equilibrio. Molti definiscono Drake e la sua musica il trionfo della banalità, volendo trovare un riferimento filosofico possiamo citare la mediocrazia del canadese Alain Deneault. Non è così semplice. Anzi. Drake ha un produttore come 40 che ha un suono difficilmente eguagliabile. Drake sa prendere un pezzo salsa e farci ‘Hotline Bling’. Drake sa essere trap per metà di ‘Scorpion’ e suonare solo come Drake. Drake non ha paura di apparire sentimentale, romantico, soul, e ha il physique du rôle per fare il figo nei pezzi più street. Il pregio di Aubrey Drake Graham è proprio quello di captare la frequenza di ciò che potrebbe funzionare e farlo funzionare. Né troppo né poco. Ma non mediocre. Semmai, equilibrista. Ma trovarlo, quell’equilibrio. Farlo, un pezzo e un video come ‘God’s Plan’, in bilico sul crinale del buonismo. E invece così forte nell’America delle divisioni (lui che è canadese, tra l’altro). Ma ancora, perché andrebbe ri-ascoltato?
Perché questa sensazione di medietà, di “un po’ questo un po’ quello”, viene meno quando si ascolta per la seconda, terza, quarta volta un album come ‘Scorpion’. Emergono i pezzi migliori e quelli con il pilota automatico (perché ce ne sono, per carità). Ma per ogni ‘I’m Upset’ c’è una ‘8 out of 10’. Per ogni ‘Elevate’ una ‘Summer Games’. Il contemporaneo e il classico, il solito e il diverso. Emerge ancora una volta una produzione stellare ed efficace, dove l’arte fine a se stesse non prende mai il sopravvento culla funzionalità di un ascolto fruibile a tutti. Il motto degli Orfani della serie che citavo è “noi non facciamo arte, noi facciamo cadaveri”. Ecco, Drake fa cadaveri, non fa prigionieri, lo ascolti e ti piace. Stop. Uno come Arca fa arte, un collettivo come i Vipra fa arte. Infatti saranno al MoMA. Drake fa cadaveri ed è in classifica. So bene di prendere un esempio non semplicissimo nell’invitarvi al ri-ascolto proprio sventolando la bandiera di un album come ‘Scorpion’. Perché i feticisti della musica diversa amano andare a fondo di certi dischi in cui l’invito a farlo è palese. Mentre in un best seller dell’era dello streaming tutto sembra essere confezionato per diventare un sottofondo uniforme da tenere nelle cuffiette o nello smartphone. Invece no. Proprio in un doppio, poderoso album come questo è giusto affondare il cuore. Ed è possibile fermarsi alla sequenza di canzoni che scorrono piacevoli senza fare troppo male oppure studiarle a fondo, coglierne le sfumature e capire, studiare i riferimenti all’hip hop classico, alla trap smussata così contemporanea e alla tradizione black più vicina al soul e a certo funk. Qui sta la differenza tra uno come Drake e tanti altri. La sua è una apparente semplicità che nasconde un tremendo labor limae in studio. Ri-ascoltare i dischi, prenderci il tempo di assaggiarne ogni boccone e sentire il gusto, è cosa buona e giusta. E necessaria per non far appassire la cultura musicale trasformandola in un paesaggio monodimensionale stilizzato. Vale per Drake, ma anche per tutto il resto. Forse, più di tutti, per la musica da club.
03.07.2018
03.07.2018