Foto: Letizia Cigliutti & Manuele Galante
Miles Davis diceva: “essere a proprio agio ha rovinato molti musicisti” ed è innegabile che in questa frase si nasconda una profonda verità. Una nozione che emerge in molte sfere della nostra vita quotidiana, lì dove il pericolo di vivere nella sicurezza della comfort zone ci impedisce di crescere e migliorare. Sicuramente non sarà stato a suo agio lo staff di Jazz:Re:Found quando ha recepito le decisioni del governo relative al settore dell’intrattenimento quest’estate. Un modus operandi alla Ponzio Pilato che ha messo in croce, perdonate la religiosa analogia, un intero settore. Per 48 ore si sono fatte tante valutazioni e si sono rincorsi pensieri più o meno catastrofisti sul da farsi. Eppure, nel momento più buio per il mondo che noi tutti amiamo, qualcuno ha deciso di inseguire quel barlume di speranza. Coraggio o incoscienza? Probabilmente amore. Così, nel mezzo di una serie di cancellazioni illustri, grazie al contributo di Compagnia di San Paolo, Fondazione Cassa di Risparmio di Torino e Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, l’edizione 2021 di Jazz:Re:Found, la tredicesima in ordine cronologico, si è tenuta dal 2 al 5 settembre popolando nuovamente il borgo di Cella Monte, paese di circa 500 anime nel Monferrato, patrimonio UNESCO dal 2014. Un luogo sospeso nel tempo, circondato da paesaggi che sembrano emersi dalle tele di Van Gogh, il quale ha accolto tanti appassionati con vitalità e senza alcuna diffidenza.

Popolare un luogo senza invaderlo è stata sicuramente la prima sfida di Jazz:Re:Found 2021. Un compito eseguito attraverso una sapiente valorizzazione di scorci e luoghi caratteristici che sono divenuti veri e propri stage del festival. L’imponente Ecomuseo con la sua skyline capace di togliere il fiato, la corte della Casaccia, manifestazione terrena di pace e rilassatezza, il giardino di Cinque Quinti dove ristorarsi assistendo a panel e talk importanti ma mai eccessivamente formali. Poi il Main Stage, tra balle di fieno per godersi i vari show comodamente seduti, e quel prato verde che è citazione dell’ispiratore Sónar de Dia. Infine la collinetta di San Quirico, dove trovare conforto e riparo sotto gli alberi e l’ombra della chiesetta, immersi nella natura del Monferrato. Ma l’inclusività del territorio passa anche attraverso le attività di Cella Monte. Dalla macelleria locale, che accoglie senza sosta gli avventori per fare due chiacchiere mentre si mangia un panino alla carne cruda, rigorosamente tagliata al coltello, agli stand in cui assaggiare gli agnolotti piemontesi, accompagnati dal Grignolino locale. Un percorso che si snoda attraverso tutto il paese senza troppe indicazioni perché ogni scorcio è da scoprire e nasconde un’esperienza, sia essa artistica, culinaria o sociale.

Sino ad ora non abbiamo sfiorato nemmeno per un istante l’argomento musicale eppure Jazz:Re:Found, in un anno di grandi sacrifici ed incertezze, regala una line up solida, variegata e bilanciata. Un insieme di artisti che è in tutto e per tutto quello di un’edizione canonica del mondo pre-covid. C’è il jazz, “rifondato” per l’appunto, presente come concetto ed ispirazione ma anche come volontà di indagare, di andare oltre, superando stilemi desueti verso linguaggi ibridi, contaminazioni e tributi alle radici, sempre onorate e mai dimenticate. C’è sin dal primo giorno nel suono dei Torino Unlimited Noise, con il loro live che ripercorre un high tech jazz di ispirazione Detroit, dove le influenze di Jeff Mills si intersecano con il jazz dei grandi maestri in una rinnovata comunione di intenti. Ci sono i Nu Genea, le loro origini partenopee divenute cosmopolite, ed il loro carisma che distribuisce sorrisi sui volti increduli di chi ha passato l’ultimo anno e mezzo chiuso in casa, in un incubo che sembrava essere senza fine. Inevitabile dunque, sin dal giovedì, perdere la concenzione del tempo vivendo in un borgo sempre più simile ad una meravigliosa utopia, ma su questo punto torneremo più avanti, promesso.

