• SABATO 03 GIUGNO 2023
Costume e Società

Il grande inganno dei numeri sul web

Classifiche, record, views, followers. Abbiamo deciso di mettere la nostra vita in mano ai numeri, ma è bene tenere a mente che barare è facilissimo

Quanto conta un click? Se dovessi riassumere la cronologia musicale del 2018 in un’espressione, probabilmente sarebbe “clicca qui”. Mai come nell’ultimo anno l’industria discografica è stata così crucialmente dipendente dall’engagement del web, e mai come negli anni appena trascorsi i numeri hanno fatto la voce più grossa della sostanza musicale. Ma è così. Tristemente o meno, pensare oggi di organizzare l’uscita di un disco senza tener conto di come attirare l’attenzione nelle piattaforme streaming o nei social media costituirebbe far finta di non vedere ciò che è sotto gli occhi di tutti: viviamo sotto la dittatura dei numeri. Le views su Youtube, i followers su Instagram, gli stream su Spotify. Chi non ce li ha non ha necessariamente torto, ma chi ce li ha… ha sempre ragione. Le nuove tecnologie e il mindset loro connesso – mai termine più azzeccato – hanno portato benefici ad un ecosistema che da anni vedeva i suoi conti costantemente in rosso, ma c’è più di un motivo per cui prevedere un futuro tutt’altro che roseo. Fin dove sono disposti ad arrivare, gli artisti e i loro team, per assicurarsi il caro e vecchio click? 

Comanda lo streaming
Come con le persone ai primi tempi di Facebook, se oggi un musicista non è su una piattaforma streaming in poche parole non esiste. Non è sulla mappa, si direbbe. Non storcete il naso. Se credete sul serio che si possa costruire una carriera musicale di successo guadagnando dieci euro al mese su Beatport, inutile che proseguite nella lettura. In un recente studio pubblicato, la Goldman Sachs (la più grande banca d’investimenti al mondo) si aspetta che il mercato dello streaming arrivi a toccare 37 miliardi di fatturato entro il 2030; la riproduzione gratuita rappresenta più della metà delle entrate totali del mercato ed è realistico pensare che andrà ad includere sempre più funzioni video-audio pensate appositamente per aumentare la durata della user experience sulle piattaforme, che già coprono un arco temporale giornaliero paragonabile a quello dei social media; aveva ragione Jimmy Iovine quando diceva che da Napster in poi la musica sarà per sempre gratuita”. Qualcuno potrebbe obiettare che nel mondo dei dj i digital store siano ancora fondamentali per poter acquistare i brani da suonare, e che senza di essi oggi Spotify ed Apple Music (che comunque funazionano anche su abbonamento) servirebbero a ben poco in ottica di un live. In realtà, diversi indizi ci portano ad un inevitabile futuro in cui anche le tracce suonate dai dj proverranno da una piattaforma streaming. Uno fra tanti? L’accordo di Soundcloud (qui il testo) con Serato, Virtual DJ, DEX3, Hercules e Mixvibes. Vi semplifico il contenuto: dal 2019 sarà possibile suonare in console brani scelti pochi secondi prima sulla piattaforma berlinese. E da qui, è realistico pensare che gli altri giganti dello streaming seguiranno la stessa strategia. Non si salva nessuno: il mondo ascolta musica gratuitamente – o meglio, sotto abbonamento – e con l’approdo dei maggiori player in mercati come l’Oriente e l’Africa si prevede che il bacino di pubblico andrà ad aumentare esponenzialmente ogni anno. 
 
  
In un momento come questo, dove si produce il successo? 
In studio di registrazione, innanzitutto, poi nei social media e nel web. Infine su Spotify, Apple Music, Youtube Music, Pandora, Deezer, Amazon Music, e compagnia. Il risultato finale sono numeri. Sempre più grassi, da record, globali. Se un artista scala la vetta o piomba in basso, lo decide il numero grigio accanto al titolo del brano; idem se il pezzo debba o meno entrare in una playlist seguita in tutto il mondo, o se meriti un disco d’oro o di platino. Tu, artista in ascesa, sei poco più che quel numero grigio. In un momento di così cieca dipendenza, dove sta il musicista? Nel mezzo. Ci avviamo a passo svelto verso un futuro in cui l’artista sarà colui che meglio di chiunque altro è riuscito a capire l’algoritmo, a parlare il linguaggio delle plays, a creare un’identità virtuale perfetta nel magico mondo di Instagram. Può suonare distopico, ma è più che mai realistico. I curatori delle playlist di Spotify oggi hanno un potere d’influenza da veri e propri discografici monopolisti, paragonabile alle grandi radio o a quello delle major label. A proposito di major label, chi può dire se oggi conti più il supporto di una tra Universal, Warner e Sony o quello di un ultra influencer? Il gioco sta cambiando e certi pilastri dell’industria discografica si stanno iniziando a mettere in discussione, e a rigor di logica. Gonfiare quel numero grigio è la priorità di chiunque, e i numeri necessari a farsi notare sul serio sono sempre più alti perchè sempre più ferrea è la competizione e lo standard di visibilità. E allora quanti hanno ben pensato di ingannare il sistema gonfiando le proprie statistiche? Molti più di quanti pensiate.


