Ci sono tantissime ragioni per cui potremmo parlare di Giorgia Angiuli. Il 2018 è stato sicuramente il suo anno artisticamente migliore, il più significativo. Una bella impennata di date a livello internazionale e una grande visibilità social, ottenuta, ed è bello e doveroso sottolinearlo, non grazie alle pose e alle sponsorizzazioni di qualche brand, ma con i suoi video unici, in cui mostra esattamente come suonano i suoi particolarissimi strumenti. A coronamento di tutto questo, due belle ciliegine sulla torta. Il suggestivo live per Cercle, di cui trovate il video qui sotto, all’inizio dell’intervista, e l’uscita del suo album di debutto, ‘In A Pink Bubble’, pubblicato a fine novembre su Stil Vor Talent. Il momento migliore per sedersi davanti a Skype con Giorgia, insomma, e fare una lunga chiacchierata su tutto quello che è successo, e anche – perché no – su quello che succederà.
Hai vissuto un 2018 decisamente intenso, direi che è l’anno in cui sei definitivamente sbocciata. Ne sei convinta?
Io a dire il vero non mi rendo così tanto conto di cosa mi succede intorno. Sicuramente è interessante per me notare che è l’anno in cui sono uscita dall’Europa, per me viaggiare è sempre molto bello e molto importante. Circa l'”essere sbocciata” non lo so, io mi sento perennemente in una sorta di gavetta, sempre in crescita. Certo ho suonato a diversi buoni festival quest’estate, ci sono state date importanti, sono sicuramente in un buon momento, questo lo so. Ma sento di dover lavorare ancora tanto e ancora di più.
A questo punto qual è l’obiettivo per il 2019?
Ho tanti sogni e obiettivi. Mi piacerebbe portare a termine un concerto live insieme a mio fratello, che è un contrabbassista; vorrei strutturare il mio live set in modo più elettronico e meno strettamente dance, lo dico da un po’ ma vorrei proprio farlo a breve. Vorrei strutturarlo magari con un quartetto d’archi e con maggiore completezza di arrangiamento. Vorrei aprire il mio concept store con diversi oggetti e altro materiale che è al momento in fase di studio. Cercare di portare a compimento delle collaborazioni per delle limited edition con dei brand, anche su oggetti legati alla moda, abiti, accessori. Naturalmente sono tutte cose che richiedono tempo. Inoltre ho finalmente completato il mio studio, così da potermi rimettere a studiare, vorrei approfondire alcuni aspetti del mio lavoro, ad esempio tutta la fase di mix e mastering.

Mi sembra che per te tutto ciò che riguarda – uso un termine generalista e ampio – la moda, e intendo l’aspetto visivo e l’immaginario del tuo stile, siano importanti quasi, o tanto quanto, la musica.
È un mondo che mi piace, molto creativo. La musica nella mia vita è al primo posto, ma amo lavorare in maniera trasversale, trovo molti nuovi stimoli, la vedo come una nuova sfida, è divertente anche immergermi in un circuito completamente nuovo. Anche per questo sto andando molto a rilento, voglio approfondire tutto, i tessuti, i tipi di stampa… il mio sogno è avere un concept store dove trovare strumenti musicali non convenzionali nel suono ma anche nel design, e poi dove ci sia anche un abbigliamento molto particolare. Per me è un mondo tutto nuovo, lo sto scoprendo adesso.
Ti piacerebbe un giorno disegnare una collezione come fa, che so, Kanye West?
Eh, magari… però senza scendere a compromessi. Le idee devono essere le mie, non seguo troppo quello che va sul mercato e non sono così legata a strategie “furbe”. Di sicuro per avere una grande qualità è necessario collaborare con gente del settore, ma senza svendersi troppo sulla propria idea stilistica. Per fortuna o purtroppo sono fatta così.
Forse è il modo migliore di arrivare dove vuoi arrivare.
Mah, chissà… Mi hanno già proposto diverse collaborazioni ma non erano quelle giuste. Spero arrivino. Sai, devo andare in Giappone, chissà che lì non trovi qualcuno capace di sintonizzarsi sulle frequenze del mio stile e del mio immaginario.
