Foto:Damiano Alessandri
This must be the place. È inciso sulla roccia, dove inizia l’Avenida Cobá, una corsia e mezzo immersa nella giungla Maya che dalla città di Tulum si tuffa nel mar dei Caraibi. La percorriamo su una jeep tanto costosa quanto polverosa per raggiungere la zona dello zen. Da una parte ristoranti vegani, studi di yoga e i negozi di vestiti per giocare a fare gli hippie. Dall’altra i Beach Resort mescolano sapientemente gli elementi della tradizione al lusso più sfrenato. Addirittura l’ex casa di Pablo Escobar, Casa Malca, è stata trasformata in un hotel extra lusso da centinaia di euro a notte. Le meravigliose millenarie rovine Maya però non sono la causa principale di un recente aumento del turismo del 74%. Semmai l’aumento esponenziale delle geolocalizzazioni al sito archeologico sono la conseguenza di un boom incredibile che trasformato Tulum e la sua atmosfera New Age nel posto più alla moda della Penisola dello Yucatan, in Messico. Infine la musica lo ha definitivamente consacrato come uno degli angoli sonori del pianeta. This must be the place. To be.

All day I dream
Ricordo con una tenera nostalgia quando le spiagge all’avanguardia di tutto il mondo ricercavano nelle compilation lounge o chill-out la colonna sonora della trascendenza elettronica. Dal Cafè del Mar a Goa, l’aperitivo senza cassa in quattro e BPM era uno dei momenti. Per u certo periodo anche il momento. Quel suono oggi non esiste più, o meglio è stato sostituito nella sua destinazione d’uso da una deep house diventata – in una delle sue più attraenti definizioni e declinazioni – desert house. È una musica che supera difficilmente i 120 bpm, sciamanica, eterea, perfetta per riempire gli spazi angusti della giungla Maya, dove il sole trafigge il dancefloor con fulmini secchi e regolari. Lee Burridge scalda il secondo giorno dell’anno anche se la temperatura supera agevolmente i 25 gradi. È il terzo dei dieci party nel tabellone di SOUND TULUM, festival di musica elettronica che di fatto ha preso il posto del BPM ma qualche chilometro più a sud. Inglese, giramondo, Lee Burridge ha trovato una nuova entusiasmante dimensione con il progetto diurno “All Day I Dream” che è anche un’etichetta che propone house e techno melodica dalle sfumature malinconiche. Burridge non lo si scopre certo al SOUND TULUM il 2 gennaio 2019. È un pioniere che negli ultimi anni ha goduto di un boom simile al luogo che a gennaio è stato chiamato a sonorizzare. Chi meglio di lui (parte prima), in console su una playa vera, sulla riviera Maya, in antitesi con quella artificiale costruita a fine agosto nel deserto del Nevada dove il suo “All Day I Dream” è uno dei momenti più attesi del Burning Man.

