La notizia della morte di Florian Schneider, fondatore dei Kraftwerk (di cui è stato membro fino al 2008) insieme a Ralf Hütter (quest’ultimo tutt’oggi nella band e unico componente ad esserci sempre stato, tranne una breve parentesi durante il 1971) ha scosso il mondo. Non soltanto il mondo della musica elettronica o della musica, ma proprio il mondo. Perché i Kraftwerk sono parte della cultura, dell’arte, del costume globale. Formatisi nel 1970 a Düsseldorf , sono stati un gruppo importantissimo per la creazione e lo sviluppo di un immaginario collettivo in quella fetta di Novecento posta tra la spinta economica degli anni ’50 e ’60 e il riflusso post-modernista che si è andato via via affermando da metà anni ’80 in poi.
Che i dischi dei Kraftwerk siano celebri, noti, e siano stati rivoluzionari da un punto di vista strettamente musicale, è noto a tutti. È il tipo di informazione che ci aspetteremmo di tovare sull’articolo di commiato a Schneider al TG o su un quotidiano. Gli album della band sono dei classici e sono conosciuti quanto quelli dei Beatles, dei Rolling Stones, dei Coldplay, di Springsteen o di Bob Dylan: ‘Autobahn’, ‘Radio-Activity’ (‘Radio-Aktivität’ in tedesco), ‘Trans-Europe Express’, ‘Computer World’ (‘Computerwelt’) sono delle icone della discografia mondiale. Non serve fare l’elenco delle info “starter pack” su una testata che si chiama DJ Mag. Quello che dobbiamo dire, invece, è che la musica di Schneider (e compagni, ovviamente) ha inciso un solco tra un prima e un dopo. C’è stata una musica pre-Kraftwerk, nel ventesimo secolo, e una musica post. Schneider e Hütter hanno fatto qualcosa di assolutamente inedito, in un momento storico ben preciso. Hanno captato il futuro, ne hanno intravisto delle immagini, ne hanno avuto delle intuizioni, e hanno saputo infondere lo spirito del tempo (presente e futuro) a quei dischi. Mettendolo all’interno del loro immaginario e della loro iconografia così precisi: la mania per la tecnologia, la narrazione del futuro, della fusione tra uomo e macchina, la disumanizzazione della componente umana della musica attraverso i suoni algidi, precisi, freddi e matematici della musica scritta, suonata, prodotta con le macchine. Una musica costruita, assemblata. I tempi erano maturi, se pensiamo agli esperimenti di musica elettronica che fin dagli anni ’50 comparivano in radio, ad opera di compositori come la britannica Daphne Oram o Luciano Berio, e a nomi come Tangerine Dream, Klaus Schulze, Manuel Göttsching (tutti legati a doppio filo tra loro da diverse avventure discografiche). E a Giorgio Moroder, per citare un musicista che da subito ha intravisto il lato pop della musica elettronica.
Giorgio Moroder e Florian Schneider (da Instagram @giorgiomoroder)
In tutti questi casi, ma nella musica di Schneider e dei Kraftwerk specialmente, si concretizza l’idea di una musica che passa per le macchine, creando un’iterazione di pattern identici per diversi minuti. Se ci pensate, è semplicemente ciò che faranno house, techno, e tutti i generi di musica elettronica che si svilupperanno anni dopo la nascita del gruppo, dagli anni ’80 in poi, sostanzialmente. Senza contare poi l’influenza sul pop e sul rock: Depeche Mode, David Bowie, Nince Inch Nails, Marilyn Manson, Muse, MGMT, Radiohead, Prodigy, Chemical Brothers per fare qualche nome. Per questo tutti i dj e i producer del mondo rendono da sempre omaggio e tributo ai Kraftwerk, e la morte di Schneider è avvolta nel rispetto di tutto il nostro mondo. La dance, di fatto, è nata lì, nella sua forma. E i Kraftwerk sono da sempre una delle maggiori fonti di ispirazione per dj e produttori, soprattutto in ambito techno, il genere che più di tutti ha fatto propria la lezione della ripetizione ipnotica di loop ritmici e melodici. Addirittura nel nome, che richiama alla tecnologia, al futuro. Mentre la house ha preso spesso una direzione ibrida con musicisti e suoni “veri” (pensiamo a tutta la corrente latina di Masters At Work o David Morales, che negli anni ’90 portavano in studio big band e orchestre), electro e techno hanno da sempre tramandato la lezione dei quattro robots. Ironia della sorte, solo pochi giorni fa eravamo qui a raccontare di un altro straordinario musicista che con il suo modo di intendere la ritmica è stato basilare per la formazione della msuica elettronica da ballare, Tony Allen. Idealmente, Allen e Schneider sono le due facce della stessa medaglia: classica ed elettronica, calda e fredda, Nigeria e Germania, yin e yang. Quasi che il destino si sia divertito a portarceli via praticamente insieme.

Ma c’è di più. Florian Schneider e i Kraftwerk sono importantissimi perché le loro visioni e intuizioni a livello di show dal vivo, di immagine, di iconografia, sono state un’ipotesi di futuro suggestiva e affascinante, che ha contribuito a forgiarlo, quel futuro. I costumi identici sul palco, la disposizione della band sulle proprie postazioni, l’idea dei robot con le fattezze dei membri del gruppo che li sostituiscono in concerto (memorabile e per i tempi davvero avanguardista fu la loro apparizione in Rai con Corrado, anno 1978). I Kraftwerk fanno parte di quel ristretto novero di artisti che nella seconda metà del secolo scorso hanno azzardato un’idea di “futuro futuribile” come nessun altro è stato più in grado di fare, nella musica e non solo. Philip K. Dick, Isaac Asimov e Arthur C. Clark nella letteratura; Ridley Scott e John Carpenter nel cinema (‘Blade Runner’, ‘Alien’ e ‘1997 – Fuga da New York’ sono stati a lungo “il” futuro, e anche qu la musica ha giocato un ruolo fondamentale, se pensiamo all’uso dei synth in Carpenter e in Vangelis). In Schneider abbiamo trovato uno degli ultimi baluardi dell’invenzione a tutto campo di un mondo nuovo. Poi sarebbe arrivato il post-modernismo che trita e ricicla tutto, più o meno bene e con più o meno fantasia. Non a caso house e techno, ultime grandi invenzioni della storia della musica fino a oggi, sono comunque figlie della radice elettronica dei Kraftwerk.
Con Florian Schneider se n’è andato un musicista straodinario, certo, ma soprattutto un uomo con una grande, grandissima visione.
07.05.2020