Succede ovunque, a volte anche nella moda. A qualcuno la situazione sfugge di mano. Il cambio di nome sta diventando una realtà contagiosa. Gli artisti, quando vogliono mostrare un cambio di passo e un riposizionamento preciso su un genere o su una nuova strada da percorrere, non si limitano a creare uno pseudonimo per avere delle alternative. Qui non si tratta di bipolarismi, di alter ego o di mutazioni alla Dottor Jekyll e Mister Hyde: qui si tratta di cambi radicali, di stile e quindi di brand, perché è di brand che si tratta quando ci sono in ballo tanti soldi e dj di un certo livello.
Succede ovunque, accade anche nel pop. Puff Daddy che si battezza P. Diddy, Snoop Dogg che ruggisce come Snoop Lion, J. Lo che torna all’anagrafe come Jennifer Lopez, stessa sorte per Lily Allen ovvero Lily Rose Cooper. Perché un artista cambia nome se la sua musica non cambia? Quando le aziende cambiano nome, possono passare degli anni a volte per capire come farlo nel modo giusto. Al tavolo delle corporazioni, ma anche tra artigiani, si lavora con consulenti, si radunando designer, sviluppatori, copywriter ed esperti di marketing e oggi social media manager, che hanno il polso della situazione.
Anche nel mondo della musica elettronica, della produzione discografica, dei dj, del clubbing il rebranding è tangibile. Dj, band e cantanti corrono a volte il rischio di perdere la fedeltà al proprio marchio e di creare confusione tra le proprie fan base. Per gestione, più che per coerenza, vale la pena di mantenere tutta la propria identità, quindi nel nostro caso la musica, con il nome di uso frequente, perché spesso l’interesse è quello di costruire e gestire un mondo (leggasi catalogo e contenuti) privo di una moltitudine di profili.

La cronaca e il politicamente corretto cambiano, accelerando, lo stato delle cose. Alla petizione online lanciata da un artista di Detroit, Monty Luke contro Marea Stamper e intitolata “The Black Madonna: It’s Time To Change The Name”, supportata da King Britt, la dj ha risposto via social dicendo che il proprio nome da artista è stato sempre un punto di controversia, confusione, dolore e frustrazione: “Stiamo vivendo in tempi straordinari e abbiamo tutti la responsabilità di cercare di influenzare il cambiamento positivo in ogni modo possibile”, ha sintetizzato la Stamper via Twitter. Risultato? The Black Madonna, in pieno Black Lives Matter, è diventata al volo The Blessed Madonna. Madonna Benedetta, direbbe Lino Banfi senza sbagliare.
Friends,
I have changed my name to The Blessed Madonna. pic.twitter.com/prCy5Qfb22
— The Blessed Madonna (@Blessed_Madonna) July 20, 2020
Stesso periodo, stesse sorti e stesso cambio in corsa per il guru della house britannica Joey Negro, il cui vero nome è Dave Lee e che su Facebook ha confessato di non sentirsi più “a proprio a suo agio” con il nome d’arte. “Avevo smesso di usarlo ma poi ci sono ricascato dentro un po’ di volte. Posso garantire che ho fatto fatica ad abituarmi al mio vero nome. Mi spiace solo di aver offeso qualcuno, soprattutto in questo ultimo periodo”. In fondo, Dave avrebbe tranquillamente potuto usare il suo nome di battaglia discografico, Jakatta, con cui ha sfornato hit del calibro di ‘American Dream’ e ‘So Lonely’. Niente, invece.
Tutt’altra faccenda quella di Dash Berlin, che ebbe un battibecco (pubblico) con i suoi partner di produzione, Sebastiaan Molijn ed Eelke Kalberg, nonché con l’Agenzia Vanderkleij, finito per vie legali e risoltosi dopo mesi con una vittoria del dj. Con il divieto di suonare o pubblicare nuova musica con lo pseudonimo di Dash Berlin, Sutorius per mesi se l’è vista butta ma ha continuato a lavorare con il suo nome di battesimo appoggiato dalla propria fan base. Tuttavia, tutto è finito a tarallucci e… birra, visto che siamo in Olanda. In campo trance, il dj brasiliano Aevus, alla guida di un’infinita e attiva community nazionale, illuminato sulla via per San Paolo, “stravolto da quello che ha causato a pandemia” ha preso in contropiede tutti ed è diventato Legacy One. Come dire: un’eredità, quella che sto per lasciare al mondo.

L’idea è questa: se si cambia genere, allora la scelta di cambiare nome potrebbe essere la strada più consona da percorrere. Invece, se ci si cimenta in più stili, allora meglio identificarli con uno pseudonimo preciso. Non fu Norman Cook negli anni Novanta a inventarsi i Beats International e Fatboy Slim per le iniziative più popolari, i Freak Power per quelle più bizzarre, Pizzaman per quelle più house e Mighty Dub Katz per quelle più crossover?
Un po’ come quando Jeffrey Jay e Maury Lobina come Eiffel 65 per rifarsi una vita misero in piedi i Bloom 06. O ancora più recente, la storia, quando Calvin Harris ha voluto riposizionarsi nel clubbing sfoderando un acidissimo Love Regenerator e quasi seguendo le orme di David Guetta ormai avviato con il progetto Jack Back verso una nuova carriera schietamente orientata verso house e tech house, stanco di dover vestire soltanto i panni della pop superstar e molto voglioso di divertirsi in consolle come ai bei vecchi tempi. E Tiësto, che ha luglio si è ribattezzato VERWEST (tratto dal suo vero cognome visto che all’anagrafe risponde come Tijs Michiel Verwest)? Solo una questione di alias? Ma quando sono gli altri a metterti al muro costringendoti a cambiare?

Quindi, prima di estinguere un nome è meglio sceglierne uno attentamente, così anche il genere musicale da seguire e magari evitando di usare DJ in maiuscolo e come prefisso che sa molto di neofita o sventurato. Estro, per favore, siamo nell’intrattenimento. Kyrre Gørvell-Dahll ha creato quasi un quasi acronimo con Kygo e Anton Zaslavski ha esaltato la zeta con il suo Zedd.
Bisogna avere un minimo di immaginazione, perché prima o poi capiterà a tutti di essere invitati a suonare a un importante appuntamento durante il quale il nome dell’ospite verrà riprodotto su mega ledwall in pieno show. Non era solo Andy Warhol a professare i cinque minuti di celebrità. Ci sono i social e una società veloce che tutto crea e tutto distrugge. Nomi inclusi.
21.09.2020