Come sentirsi a casa. Come far sentire tutti a casa, giocando in casa. Dai ravers della prima generazione ai giovanissimi amanti della nuova dance da stadio o della techno da club, dai rockettari a chi non è mai uscito dalla provincia di Treviso e vede l’intrattenimento e la festa nel luna park e nella band gloria locale. Home Festival non si chiama così per caso. D’altronde una line up eterogenea che passa da The Prodigy a Vinicio Capossela, da Martin Garrix ai 2 Cellos, esprime l’esplicito intento di essere trasversale nella proposta e nel pubblico. E meno male.
Uno sguardo all’Europa
Home Festival è diventato in pochi anni il festival italiano con la maggiore affluenza di pubblico. Il comunicato ufficiale a fine manifestazione dice 88mila ingressi. Fosse pure qualcuno in meno, è comunque una cifra notevole, soprattutto se si considera l’ubicazione non proprio centrale: non Roma o a Milano, non la riviera romagnola o il Salento; siamo nel profondo nord est, in un weekend post-vacanze che potrebbe significare portafogli sgonfio e voglia di ricaricare le pile dopo le ferie. Invece il festival cresce di anno in anno e lo fa con quella mentalità che manca alla maggior parte dei festival del nostro Paese, pure a quelli di una certa dimensione, pure a quelli di un certo prestigio, pure a quelli di una certa qualità. Lo fa guardando al modello dei festival europei (e americani), dove il rap è sullo stesso palco di un dj o del folk. Il modello di riferimento più vicino è lo Sziget ungherese, ma se vogliamo nel DNA di Home c’è Glastonbury, c’è Primavera Sound, c’è Coachella.
Con delle differenze, ci mancherebbe. Non siamo ciechi e non abbiamo il paraocchi. Ci sono dei limiti e dei difetti. I primi sono la distanza tra i ghiottissimi nomi degli headliner e il provincialismo di buona parte della fascia pomeridiana: da un lato The Prodigy, Martin Garrix, Ilario Alicante, Salmo, Pendulum, e aperture eccellenti come Dub FX, Fabri Fibra, I Cani, Max Gazzè. Dall’altro realtà locali e/o piccole come Rumatera, Unknwn, Francesco Bonora. I difetti sono in un’area che crea qualche problemuccio al traffico, con le arterie della città congestionate, e una location ampia e vivibilissima, ma che tuttavia toglie un po’ del piacere di stare al festival a causa di terra, polveroni, cemento. Nulla di grave o impossibile, ma se le cose andranno nel verso giusto, sarebbe bello pensare a una bonifica che renda più piacevoli anche questi aspetti. Il resto dell’ospitalità di Home è più che buona: aree cibo ben dislocate e varie nell’offerta, servizi con code ragionevoli anche in orari di grande afflusso, palchi disposti bene e timetable studiate con intelligenza per concentrare il pubblico sul MainStage durante gli show principali e distribuirlo invece sugli altri palchi quando il main è fermo.