 
Avete mai sentito il termine click farm? 
Quello delle “fabbriche dei click” è un mondo emerso che mette da subito in discussione il sistema attuale su cui si fonda l’industria e la sua credibilità, ovvero quello dei numeri, dando il via ad una serie di meccanismi molto pericolosi. Il click farm consiste in un fenomeno in rapido sviluppo in economie come Thailandia, India, Sri Lanka o Filippine, dove strutture fatiscenti vengono impiegate per mettere al computer centinaia e centinaia di lavoratori il cui unico compito è creare profili social, cliccare specifici link, fare ascolti e registrarsi a siti web. Sottopagati, in condizioni di lavoro dannose per la salute e in orari folli (le giornate di lavoro in una click farm possono arrivare fino a dodici ore filate) migliaia di indiani, thailandesi e filippini ogni giorno impiegano forza lavoro nell’ascesa web di un prodotto o personaggio. Diversi video, tra cui questo dalla Cina, documentano che alcune click farm producono engagement su pagine web anche tramite sistemi automatizzati. Con poche centinaia di euro, è oggi possibile costruire un’apparente fan base da pelle d’oca. Qualche numero? Per arrivare a un milione di followers, possono bastare 400 o 500€, e questa forse non è una novità. Il sito Cracked.com riporta la testimonianza di Albert, che lavora in una click farm thailandese. Albert passa il giorno a creare profili a partire dalle liste dei nomi di battesimo più popolari in America, e nel giro di pochi minuti si tramutano in like, commenti, ascolti, iscrizioni a newsletter e visualizzazioni. Ovviamente, è del tutto illegale, ma sgominare una click farm è come cercare un ago in un pagliaio. Ma la faccenda è sempre più pubblica.


 
La polemica tra i fan di Drake e quelli di Selena Gomez
È recentissimo il flame in merito al nuovo record raggiunto dalla cantante quale artista più ascoltata di sempre su Spotify. Il successo della Gomez, secondo gli utenti del web, è a dir poco sospetto. Come può un’artista – che tra l’altro ha tagliato con la vita nei social – avere una media di più di 46 milioni di ascolti mensili, senza pubblicare un album dal 2015? Per di più, tirando giù dalla vetta un nome prolifico e universalmente popolare – e che tra l’altro ha la stessa media di ascoltatori mensili – quale Drake? Secondo i fan del canadese, la risposta è semplice: Selena Gomez si avvale delle click farms. Posto che difficilmente si avrà mai una risposta a questo specifico enigma (che si potrebbe comunque risolvere con “alla gente piace da matti Selena Gomez”), il fenomeno dei numeri fraudolenti nelle piattaforme sarà un’altra grande sfida da affrontare per l’industria musicale moderna. E sarà necessario farlo al più presto, per evitare l’esplosione della bolla. I fatti dicono che oggi, con un budget minimo, è possibile creare un personaggio musicale mai esistito e fargli conquistare molte delle più seguite playlist di Spotify. C’è chi ci è riuscito alla perfezione e per di più con un brano inascoltabile, come nel caso dell’esperimento condotto da Noisey Danimarca, che con 10.000 fake streams su Spotify (acquistati in pochi secondi sulla piattaforma Streamify) sono riusciti ad ottenere più di 5.000 ascoltatori mensili reali, sull’onda della diffusione del brano grazie agli iniziali ascolti acquistati.

I numeri di Salmo
Salmo non ha bisogno di essere in tutte le playlist per dominare la scena; oggi, per entrare in una playlist, non solo si può non essere bravi, nè belli, ma addirittura… non essere. A Salmo interessa entrare nelle playlist perchè alimentano i numeri da cui dipende vitalmente il pubblico. Non ci siamo resi conto di vivere in un ecosistema in cui tutto è più immediato di prima quanto anche incerto, scaldato dall’hype del web quanto rapido a consumarsi. Sta diventando tutto freddamente finto, numerico e schematico, ed è una bolla che finchè non scoppia ci ingloberà fino alla nausea. Sono cambiati i cicli di durata – le mode si esauriscono in tempi praticamente dimezzati rispetto al passato – ma anche lo spettro dei gusti musicali, considerando che tra le mood playlist, gli algoritmi e il multiculturalismo delle classifiche, ci troviamo tutti ad ascoltare di tutto. Alla fine dei giochi sembra vincere chi “è stato in top10 per x settimane” o “ha totalizzato il record di streaming nelle prime 48 ore dalla release”. Ebbene, invito a maneggiare con cura tutti questi claim, perchè non a caso sembra vincere. La prova del nove – e l’unico reale guadagno economico dell’artista oggigiorno – rimangono i live, dove non esistono farms che salvino la faccia, finti applausi o sold out decisi a tavolino; è tra le persone fisiche che ci si gioca tutto. Certamente i numeri online non sono da trascurare: questi rimangono l’indicatore di quanto promettente sia la direzione in cui l’artista sta andando e quale sia il parere del pubblico in merito alla direzione. Ma teniamo le statistiche nel reparto dedicato a ciò che semplicemente sono, ovvero…statistiche. Perchè la finzione è dietro l’angolo e cascarci non è mai stato così facile. 

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25 anni. Romano. Letteralmente cresciuto nel club. Ama inseguire la musica in giro per l'Europa ed avere a che fare con le menti più curiose del settore. Penna di DJ Mag dal 2013, redattore e social media strategist di m2o dal 2019.

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