Uno dei tuoi punti di forza è chiaramente questo tuo immaginario, che calamita subito l’attenzione. Non hai mai risentito di una ricaduta anche negativa di questa tuna unicità?
Certo, come no! Ci sono abituata perché ci sono cresciuta, venendo da un piccolo paesino in Puglia puoi immaginare come venissi vista. Conta che nel tempo questi miei look si sono molto tranquillizzati, ero molto più estrema.
Che poi, se stiamo a vedere, questo total black è arrivato nella techno da una decina d’anni, anche meno, prima era tutto molto colorato. Se rivedi i video dei rave anni ’90 era tutto fluo. Dev’essere cambiato qualche fattore “extra”…
Lo credo anch’io! Ma ti dicevo, io sono così fortemente contrapposta a tutto questo nero, che in diverse occasioni mi sono sentita dire che sono un personaggio costruito a tavolino, mentre è semplicemente il mio modo di essere. Io mi vesto così anche per andare al supermercato.
A proposito di colori, il tuo album si intitola ‘In A Pink Bubble’. Come sta andando?
Sono molto contenta, durante le prime settimane sono arrivati subito ottimi feedback. E mi piace l’idea che sia un lavoro sincero, che mi rappresenta, racconta il mio passato, l’indie-pop, l’elettronica, e anche il vesante più techno. Passato e presente. Ma sono contenta, anche della label con cui sto lavorando. Ho sempre stimato Stil Vor Talent, ho conosciuto Oliver Koletzki ad un party a Berlino quattro anni fa e dopo il mio live mi ha subito contattata e abbiamo iniziato a lavorare insieme. Mi piace il fatto che sia un’etichetta variegata ed eclettica. E di qualità.
Mi piace molto questo disco, perché mette insieme il tuo suono ormai “classico”, distintivo, e altre derive meno prevedibili da parte tua, beat più morbidi, canzoni, meno dancefloor, le chitarre. Ti rappresenta?
Sì, mi rappresenta. Sono emerse tutte le mie componenti e i generi che mi hanno accompagnato fino a oggi. Poi io sono eternamente insoddisfatta, sento sempre qualcosa che può essere fatto meglio nei miei dischi, ma va bene così. Ieri sono tornata da un po’ di date e subito mi sono messa a produrre musica nuova. Cerco sempre un upgrade.

So che c’è un brano dedicato a tua madre, me ne avevi parlato in termini emotivamente molto forti. Vuoi raccontarne qualcosa?
Tutto l’album è dedicato alla mia cara mamma, in particolare c’è ‘I Shall Never Ever Forget You’ che già dal titolo è abbastanza eloquente. Mia mamma se n’è andata nel giro di pochi mesi per un brutto tumore, io ero spesso in giro a suonare ed è stato un periodo molto difficile dal punto di vista emotivo. Quando le cose si sono aggravate ho preso un volo e sono rientrata subito per starle vicino. Il nostro rapporto è sempre stato conflittuale rispetto al mio lavoro, lei si aspettava da me una carriera più canonica, magari in conservatorio. Ma poco prima di andarsene mi ha detto: “Giorgia, sono molto fiera di te. Non smettere mai di suonare, sei bravissima”. È stata una delle ultime cose che ha detto. E quelle parole mi hanno dato un’energia speciale per continuare a fare ciò che amo dando il massimo.
Hai anche una cover molto bella, chi è l’autrice?
Si chiama Nicoletta Ceccoli, è una delle mie illustratrici preferite e trovo il suo artwork in perfetta sintonia con il mio stile artistico.
Volente o nolente, devo chiederti di un argomento di attualità. Ovviamente riguardo l’esplosione della figura femminile in consolle: da personaggi spesso snobbati, o comunque sempre ampia minoranza in un mondo molto, troppo maschile e maschilista, a protagoniste indiscusse dell’ultimo anno. Non rischia di essere un fenomeno controproducente, non esiste il rischio di una “bolla speculativa”?
