È uscito oggi – in realtà uscirà fisicamente domani in occasione del Record Store Day 2017 – il remix di ‘Inner City Life’ di Goldie firmato da Burial. Come dire, il sogno bagnato di tutti coloro che si rivedono non soltanto in certa musica made in UK, ma proprio in uno stile, in un’attitudine, in un modo e un mood (scusate il gioco di parole) di intendere la musica e la sua cultura, uno stile di vita. ‘Inner City Life’ è un classico non soltanto della drum’n’bass e della antesignana jungle; è una canzone entrata nel costume degli inglesi e nell’immaginario collettivo di tutti gli appassionati di musica europei cresciuti negli anni ’90 e amanti della musica da B-Side, con cui intendo sia lo storico programma di Alessio Bertallot su Radio Deejay, sia proprio il “lato B delle cose”, della musica ma anche della club e street culture, che a quel tempo fotografava molto bene la voglia di scappare da una cultura mainstream sempre più uniformata e uniformante. ‘Inner City Life’ fu un successo in termini di vendite e di passaggi radio e TV, ma senza perdere le radici e la credibilità del genere. Un grande capolavoro, impreziosito dalla splendida interpretazione di Diane Charlemagne. Drum’n’bass, trip hop, alternative dance, breakbeat, una certa house. Il patrimonio di un mondo che negli anni si è sviluppato ed è fiorito in Gran Bretagna, tra Londra e Bristol, tra Manchester e Brighton, tra la Cornovaglia e Glastonbury. Modificando a tratti il proprio DNA, cone le mutazioni arrivate nel decenio successivo.
2 step, brokenbeat, grime e dubstep hanno via via sostituito i generi degli anni ’90, mantenendo tuttavia il tipico understatement tutto British, un po’ signorilità un poì’ spocchia di chi sa di essere stiloso e fuoriclasse. E tra tutti i campioni di questo periodo, c’è un nome che ne rappresenta l’emblema. Quello di Burial. Misterioso, sfuggente, inafferrabile, difficilmente catalogabile anche grazie alla sua fumosa musica fatta di beat sporchi e crepitii di puntine sul giradischi. Proprio Burial rappresenta forse l’ultimo eroe di una stagione che tramonta. Perchè l’avvento della nostra vita filtrata attraverso i social ha trasformato tutti noi in personaggi, e per lstar della musica questo discorso è ovviamente amplificato. Anche l’underground ha bisogno di una narrazione, diversa da quella mainstream ma fatta comunque di cliché. Burial non appare mai, Burial con le sue voci pitchate e distorte, Burial che forse è 3D dei Massive Attack, anzi no forse è Banksy, anzi forse è qualche altro misterioso producer. Fatto sta che dopo i primi gloriosi anni, anche la sua stella inizia ad offuscarsi, le release a diradarsi, il parco suoni a rinanere invariato. Oggi, cioè domani, esce il remix di ‘Inner City Life’, ed è la fine di due epoche. Quella che resta viva nel nostro immaginario e nella nostra nostalgia, gli anni ’90 già diventati storia e quindi mitizzati, anzi già in fase revival (guarda caso Goldie esce a breve con un nuovo album, le pemesse sono interessanti ma non possiamo certo dire che sia inovativo). E quella che fa più male: la fine dell’epoca del dubstep duro e puro, della creatività che ha re-inventato la dance negli anni ’00, l’attitudine da anti-star tipicamente britannica di Burial e del mondo che gli orbita intorno. La resa del mondo contro-culturale allo straripante potere omologante del mainstream. Intendiamoci, un mainstream che in molti casi è evoluto, soddisfacente, estremamente underground – anche se sembra una contraddizione in termini, ma pensate a Flume o Kaytranada o a Sam Gellaitry e ditemi se non è così. Due epoche tramontano oggi, e sapete perché? Perché questo remix non è il capolavoro che ci aspettavamo. Anzi, non è proprio granché. Non è nemmeno brutto, è semplicemente “senz’infamia e senza lode”. Un omaggio alla jungle, alla UK hardcore e agli anni ’90. Proprio quello che Burial avrebbe potuto (e forse dovuto) evitare.
21.04.2017