Tra le righe del nostro sito internet e tra le pagine del nostro magazine ogni mese in edicola raccontiamo con fierezza e passione i protagonisti della dj culture. A volte ne esaltiamo le gesta, altre ne critichiamo le scelte artistiche, altre ancora ci limitiamo, da onesti cronisti, a raccontare quello che succede con modi, toni e aggettivi che distinguono una penna dall’altra. L’osservatore non è per definizione coinvolto interamente nell’ingranaggio che a volte può solo guardare da lontano, limitandosi al propio fiuto, sensibilità ed esperienza per cogliere aspetti nascosti. Questa sensazione di vuoto narrativo mi spinge continuamente alla ricerca di nuove sfide che possano colmare il gap tra chi scrive e chi legge, per rendere più trasparenti possibili i gradi di giudizio. Dalla morte di Avicii, l’industria ha cominciato ad interrogarsi sull’effettiva portata psicologica ed emotiva di un lavoro unico, nuovo e bellissimo, che spinge molti ragazzi al limite delle possibilità. Anche quello del dj è un lavoro che nasconde problematiche e insidie. Sono fermamente convinto che fama, soldi e successo non siano medicinali efficaci contro i tormenti personali. Con le dovute proporzioni e nel massimo rispetto di chi lavora veramente, da tempo coltivavo il desiderio di sperimentare la tour life per capire effettivamente quali possano essere le reazioni nervose, fisiche e psichiche di due giovani ragazzi che, grazie a due successi internazionali (‘The Heat’ e ‘That Way’), si svegliano in provincia di Milano, cenano a Kyoto e vengono accolti come star a Tokyo. Per poi tornare dopo appena due giorni a casa. Simon De Jano e Madwill aka SDJM sono i protagonisti di questo sogno, coloro che mi hanno permesso, attraverso un’intricata doppia lettura paradossale, di esaudire un mio desiderio che una volta chiamavano ricerca empirica.

Il sonno umano – leggo attraverso Google – è caratterizzato da una struttura ciclica: ogni notte si susseguono 4-6 cicli della durata media di 60 o 90 minuti ciascuno. Ogni ciclo ha una sua fase iniziale di sonno lento, chiamato fase NREM, a cui segue una fase di “sonno paradosso”, la fase REM. Si tratta di un momento molto delicato, in cui abbandoniamo completamente il controllo del nostro corpo, attraversando quasi uno stato di paralisi muscolare, nonostante il cervello sia molto attivo. È proprio in mezzo ad uno di questi momenti che suona la sveglia puntata alle 03:45 del mattino. Con il tempo ho scoperto che una pennichella è migliore del dritto. Anche se non ho mai sofferto, il sonno è una tutela in più. Anche il Malpensa Express sta dormendo. Il primo viaggio, quello delle 4:27, non mi consentirebbe di arrivare puntuale all’appuntamento delle 4:30 al Terminal 1 dell’aeroporto milanese. È un novembre atipico. Fa caldo anche in piena notte. La cara vecchia nebbia è ormai una sconosciuta. Possiamo dunque sfoggiare il nostro outfit migliore. Simon de Jano e Madwill mi attendono puntuali. L’adrenalina e la tensione per la seconda spedizione del duo SDJM in Giappone nasconde la prima fatica. Decolliamo alle 6:30 di venerdì mattina per Amsterdam dove ci attendono 5 ore di attesa che trascorrono stranamente veloci. Il volo per Osaka si alza in cielo alle 14:30 d venerdì. Le 11 ore di volo sono coccolate dal clima mite che caratterizza l’aereo. Forse nel 2018 hanno capito che non è più il caso di far morire i passeggeri di tosse, raffreddore e torcicollo. Arriviamo ad Osaka che sono le 8 del sabato mattina. Ci aspetta un’ora e mezza di macchina verso Kyoto, dove la sera stessa gli SDJM sono le guest star del World Club. Situato nel centro della cittadina – dove l’11 dicembre 1997 è stato redatto il trattato internazionale sul surriscaldamento globale (tema decisamente attuale) passato alla storia come Protocollo – il club negli anni ha ospitato artisti come Skrillex (che a Kyoto ha dedicato anche un pezzo), Richie Hawtin, Sven Vath, James Holden, 2ManyDjs fino a W&W e Alison Wonderland. Ci arriveremo tra 12 ore per il soundcheck. Il viaggio che ci divide da Kyoto trascorre in maniera surreale. La Jeep guidata dal fantastico Beatman – dentista, chef e dj tuttofare dell’agenzia che ha organizzato il mini-tour – non solo non supera mai di un millesimo il limite di velocità ma attraversa il Giappone suonando musica classica per lo più italiana. Vivaldi, Rossini e Puccini riempiono gli enormi spazi che ci circondano ricreando un’atmosfera onirica che insieme alla stanchezza del volo ci fa fluttuare nell’aria. L’aria è pulita e rarefatta. Tutto intorno è pulito e ordinato anche se la provincia anche in Giappone sembra una provincia. La sbarra del telepass si alza di colpo quando il cofano è a un metro dal colpirla. Lo so, rovina la magia del momento, ma ci siamo cagati veramente addosso.

