Foto di copertina: DJ MAG
di Sian Bradley (DJ Mag UK)
traduzione, adattamento e interventi aggiuntivi di Michele Anesi
Nel mondo della musica elettronica non si è mai parlato tanto di gaming come negli ultimi sei mesi. L’improvviso spalancarsi di un nuovo canale di comunicazione tra musicisti e ascoltatori sta mettendo in discussione modelli di business, strategie di marketing e best practice che hanno accompagnato la golden age della musica elettronica dal 2010 ad oggi. I dj set di Solomun, The Black Madonna e Tale Of Us nel night club di Los Santos di Grand Theft Auto After Hours e i chiacchierati festival in-game dentro Minecraft (Coalchella e Fire Fest) erano solo l’antipasto di un evento che ha cambiato per sempre le regole del music business. Stiamo parlando, ovviamente, di ciò che è successo lo scorso febbraio in Fortnite, il gioco battle-royale rivelazione del 2018, quando l’avatar di Marshmello si è esibito in diretta mondiale a Pleasant Park davanti a 10.7 milioni di giocatori. Una cifra gigantesca che ha annichilito qualsiasi altro record – come se tutti i partecipanti di 30 edizioni di Tomorrowland avessero guardato all’unisono la performance di Marshmello – e ha indicato la via lungo la quale musica, realtà virtuale e multiplayer online si dirigeranno nel prossimo futuro. Con un po’ di fantasia e ironia, possiamo dire che dall’EDM (Electronic Dance Music) potremo presto passare all’EGM (Electronic Gaming Music).
L’idea di realizzare un festival dentro la cornice di un ambiente virtuale per promuovere un prodotto musicale non è però un’idea nuova. Il concept risale almeno a 15 anni fa quando Second Life diede la possibilità ad artisti ed etichette di costruirsi i propri palchi e di organizzare i propri eventi (è curioso che uno dei fondatori ebbe l’ispirazione per questo gioco dopo un illuminante viaggio a Burning Man). Ma cos’è cambiato da allora? Prima di tutto i progressi tecnologici hanno reso quest’idea uno strumento dalle potenzialità enormi. Come riportato da Moe Shalizi (il manager di Marshmello) a Rolling Stone US, 10 minuti di concerto hanno richiesto sei mesi di preparazione. Durante la performance Mello “era in una stanza, ricoperto da capo a piedi di rilevatori di posizione e attorniato da 30 o 40 tecnici”. In secondo luogo l’avvento della Generazione Z, all’interno della quale più del 71% dei ragazzi si identifica come “gamer”, sta offrendo nuovi, accattivanti modelli di marketing e promozione impensabili fino a pochi anni fa.
Il caso Marshmello-Fortnite equivale alla scoperta del fuoco per l’homo habilis per label manager, promoter, marketing manager, agenzie di booking e produttori. L’evento è stato un turning point che ha dimostrato da un lato la potenza delle nuove tecnologie e, dall’altro, l’impellente necessità di sviluppare nuove strategie per interagire con una nuova tipologia di pubblico, sensibilissimo a tutto ciò che riguarda il mondo virtuale. “La tecnologia sta annullando la distanza tra musica e ascoltatori e, in particolare, fornisce una risposta al crescente desiderio di interazione tra fan e artisti rendendo la musica più accessibile ai neofiti e più eccitante per i fan esistenti” riflette Sian Bradley su DJ MAG. Pensate come vi sareste sentiti se, da adolescenti, aveste potuto passare ore alle prese con il vostro videogioco preferito e intanto interagire con il vostro artista prediletto. L’esperienza virtuale diventa reale se in un click la skin brandizzata Marshmello pagata 15$ dentro Fortnite si trasforma in una felpa in edizione limitata a 55$ nell’e-shop del merchandising dell’artista. Lo show di Marshmello è stato per milioni di adolescenti e preadolescenti il primo concerto della loro vita. Come si comporteranno, messi davanti alla possibilità di poter partecipare a un dj set del loro artista preferito, già visto in Fornite, nello stadio vicino a casa propria? Quanti millisecondi impiegheranno a scegliere se ascoltare musica di un artista a loro sconosciuto o cliccare sulla foto, molto più rassicurante, di un gustoso Marshmello sorridente? Le risposte aprono interrogativi inediti. Gli affari – per i giochi online, artisti, management e software house – enormi.