Per quanto riguarda “noi femminucce”, credo siamo ancora un po’ indietro in termini di uguaglianza. Parlare eccessivamente di donne significa creare appunto uno squilibrio che rischia poi di gonfiare la famosa “bolla”. Purtroppo il pregiudizio esiste, lo vivo anche su di me, sai quante volte sento dire “sì, è brava, ma è pur sempre una femmina“, oppure “chissà chi è il ragazzo che le sta dietro”. All’inizio ci soffrivo di più, ci rimanevo male. Oggi no, cerco di proteggermi, in realtà le persone che fanno questi commenti mi fanno provare sofferenza più per loro, perché mi accorgo che intorno alla musica c’è spesso tantissima frustrazione. Mi ritengo una privilegiata, c’è tanta gente magari bravissima che però non riesce a far esplodere il suo talento o a trasformare in un’ambizione di vita questo suo talento. Secondo me non si può parlare di uguaglianza perché quando c’è una donna sul palco c’è troppa attenzione in più, in positivo e anche in negativo, si sta tutti attenti al minimo errore. Da parte mia ho trovato il mio equilibrio non badandoci troppo, concentrandomi sulla musica. Non me ne frega più di tanto. Ho troppo rispetto per la musica per prendermene gioco, quindi spero soltanto che si vada nella direzione della qualità, in futuro.
Che cos’hai in programma per la fine dell’anno?
Beh, durante il periodo natalizio mi prendo qualche giorno di pausa e vado a trovare la mia famiglia. Questo lavoro è meraviglioso ma toglie molto tempo alla vita privata. Poi il 2 gennaio suonerò in Vietnam per la prima volta in vita mia, a un festival di nome Epizode che sembra davvero figo. E poi subito altri tour, torno in Brasile dove era andata davvero bene e mi hanno richiamata subito, e poi Sudamerica e Stati Uniti. Ho rifiutato l’Australia, è troppo lontana.
Come, l’hai rifiutata?
Il jet-lag mi uccide, è davvero troppo. Sto rifiutando diverse proposte, a dire il vero, spesso a malincuore, ma ho bisogno di stare anche in studio, per me è molto importante. Se comincio a viaggiare poi non ci capisco più nulla, è figo ma mi serve del tempo da decicare alla scrittura e alla mia fase creativa. Bisogna mantenere un equilibrio per se stessi, stare bene, fare sport, avere una vita affettiva.
La tua vita privata è felice?
Sì. È come una “pink bubble”, appunto, c’è molto caos ma mi impegno per bilanciare tutto. L’anno scorso è stata davvero dura, ora mi sto abituando.
Non sei la prima persona che mi parla di gestire la vita privata in modo più sereno, qeuilbrato, rispetto al vortice della vita del dj-globetrotter. Probabilmente ci sono stati alcuni episodi – il più lampante e drammatico ovviamente è stato quello di Avicii, ma anche altri – che hanno fatto emergere nettamente questo problema. È così?
Hai ragione. Guarda, io ho pianto mentre guardavo il documentario su Avicii. Da parte mia ho uno stile di vita abbastanza sobrio, cerco di fare meditazione, yoga, orari sensati. Ma la tentazione di accettare quasi tutte le proposte è forte, perché ti sembra sempre di lascarti sfuggire delle occasioni, artistiche e anche economiche. Tra l’altro, per scelta, non sono in una grossa agenzia, lavoro con un team di persone che sono fondamentalmente e prima di tutto degli amici, quindi riesco a gestire il mio calendario senza troppe pressioni.
Hai rifiutato addirittura il Cirque Du Soleil, è vero?
Mamma mia, quella è stata una cosa davvero difficile da gestire! Mi avevano proposto un anno di spettacoli con loro, ma significava mettere in stand by la mia carriera proprio in un anno come questo, non era possibile. Due show al giorno a Las Vegas vuol dire trasferirti lì ed essere in quella bolla per un anno. Quindi ho detto di no. Ma ora forse ci sarà un altro progetto inieme a loro. Non posso ancora dire nulla.
06.12.2018