Promossi e bocciati
Tornando al lato strettamente musicale, Home ha fatto un notevole salto in avanti anche rispetto all’anno scorso, con nomi internazionali e italiani di livello. Prodigy e Salmo sono stati indubbiamente i migliori. I primi erano il motivo per cui molti sono venuti al festival, e il loro live è un carrarmato che ti sfonda il salotto mentre stai cenando sereno davanti al TG con la famiglia. Una band che può permettersi di iniziare con ‘Breathe’ sicuramente “ha i pezzi”, come si dice, e l’energia che Liam, Keith e Maxim portano sul palco dopo 25 anni insieme (grazie anche a una band molto affiatata) è esplosiva. Tra successi recenti (‘Nasty’) e pezzi leggendari (‘Firestarter’, ‘Smack my bitch up’ ma soprattutto ‘No Good’) il concerto è irresistibile, e tocca andare a pogare là in mezzo (fatto!). Salmo dal canto suo è il miglior live italiano in giro in questo periodo. Una botta di adrenalina dall’inizio alla fine. Ormai definirlo rapper è limitante e quasi svilente. Intelligente nel portare in giro una produzione con quattro elementi (dj, chitarra, basso, batteria), dei propri visual, pedane personalizzate. Non è la scenografia degli U2, ma cambia la percezione del palco, e vuol dire molto. Altro promosso è Dub FX, il suo live al Circus Stage è davvero gradevole, bassi e costruzioni ritmiche spigolose trovano equilibrio nelle melodie dolci e nella voce. Un piccolo gioiello, che ci ha sorpresi. Da segnalare anche i Selton con la loro allegria elegante capace di trascinare tutti; musicisti raffinati ma mai snob, sanno creano un contatto profondo e spensierato con il pubblico. I Cani hanno scatenato un bell’entusiasmo, personalmente non sono un fan dei loro dischi ma dal vivo hanno tutto un altro passo. Fabri Fibra è una roccia, Alborosie torna in Italia da re della Jamaica e si capisce perché.
Paradossalmente, le due cose più deludenti sono stati i dj set di Garrix e Alicante. Non è una boutade ad effetto, ma una constatazione di quanto la musica da club possa essere forte e popolare ma talvolta poco originale. Martin Garrix ha snocciolato un set di successi facili, edit e remix di cose troppo note. Daft Punk, The Weeknd, Chemical Brothers, Fedez (in persona con un cameo veloce al microfono), tutto passa nel frullatore del ventenne olandese, ma tutto è prevedibile e già sentito. Il pubblico è numeroso e i giovanissimi saltano e ballano, ci mancherebbe, ma la sensazione diffusa è quella di aver assistito a un set che chiunque tra il pubblico avrebbe potuto suonare. Non proprio ciò che ci si aspetta da un top player, che pure sapevamo avrebbe suonato facile. Ma così è troppo. Ilario Alicante va meglio ma sembra la nemesi di Garrix: scurissimo e duro fin dall’inizio, un set cupo e un pubblico altrettanto cupo, le incursioni del vocalist del Muretto con gli annunci non giovano al set. Il suo nome è una garanzia, la sensazione è di averlo sentito un filo sottotono. I migliori dj del festival sono Ackeejuice Rockers, che giocano in casa e sanno essere, loro sì, facili ma stilosi; e i 2 Many DJs, quelli che sui social leggi “ancora loro?!”, “sono bolliti”, “sono finiti”. E invece sanno sempre sorprendere, e soprattutto suonare con classe eccezionale. Spesso la realtà del network non coincide con il paese reale.

Dalla provincia al grande impero
Home si pone prepotentemente come uno dei pochi festival italiani di respiro e attitudine davvero internazionali. E sicuramente quello più grande in termini di pubblico e più completo per la experience globale che offre. Tanti stage, tanta musica diversa, aree relax, cibo e drink, giostre e bancarelle. Quello che applaudiamo all’estero e ci lamentiamo se in Italia non c’è. Le critiche – le ho messe in luce io stesso – alla parte di line up più local sono relative: è un limite, è vero, ma sono scelte mirate e intelligenti, che permettono di risparmiare budget da spendere sugli headliner e in un’ottica di investimento per il futuro fanno andare i conti in attivo. Da qualche parte ho letto che la line up di Home è un calderone. Bene, a Glastonbury sullo stesso palco c’erano Muse, ZZ Top, Skepta, Rokia Traorè. All’Home Prodigy, Alborosie, Teatro degli Orrori. Io lo chiamo eclettismo, e fa solo bene alla musica. Se questi sono i problemi, lunga vita a Home. Che di festival applauditi dalla critica e naufragati per mancanza di pubblico, in Italia, ne abbiamo visti già troppi. E non è uno spettacolo che mi piace.
07.09.2016