D’altro canto, come ha affermato Troy Carter, ex manager di Lady Gaga, “oggi la musica vende tutto tranne che la musica”. Gli artisti e i loro team devono ingegnarsi e creare valore da altre attività collaterali: merchandise, sync, pubblicità, partnership con brand e marchi di ogni genere. Collaborare con un gioco online, a conti fatti, è un modo molto più redditizio per sviluppare il proprio brand che qualsiasi tradizionale campagna di marketing. L’hanno capito i Tale Of Us, che hanno scelto GTA per promuovere il loro album, così come Solomun, il primo resident dj di Los Santos, che ha celebrato la centesima release di Diynamic con un video realizzato completamente in computer grafica a tema Grand Theft Auto.
La domanda che però sorge spontanea, a questo punto, è chi ha pagato chi. Sarà stata Epic Games, la sviluppatrice di Fortnite, a chiamare in causa Marshmello offrendogli una ghiotta opportunità di visibilità (e un’altrettanto ingente somma di denaro) o sarà stato quel geniaccio di Moe Shalizi ad avere l’intuizione e a dover alleggerire il proprio conto di parecchi zeri? Chi ci ha guadagnato di più, a bocce ferme: il mondo della musica o quello del gaming? La risposta molto probabilmente rimarrà un segreto, ma se volessimo azzardare un’ipotesi direi che le spese sono state divise al 50% e i ricavi principali sono rimasti ai rispettivi proprietari – musica e merchandise a Mello, skin e indotto pubblicitario a Epic Games. Fair enough?
Parliamo di futuro. Chi avrà più bisogno di chi? Il mondo della musica elettronica, in crisi di idee e originalità da qualche anno, o il mondo dei videogiochi, alla strenue ricerca di nuovi mezzi per trascinare altri giocatori verso i titoli free-to-play? La risposta, anche in questo caso, non è univoca. A prescindere dalla popolarità di un singolo artista, probabilmente ora è la scena musicale elettronica che avrebbe più giovamento da questa partnership. D’altro canto, quando un prodotto (la musica) non riesce più a intercettare i gusti del pubblico esistente, o si rinnova o si propone a un pubblico che non ne ha ancora fatto esperienza. Sarà così facile? Ne dubitiamo, ma per la musica elettronica trasformarsi – in parte – in Electronic Gaming Music potrebbe essere una valida soluzione per uscire dalla stagnazione in cui si ritrova da qualche anno.
Ciò che è certo è che TheWaveVR, una compagnia che sviluppa device e tecnologia in Realtà Aumentata, ha recentemente ammesso di “voler costruire il corrispettivo di Live Nation nel mondo virtuale e di ambire ad aiutare artisti a creare e distribuire questi show pazzeschi alle decine di milioni di persone che già affollano questi videogiochi. La tecnologia è pronta […], stiamo costruendo un network di venue digitali in cui bookare i nostri artisti”. Quanto passerà prima che qualche dj non scelga di svelare il proprio album in anteprima solo ai giocatori di qualche famoso multiplayer o che decida di offrire il suo merchandise a prezzi competitivi solo a coloro che realizzeranno un certo punteggio all’interno di un evento opportunamente brandizzato? I grandi promoter dell’intrattenimento globale dietro a festival come Tomorrowland, Ultra o Coachella prenderanno la palla al balzo e creeranno spin-off online dedicati a gamer e appassionati sfruttando la realtà aumentata o visori 3D? Non sembra così irrealistico pensare a un tour dei videogiochi più famosi: tra Las Vegas e Londra, nella schedule di Martin Garrix ci potrebbe presto essere un’arena di Read Dead Redemption, un campo di battaglia di Call Of Duty o una stazione spaziale di Star Wars Battlefront. E’ questo il futuro obbligato del music business? Vedremo. Per adesso, benvenuti nel futuro.
10.04.2019