Nel 1958, una AI (acronimo che sta per Artificial Intelligence, ossia Intelligenza Artificiale) venne per la prima volta programmata per comporre una corale sullo stile del compositore Johann Sebastian Bach. La composizione prese il titolo di ‘Illac Suite’. Se chiudiamo gli occhi, tutti noi immaginiamo una AI del 1958 come una macchina gigante che probabilmente occupa due stanze di qualche laboratorio dove gli scienziati girano compassati in camice. Se pensiamo invece a una AI del 2018, ci viene facile riferirci ad aziende super smart come i giganti della tecnologia della Silicon Valley, dove i dipendenti indossano megliette in tinta unita e sneakers ultimo modello. Non solo il look ha fatto passi avanti, ma ovviamente anche la ricerca e soprattutto la tecnologia informatica. Così, a gennaio 208, ci troviamo a parlare di ‘Hello World’ (titolo quanto mai azzeccato), il primo album interamente scritto e composto da un’intelligenza artificiale, con partiture che spaziano dalla musica dance al pop a suggestivi arrangiamenti armonizzati per voci e archi. A comporre tutti i brani la AI di nome Flow Machines , set di tools che si trovano online e ai quali si può “ordinare” di seguire un determinato stile, determinati suggerimenti e suggestioni, attraverso i quali l’argoritmo configurerà la composizione e la scrittura di un brano. Una sorta di “scultura sonora” dove a delle indicazioni di massima corrisponde un lavoro di scalpello (passatemi il paragone) che porterà ad ottenre la figura che vogliamo, nello stile che vogliamo. A coordinare il progetto il musicista francese Benoit Carré aka SKYGGE. In ‘Hello World’ sono coinvlti a vario titolo anche nomi noti come Busy P, Naive New Beaters, Black Devl Disco Club. Tra i featuring invece Kiesza e Camille Bertault.
Ma come suona ‘Hello World’? Bene, straordinariamente bene, seppure talvolta la scrittura dei brani pare davvero artificiosa, specie se messa a confronto con le produzioni molto semplici di molta musica elettronica e pop di oggi, in cui si tende a valorizzare molto la scelta dei suoni e a porre enfasi sull’aspetto della produzione rispetto alla scrittura vera e propria, spesso molto asciutta. C’è un grande varietà stilistica nell’album e se forse manca un po’ di omogeneità proprio da questo punto di vista, è innegabile che molti episodi sono davvero ben riusciti. Naturalmente, la constatazione più interessante riguarda il futuro di una tecnologia come questa: da un lato possiamo sognare di fare musica “con la forza del pensiero”, grazie alla programmazione di AI in grado poi di svolgere il compito da sè. O di andare ancora più in là, sfidando il cervello umano proprio sul terreno di emulazione ingestibile ed imprevedibile per eccellenza, quello dell’ingegno artistico; dall’altra parte, spaventa ovviamente un po’ sapere che un giorno le canzoni potrebbero essere composte da interfacce digitali. Già le attuali tecnologie, i preset e i numerosi tutorial hanno omologati moltissima musica che sentiamo. Il futuro potrebbe apparirci triste se visto in questa prospettiva. Difficile fare previsioni corrette. Non resta che aspettare il futuro.
31.01.2018