Foto: Tommaso Ottomano
Una delle voci più interessanti della nuova musica italiana, Ginevra è tornata, prima con il singolo ‘Briciole’, e ora con ‘Anarchici’, dove ancora una volta “sfoggia” una produzione molto vicina ai suoni da club. Il percorso di questa cantautrice torinese trapiantata a Milano è sempre più interessante, proprio perché se da un lato la vediamo sempre più spesso in contesti classicamente pop (è stata ospite de La Rappresentante di Lista a Sanremo insime a Cosmo e Margherita Vicario, ha suonato con i Motel Connection al Parco del Valentino a Torino durante la settimana dell’Eurovision Song Contest), dall’altro il suo è un pop dal respiro assolutamente internazionale, e ci intriga proprio per la sua personale concezione della canzone e del sound che la contraddistingue. Visto che i due singoli sono fuori, che l’estate la porterà in giro per un bel po’ di date, e che si vocifera sempre più insistentemente del suo album di debutto, più o meno imminente, l’abbiamo incontrata per saperne di più.
Sei arrivata – pare – al traguardo dell’album, anticipato – pare – dai due singoli appena usciti e che stanno dandoci un’idea di cosa ci aspetta. Quando esce e cosa puoi dirci?
Quando esce non posso dirlo, non abbiamo ancora concluso i lavori e non ho una data precisa, di sicuro prima della fine del 2022. Da ‘Metropoli’ in poi ho lavorato con il mio team senza precluderci nulla e buttando sul tavolo tutte le idee possibili, un flusso di coscienza continuo per due anni, e ora stiamo incastrando le tessere del puzzle.
A proposito di team, sei ormai saldamente consolidata con una squadra musicale, discografica e di produzione e sta lavorando insieme da tempo. Me ne vuoi parlare?
Lavoro con Francesco Fugazza dagli inizi, abbiamo frequentato insieme l’accademia di musica qui a Milano. È nata un’amicizia che si è trasformata in un rapporto artistico molto stretto. Francesco è un musicista e un produttore, ma soprattutto è la persona che divide con me la direzione del mio progetto: con lui ho trovato un riscontro sonoro che mi rispecchia al 100%, ci intendiamo alla perfezione; c’è l’Italia ma c’è un suono internazionale. E poi è subentrato anche suo fratello Marco Fugazza che è indispensabile nella costruzione dei live. Poi ci sono le occasioni di lavorare con altri, come Frenetik & Orange, con cui parliamo la stssa lingua, o come Ceri con cui ho collaborato lo scorso anno. Mi piace allargare il campo e cercare di fare cose interessanti insieme a persone che stimo, ma Francesco e Marco sono proprio la mia famiglia artistica.
Abbiamo nominato già parecchie volte la parola “club”, ed è anche il titolo di un tuo pezzo: visto il tuo sound, sei una che va ballare?
Mi interessa molto il mondo del clubbing anche se negli ultimi anni per forza di cose c’è stato un stop; in certi casi l’imprinting è “fugazzoso”, lui è quello più attento a quei suoni, ma io sento sempre la necessità di uno sbocco che vada al di là della solita forma canzone. E il clubbing è un serbatoio preziosissimo di idee, in questo senso. ‘Sconosciuti’ ne è un esempio felicissimo. La dimensione noturna è quella del club ma è anche la mia, mi affascina la notte, i suoi silenzi e il suo clamore, mi affascina la prospettiva così diversa da quella canonica del giorno.
Restando sempre nell’orbita del mondo clubbing, tu vieni da Torino, una città che con l’elettronica e il mondo dei dj ci va proprio a braccetto. Come ci sei cresciuta? Come la vedi oggi, da torinese trapiantata da tempo a Milano?
Io mi sento assolutamente legata a Torino e alla sua atmosfera, alla sua energia, er per quanto sia ormai da anni milanese, mi sento proprio fatta di quella materia, infatti mi sento molto vicina al linguaggio di gente come Samuel o Cosmo – che non è proprio torinese, è di Ivrea, ma per comodità e affinità assimiliamolo a Torino – con cui recentemente ho lavorato e diviso il palco. Poi ero piccola quando Torino fioriva di novità stimolanti, che ovviamente non ho vissuto in prima persona per ragioni anagrafiche, ma i Murazzi o i suoni del dub, dei soundsystem, dei club degli anni ’90 e post-2000 sono nel DNA della storia della musica e della società italiana. Però sento quel richiamo. E voglio approfondire questo legame con la mia città d’origine.