Welcome to the jungle
Dalla costa ci addentriamo una manciata di chilometri verso l’interno. Zamna è la porta nord della riserva della biosfera Sian Ka’an, patrimonio dell’umanità dell’UNESCO dal 1987, un paradiso tropicale di 11 ettari che ospita eventi e presentazioni aziendali a scopo motivazionale e ricreativo, mostre ma anche matrimoni, eventi sportivi, musicali concerti e dj set. Nel periodo in cui SOUND TULUM prende possesso della suggestiva location naturale, Paradise, Frequencies, Afterlife e i Tale Of Us occupano la giungla. A Luciano e Acid Pauli tocca il cenote, a Black Coffee una spiaggia in zona Lee Burridge mentre Solomun e Dixon sono i protagonisti indiscussi dell’escenario central, l’enorme spazio in mezzo a Zamna dove convergono sogni e desideri di migliaia di clubbers provenienti da tutto il mondo. Non accade tutto in una notte. Gli eventi sono spalmati su una ventina di giorni. Il 29 dicembre i re del deserto, Bedouin – e chi meglio di loro (parte seconda) viste le premesse – danno il via alle danze. Fino al 13 gennaio, quando il party EPIC chiude con stile una lunga maratona che ha offerto il meglio della musica elettronica in circolazione per quanto riguarda un sound dai confini ben definiti. Dai già citati a The Black Madonna, da Jamie Jones a Jospeh Capriati, da Ben Klock ad Âme fino ai titanici Tale Of Us and all the points in beetween, come sintetizzerebbe perfettamente le stampa inglese. Il tempo della (ri)scoperta non delude le aspettative. Guy Laliberté, Oliver Koletzki, Art Department, Mathame non sono comprimari.
The rumble in the jungle
Il + 1 di Solomun con Dixon del 5 gennaio è per forza di cose il main event di SOUND TULUM. Solomun è un gigante che ha trasformato i suoi eventi in happening. I suoi dj set monumentali sono una navigazione a vista dove non si vede mai terra. I suoi afterhours sono ormi leggenda. La giungla di Zamna di notte sembra un’astronave. Dixon scalda i motori fino alle 2, agile e leggiadro. Solomun aka “The King Of The Jungle” decolla quando in Italia ancora non si sa cosa fare per l’Epifania. Rimane da solo fino alle 5. Poi è back to back. Logico, ben strutturato, coerente. A tratti trionfale.

Con il sole arrivano i grandi classici della melodic techno. Da Agoria a Rüfüs du Sol, da Whilk & Misky a Marin Tanner, Patrice Bäumel e Artbat. Che poi son quelli in tutti i video che hanno sommerso la rete #soundtulum #zamna #solomun #dixon #kingofthejungle. Vince il premio ID del mese Dixon con il remix di ‘Gatluak’ si Nyaruach, uscito una settimana fa su MoBlack Records. L’allunaggio avviene intorno alle 10 del mattino (4 ora italiana). La bandiera viene piantata in una mega villa vista mare. L’ultimo contatto con la terra avviene alle 6 del mattino seguente. Sono passate 30 ore. Dixon si è messo quantomeno comodo. Via pantaloni e camicia oversize, eccolo in bermuda e maglietta bianca stampata con scritto “Sushine”. Solomun invece non molla mai la presa. È impressionante la lucidità con cui guida se stesso il pubblico oltre i limiti.
Change your flight, stay in paradise
Flashback. Un paio di giorni prima Jamie Jones aveva invitato qualche amico deep in the Jungle per il party Paradise. Tra di loro Joseph Capriati ribadiva talento e versatilità. La house e la techno proposte dal napoletano fittano eccellentemente tra le piante, così come il remarkable Afterlife sound dei Tale Of Us & Friends che invade Zamna quando un aereo già deve riportarci in vita dall’aldilà. L’environment di SOUND TULUM e della Riviera Maya gioca un ruolo fondamentale nella riuscita del festival. In un mondo in cui lo spazio vitale sembra ridursi drasticamente, ballare di giorno e di notte nella giungla o in riva al mare è il realizzarsi di un’utopia. SOUND TULUM si integra armoniosamente nell’offerta messicana invernale offrendo un calendario di appuntamenti di prima fascia e assoluto valore. In un post su Instagram, Guy Gerber lamentava un drastico cambiamento della Riviera Maya, delle sue dinamiche e del suo spirito, forse perso per sempre dice. Il bravo dj e produttore israeliano prima ha rettificato, poi ha cancellato la pubblicazione perché aveva creato un dibattito dai toni piuttosto accesso tra i conservatori, come sempre accaniti, e i progressisti, altrettanto convinti che il progresso possa solo portare benefici. Questo primo viaggio nel Messico elettronico lascia sulla nostra pelle il buon sapore di SOUND TULUM, un Festival che ha tutte le carte in regola per entrare nel circuito del Grande Slam. Allo stesso tempo ci auguriamo che la mano dell’uomo non intervenga in modo troppo profondo, lasciando tutta la magia di Tulum e della sua costa. “Tanto è già cambiato”, mi ripetono. Sarà. Io, da vergine, sono stato bene.
Tutte le foto dell’articolo sono di Damiano Alessandri
21.01.2019