L’arrivo a Kyoto è d’altri tempi. Guai ad aprire la portiera. Potrebbero offendersi. Guai a portare il bagaglio. Potrebbero offendersi. E così via, per due giorni in cui mi sono sentito servito e riverito come ai tempi delle medie con l’influenza. Il letto dista 20 ore fa. Lo rivedremo tra almeno 10. Vogliamo visitare Kyoto. Comprare il tè tra i tradizionali vicoli del centro, osservare più possibile quello che circonda il tempio dove, tra uno spiedino e l’altro, va in scena un matrimonio tradizionale. Nel frattempo. “Hai editato quel mash up?”. “Il remix lo hai portato?”. “Se mettessimo anche questa?”. Simon e Madwill sembrano pazzi. Ma sono soltanto dj. La tensione sale. Il soundcheck non presenta nessun tipo di problema dunque “si va a mangiare?”. In Giappone si mangia spesso e bene. La carne e il pesce sono tra i più buoni al mondo. Il sushi è solo un luogo comune. Passaggio in albergo. Abiti di scena e via verso il World. Da mezzanotte – orario del trasferimento – Keita, fotografo e videomaker locale (autore delle foto di questo servizio, @keiwalker), segue gli SDJM passo dopo passo. L’accoglienza è trionfale. La fanbase lo aveva promesso agli SDJM via Instagram e i giapponesi sono di parola. Si spingono oltre, omaggiando anche me di un regalo con dedica (Ale Lippi e un cuore). Non ci potevo credere. La passione e la partecipazione è alle stelle. Quasi esagerata. Le prime file sono tempestate di gadget e merchandise a tema SDJM. Ma SDJM non hanno mai ancora prodotto niente del genere… Tra l’1 e le 2:30 di notte il set scorre via liscio nell’entusiasmo generale che si compie in un Meet&Greet con mini after show privato. Durante l’ultimo brindisi in Italia è mezzogiorno. Il consumo di alcool è limitato. Prima lezione: bisogna bere responsabilmente per tenere certi ritmi. Meglio non bere proprio. Il mattino seguente infatti un treno ci avrebbe portato da Kyoto a Tokyo per la seconda e ultima tappa del tour.

Al Circus di Shibuya ci aspettano per le 19 di domenica pomeriggio. Il party è iniziato dopo pranzo e gli SDJM sono l’attrazione. Il club è piccolo, molto underground. In contraddizione con la musica tendenzialmente mainstream proposta. In Giappone la scena è nuova così la dance music può vivere anche nell’underground. I giovanissimi (molte le ragazze) sono curiosi di scoprire cosa arriva dall’Occidente, guardato ancora con stupefazione e ammirazione. Tolti gli idoli Marshmello, Skrillex, Zedd e Don Diablo e tutto ciò che ovviamente propina l’Ultra Music Festival che ogni anno fa tappa a Tokyo, il resto è un magico mondo da scoprire. Se una canzone europea ha successo, immediatamente genera un interesse superiore alla media. Per questo SDJM sono arrivati fino in Giappone, grazie alla popolarità delle loro canzoni. Il meccanismo è sempre esistito. Il mio amico e collega Fargetta mi ha raccontato di un’esperienza simile vissuta grazie al successo del singolo ‘Your Love’ prodotto come Get Far e che nel 1994 lo portò fino al Sol Levante. L’hotel dista pochi chilometri dalla stazione centrale di Tokyo. È primo pomeriggio. Il percorso in un van dotato di free wi fi mi permette di immortalare alcuni momenti. È una metropoli gigante. Con 13,1 milioni di abitanti, Tokyo è l’ottava città più popolosa del mondo. Una sensazione di vastità e densità rappresentata alla perfezione dallo “Shibuya Crossing”, l’attraversamento pedonale più frequentato e popolare al mondo sul quale dominano le nostre stanze d’albergo. Approfittiamo delle due ore libere per visitare il vibrante quartiere che sembra una rappresentazione Disney, a tratti surreale, di Times Square. La scena si ripete. “Apriamo come ieri”. “Meglio stare più morbidi nella parte centrale del set”. “Quel drop non mi ha convinto”. Alle 19:30 l’intro edit di ‘That Way’ riempie il Circus. Il club è molto più piccolo del World di Tokyo ma il fanatismo e la passione rimane la stessa. Magari più garbata, nello strano gioco provincia/città (Kyoto/Tokyo) che si ripete anche dall’altra parte del mondo. Il set è più o meno lo stesso della sera precedente. Seconda lezione: in tour non c’è veramente tempo di far niente. Deve essere tutto calibrato alla perfezione per non farsi trovare impreparati di fronte a chi aspetta da 12 mesi quella serata. Sia al World Club di Kyoto che al Circus di Tokyo sono state anche suonate un paio di ID di cui sentirete molto parlare e che sicuramente porteranno gli SDJM in Giappone una terza volta. Con o senza di me, che comunque adesso ho un’unità di misura del successo. E questa è la terza lezione, la più utile.

14.11.2018