Cosmo, Samuel e Motel Connection mi fanno venire in mente palchi grandi che hai calcato insieme a loro: il Parco del Valentino, il festival di Sanremo, ci metto anche Polifonic festival a Milano di recente. Spazi del genere ti fanno paura o ti senti a tuo agio? Perché io sono molto intrigato dal tuo “dualismo” che ti porta ad essere assolutamente pop ma anche assolutamente laterale, alternativa, quasi sfuggente come approccio.
È una costante che si ripropone, anche sulla lavorazione del disco: dove andiamo? A chi vogliamo parlare? Sono domande che mi faccio e ci facciamo spesso. Io sono un’artista ambiziosa, voglio arrivare a più persone possibile, ma non voglio nemmeno farlo snaturando ciò che sento e che amo fare, la mia musica ha un valore perché ha una sua unicità, se perdo quella che senso ha arrivare a migliaia di persone? Poi ovvio che mi gaso quando mi trovo sul palco con i Motel Connection davanti a 20mila persone, a Torino, con i miei genitori e Samuel che mi fa la presentazione della vita. Capirai, chi non sarebbe al settimo cielo? Stessa cosa a Sanremo con La rappresentante di Lista, Cosmo, Margherita Vicario… anche se lì forse la sensazione è un po’ stemperata dal fatto che la maggior parte delle persone non sono lì presenti davanti a te, sai che ci sono, sono milioni, ma davanti a uno schermo, che è diverso. Però dico sempre che la mia necessità artistica presuppone un rispetto di esigenze e tappe personali da cui non si può prescindere. Devo rimanere fedele alla mia naturam in ogni caso. Magari ci metterò più tempo ad arrivare a tanti, ma va bene così. È il mio percorso personale.
Visualizza questo post su Instagram
Mi piace il quadro che sta uscendo da questa intervista: mi metto nei panni di chi non ti conosce e si sta facendo un’idea in base alle cose che ci stai raccontando. Volendo andare un poco più nel dettaglio nel tracciare un identikit: vuoi citarmi qualche tua ispirazione, delle influenze, dei modelli?
Beh, è una domanda molto ampia ance splo per i gusti e gli ascolti… direi che Meg lo è per tutti noi, “tutti noi” intendo i Fugazza, Frenetik & Orange, ne abbiamo parlato spesso tra noi e poi è successo che il suo nuovo album sia uscito su Asian Fake, etichetta che pubblica anche me, e ci abbiamo lavorato insieme in studio, è incredibile per me. È importante perché è una figura chiave del cantautorato italiano femminile con una forte componente elettronica. Allargando il campo ai grandi nomi internazionali cito i Massive Attack, Four Tet, James Blake, e nomi più recenti come Overmono, Bicep, tantissime cose che girano itorno a quell’idea di musica, molto UK, con tanta intersezione di scrittura classica, pop, e di elettronica, suoni da club ma anche in certa misura colti, non banali, mai. Poi, ancora, posso citare le grandi voci che sono per me un faro, da Joni Mitchell a Carmen Consoli, e personaggi della nuova generazione come ML Buch, Charli XCX, A.G. Cook. Insomma, pop ma super stiloso.
Domanda spinosa: cosa non vorresti mai fare? Qual è la direzione che non vorresti imboccare?
Sarei delusa da me stessa se facessi qualcosa che non sento mio, dove vince il marketing, cose che non sentirei addosso. Piuttosto faccio due step indietro e cerco di impormi facendo cose pazze, proprio colpi di testa, ma non scontate. La mia presenza è necessaria nel momento in cui mi rappresenta, se non è a che serve?
Chiudiamo in un modo classico: collaborazione dei sogni?
In Italia Carmen Consoli, uno dei miei amori folli; all’estero s devo dire dei sogni dico Massive Attack e James Blake, se penso a gente nuova con cui vorrei laorare perché sono bravissimi dico Sega Bodega e Eartheater.
13.06.2022