Il nome di Aphex Twin è uno di quelli che suscitano grande ammirazione o, in alcuni casi, profonda riverenza. Inutile elencare la quantità e la qualità di musica e progetti che il produttore ha lasciato in dote al mondo della musica elettronica. Tuttavia, a dispetto di icone più tradizionali, è molto complesso inquadrare Aphex Twin tenendo in considerazione unicamente l’aspetto musicale del suo personaggio. Richard D. James è una chimera , o almeno è stato tale negli anni della sua disturbante ascesa. Non usiamo il termine disturbante impropriamente, poiché possiamo ritenere che sia una delle caratteristiche chiave del suo immaginario e dunque non ce ne vorrete se, ripensando allo show di venerdì 14 luglio a Villafranca di Verona (unica data italiana estiva e molto probabilmente dell’intero anno per il leggendario artista britannico), di tanto in tanto la considerazione si estenderà anche oltre a ciò che abbiamo ascoltato (con grande piacere n.d.r).
Il Castello Scaligero di Villafranca è una venue notevole in cui poter assistere allo show, temuta da chi negli anni ha visto produzioni più o meno ben realizzate, a causa di alcuni precedenti spiacevoli in termini di resa acustica. Incidenti di percorso che sembrano essere stati superati nel tempo dato che questo è il terzo evento consecutivo a cui assistiamo senza lamentare grandi pecche. Il duo romano D’Arcangelo, in tal senso, utilizza al meglio il soundsystem e offre quella che è un’apertura di livello ad un momento così importante. Una scelta azzeccata che si traduce in un grande coinvolgimento del pubblico, e assolutamente non casuale dato il rapporto artistico che in passato ha coinvolto i gemelli D’Arcangelo e Aphex Twin.

Quando però il sole è quasi del tutto scomparso, dopo un lungo stop palco (30 minuti contro i 40 di Thom Yorke che resta in testa a questa singolare classifica n.d.r), compare il logo di Nicholson ed il colpo d’occhio è invidiabile in tutta l’area del Castello Scaligero. Il viaggio di Aphex però non prevede partenze veloci e tappe bruciate, bensì una costruzione minimalista che inizia ad incastrare suoni cesellando, con la giusta pazienza, strutture dalle metriche sbilenche e pochi “rassicuranti” momenti in quattro quarti. Di fronte al palco c’è la vecchia guardia che sta già tentando di comprendere come Aphex ancora una volta manipolerà la loro percezione sonora. Ci sono però anche i più giovani, talvolta entusiasti, talvolta inconsapevoli, ma comunque catturati dell’hype che poi, fortunatamente, è stato trasformato in genuino stupore.
La scelta visiva di Weirdcore segue questo crescendo partendo da simbolismi essenziali ed esoterici che si mescolano a tecnologia analogica strizzando l’occhiolino al seminale romanzo ‘Neuromancer’ di William Gibson. Ed è in questo momento che Aphex si fa più provocatorio con tools che sembrano essere una distorta versione leftfield di ‘Windolicker’ facendo sussultare per un istante tutto il pubblico: ma è solo uno scherzo, o forse un invito a non aspettarsi qualcosa di scontato, non da lui. Difficile interpretare cosa voglia dirci Richard D. James sul palco, ciò che è certo è che il suo show ha molti strati interpretativi e invita costantemente lo spettatore alla riflessione, o quantomeno al pensiero laterale. Quando però commetti l’errore di prenderlo troppo sul serio James cambia completamente tono e si distende in quella che sembra una grottesca imitazione di uno spot dell’Italia anni ’90. Compaiono personaggi noti del nostro Paese i cui volti sono stati sostituiti dal suo celebre ghigno sinistro. Tra il serio e il faceto scorrono davanti ai nostri occhi artisti di culto, menti influenti e metameme di cui Aphex, comunicativamente parlando, è stato assoluto pioniere.
“Scorrono davanti ai nostri occhi artisti di culto, menti influenti e metameme di cui Aphex, comunicativamente parlando, è stato assoluto pioniere”
La costruzione che Aphex Twin ha iniziato a sviluppare nella sua performance sembra essere sufficientemente articolata per dare il via alla parte conclusiva dello show. Si passa dalla dub al breakbeat, alle percussioni organiche e la velocità aumenta, non solo in termini di bpm, ma anche di cambio di traiettorie. Il finale riversa sul pubblico tutta l’entropia che Aphex può generare e lo fa in un tripudio di luci totalizzante, ma mai avvolgente o benevolo. James non vuole essere rassicurante, non vuole offrire certezze, altrimenti avrebbe scelto ben altro repertorio. Quando tutto termina ci sentiamo come David, il protagonista di ‘2001: Odissea nello Spazio’, durante il suo viaggio nell’atmosfera di Giove. Siamo frastornati e gran parte del pubblico spera in un reprise. Ancora una volta Aphex Twin, come un alter ego nascosto, semplicemente scompare perché le certezze non fanno bene al pensiero, e nel dubbio forse si genera la sua grandezza.
19.07.2023