Tutto bene a Barcellona. Il clima migliora, il morale è alto. C’è voglia di fare, di riprendersi, di ricominciare. Sergio Muñoz, dj noto come Fur Coat, grande esperto di strumentazioni per dj, spiega che con le discoteche chiuse in tutta la penisola iberica, isole comprese, l’unica cosa da fare è restare allenati e aggiornati tra le mura domestiche pensano alle riaperture. “Trascorro il mio tempo in studio e mi preparo per i prossimi mesi”, racconta.
Ha molti remix in arrivo, diverse tracce per alcune compilation e diversi EP e per la sua etichetta, la Oddity Records, sono in arrivo alcune collaborazioni su cui ha lavorato per molto tempo. Intanto, la scena catalana, e anche quella restante, spagnola, si sta riorganizzando. Le restrizioni sono state allentate e lo stato di crisi agli sgoccioli. “Le vaccinazioni riprendono, l’allarme è ormai scongiurato, solo che sfortunatamente la maggior parte dei grandi festival è stata rimandata all’anno prossimo”.

La rivincita del groove venezuelano è segnata con la pubblicazione del tuo ultimo EP?
È stata la mia collaborazione con Julian Wassermann su Systematic a dimostrare quanto e come è stato intenso il flusso musicale su cui si è lavorato negli ultimi mesi. Questo, sino ad arrivare alla definizione del mio album. Ho pubblicato anche due remix, uno per D-Nox & Beckers, su Balance, e uno per Running Pine, sulla mia etichetta. Per quanto riguarda Oddity, ho ricevuto un bel po’ di demo. Tuttavia, al momento lavoro principalmente con artisti che sono già stati coinvolti con passate release.
Hai firmato molti contratti, per quest’anno.
E l’ho fatto per musica molto interessante. Losless, Mark Hoffen, Artche, Jody Barr, Avidus, Betical, dopo tre anni di gestione e di esperienza di Oddity ora il mio è diventato un compito facile sulla carta. Senza tour ho avuto più tempo per organizzare tutto in largo anticipo. Sono contento del futuro che si prospetta alla mia label, ho visto e compreso come e quanto è cresciuta e ogni volta noto nuovi artisti che sono intenzionati a entrare nella famiglia.
È quindi inevitabile, di questi tempi, che i dj debbano produrre musica. Al contrario, da diversi studi produttori molto attivi tentano di cimentarsi nella carriera di dj. Sono percorsi naturali, questi?
Entrambe le cose sono complementari, oggigiorno. Non credo che ci siano più casi di dj che diventano famosi in tutto il mondo senza produrre. Le produzioni sono ciò che ti permette di essere conosciuto all’estero e di essere chiamato per dei live. Una volta che produci, devi diffondere la tua musica dal vivo. E la cosa non basta: devi stringere buone relazioni, essere presente sui social, uscire su etichette giuste e scegliere i progetti in linea, oltre ad avere dietro una buona squadra di collaboratori.
Pensi che molti professionisti abbiano una vera ossessione per le strumentazioni e gli equipaggiamenti di recente produzione. Insomma, esiste davvero una caccia sfrenata all’ultimo plug-in o al prossimo controller?
Dipende dal carattere e dalle tasche che uno ha. Molti non sono per niente intenzionati a a cambiare la propria configurazione, non vogliono rimettere in discussione un setup collaudato per anni. Io sto nel mezzo. Mi piace quello che ho e nel contempo mi piace anche renderlo più personale, uscire dalla mia comfort zone. Magari vendo un synth che non uso più e compro qualcosa di nuovo. L’importante non è la quantità oppure se si dispone delle ultime novità: l’importante è avere gli strumenti giusti per permettere alla creatività di fluire nel modo giusto.
I fan e non solo loro ti hanno visto più volte all’opera con strumenti di Denon DJ. Essenzialmente, hai tutto quello che ti serve per suonare in qualsiasi location, dal più piccolo club al più grande festival?
Sì. Sono un dj e mi piace fare musica nel mio studio e riprodurla fuori da esso. Mi piace quello che un dj può fare con un mixato sonorizzando un’intera notte. Esperienze a parte, ecco, a livello tecnico, con la mia selezione musicale, ho tutti gli strumenti necessari per suonare in più scenari. Nei piccoli club hai set più intimi ed estesi, nei festival è un tempo più breve e devi mantenere viva la scaletta del palco.
La forma d’arte del vj è un nuovo modo di lavorare nella scena dei club, per i dj?
Penso che i vj siano sempre esistiti, almeno da quando è nata la possibilità di miscelare audio e video. L’esperienza visiva è sempre stata un pezzo importante del clubbing. Una buona grafica, una grande performance e un curato look possono migliorare l’esperienza del club. Quando hai poi della buona musica a corredo, un buon locale in cui esibirti, i suoni e le immagini sono perfetti, allora puoi portare l’esperienza a un livello più alto.

L’incontro con Denon DJ come è avvenuto? Quando hai scoperto e utilizzato i primi mixer e player?
Ho contattato un mio amico, Hugo Quintanilla, che gestisce i rapporti tra Denon DJ e gli artisti qui a Barcellona. Ero incuriosito, volevo testare l’SC6000 perché li avevo visti solo in streaming e volevo sapere di cosa si trattava. Quindi la relazione con Denon DJ si è aperta lì, me ne sono innamorato al primo tocco. Hanno davvero costruito un lettore straordinario, molto stabile. Da lì le cose sono fluite naturalmente. Abbiamo organizzato lo streaming con Beatport Link e ho iniziato a lavorare con loro.
Cosa ti piace della linea Prime?
Gli SC6000. Sono di un materiale incredibile e di alta qualità, sono facili da comprendere e da usare, e l’approccio ai loop è super stabile. Denon DJ ha costruito un player che diventerà uno standard nel futuro dei club. Non mi aspettavo poi la possibilità del doppio layer, molto interessante per me visto che suono con Traktor da molti anni con la modalità HID. Abilitare due tracce indipendenti sullo stesso lettore su due canali differenti è una cosa davvero super. Lo schermo è molto chiaro, luminoso, puoi impostare tutto come preferisci, per navigare in tutta comodità. E ultima cosa, ma non meno importante: i loop. Precisissimi.
28.05.2021