Immaginate un festival immerso nella natura. Spiaggia, mare cristallino, vegetazione, una sistemazione selvaggia e gli indigeni del posto che offrono riti sciamanici, usanze locali e tutto ciò che si sposa con il concetto di un festival “immersivo” e distante dalle logiche sfrenate del consumismo occidentale, anche quando si tratta di festival musicali dal format più classico.
Tutto questo essite davvero, il festival si chiama Tribal Gathering ed era in pieno svolgimento sulle coste di Panama a metà marazo, mentre il mondo qui fuori cominciava a vivere di restrizioni e divieti a causa di un virus che avrebe presto portati a vivere chiusi in casa. Così, le autorità panamensi hanno agito in modo da permettere a chi voleva il raduno, di farlo prima che gli aeroporti fossero chiusi e i rientri proibiti.
Poi, anche al Tribal Gathering si è effettuato un lockdown, e le persone ancora presenti al festival sono state costrette a restare sul luogo della manifestazione. Che ha continuato ad ospitare numerosi partecipanti nonostante l’evento fosse concluso, mentre tutto prendeva una piega poco simpatica: il personale locale se n’era andato, cibo e generi di conforto hanno iniziato a scarseggiare, i passaporti sono sequestrati dalla polizia del posto. Insomma, dal sogno all’incubo, in quella che sembra la trama di un film o una sorta di Fyre senza le intenzioni malevole degli organizzatori ma con una pandemia mondiale a metterci lo zampino.
Poi, a tutti viene concessa la possibilità di andarsene, a patto che ci sia un volo confermato e uno stato di salute per lasciare Panama. Diverse persone lasciano il Gathering. Molti riescono a rientrare, altri rimangono nel Paese. 40 persone decidono invece di restare sul sito del festival, dove tutt’ora si trovano. Un raduno infinito che sta diventando una sorta di scelta di vita.
28.04.2020