Scivolano i giorni perché quando si sta bene il tempo scorre rapido, e sotto le fronde degli alberi di San Quirico è Andrea Passenger a riaprire le danze il venerdì. La sua conoscenza enciclopedica della musica è una grande dimostrazione d’amore e passione, di quelle che ti spingono a suonare per cinque ore come fossero cinque minuti. Segue l’atteso dj set di Lefto, tastemaker belga, giramondo per scelta, che parte dalla ambient più introspettiva arrivando alla house americana genuina di Glenn Underground e Kerri Chandler, chiudendo con alcune staffilate del gallese Tessela. “You liked my shit?” ci chiede a fine set con il sorriso sornione di chi già conosce la risposta. Sul Main Stage è la volta del collettivo Studio Murena, sei anime sul palco per raccontare la vita urbana fatta di piccole vittorie quotidiane, ma anche di cocenti delusioni. Poetici e crudi allo stesso tempo, dote rara in tempi così poco ispirati. Sulla collina di San Quirico è tempo dello sciamano contemporaneo Khalab, avanguardia nomade, che unisce nella sua performance la dimensione spirituale afrocentrica alle derive della club culture più attuale. Lezione di esegesi musicale che raccoglie consensi indugiando in piccoli, ed opportuni, momenti di respiro con tracce come ‘Dawn’, prima di immergersi nuovamente nei ritmi ancestrali che padroneggia con grande efficacia.

Il tempo è un riferimento che cessa di esistere e solo i luoghi iniziano a scandire le nostre esperienze ed i nostri ricordi. L’Ecomuseo della Pietra da Cantoni ci regala la miglior versione di North Of Loreto, un Bassi Maestro filologico che racconta sé stesso e le sue influenze in maniera convincente, coinvolgente e dannatamente sincera. Poi il maelstrom di Ze In The Clouds, un caos in cui solo un talento come il suo può districarsi rendendo il viaggio coerente e sorprendente. Sul Main Stage è invece Venerus a catturare ogni sguardo ed attenzione. Il cantautore, eclettico esteriormente ed interiormente, si circonda di una band altrettanto capace regalando un concerto solido e vibrante. Un live in cui emerge prepotente un immaginario che dalla realtà parte verso mete emotive mai stucchevoli o banali. È la collina di San Quirico ad accogliere invece il big match del groove, l’attesa reunion di Luca Trevisi e Gino Grasso, dj capaci di proiettare diverse generazioni nei gloriosi anni delle boogie nights, ma prima di tutto amici sorridenti, capaci di prendersi in giro e vivere serenamente il peso di un set che ha catalizzato grande attenzione e aspettative. Da diversi anni i due non si esibivano assieme ma dopo qualche minuto quell’alchimia scatta nuovamente. Lo ammette anche Gino quando si volta verso di noi ed esclama sorridente: “È come andare in bicicletta”. Già, è proprio così.

Su quella stessa collina inizia l’ultimo atto di Jazz:Re:Found 2021. È la messicana Coco Maria a prendere le redini della consolle, dopo il profondo e rispettoso set di Angie Back To Mono. La selector del roster Worldwide tiene fede alla sua fama ed offre una performance vivace, condita da suggestioni latine tra tradizione e progresso, dove jazz, funk e cumbia dispensano sorrisi e spensieratezza. Ancora una volta l’Ecomuseo stupisce con due degli highlight di questa edizione. I francesi Bada Bada esplorano le frontiere del nu jazz, riprendendo le influenze di artisti come Nils Petter Molvaer, declinandole in una chiave quasi cinematografica, epica ed imponente. Jab invece porta la sua ‘Jab Experience’ in trio al livello successivo, riponendo prima il suono alla sua essenza, per poi esplodere in un groove irrefrenabile, delicato ma irresistibile. L’italianissimo Daykoda si impadronisce del Main Stage e distribuisce al pubblico una sana dose di wonky formato extralarge. Come direbbe il buon Simon Reynolds: “musica iper-ibrida, con lampi di glitch elettronici, hip hop sperimentale e stralunata fusion”. Noi ringraziamo e ci godiamo il viaggio nello spazio. Apparat chiude questo palco con una performance intima, nonostante il pubblico del festival sia quasi completamente concentrato qui. Sascha, oramai a suo agio anche sui grandi palcoscenici, riesce a mantenere questa dimensione lungo tutta la performance dimostrando l’esperienza dell’artista navigato che non ha però perduto contatto con la sua audience. Last but not least il back to back tra Ma-Nu e Andrea Passenger, resident onorari di Jazz:Re:Found, i quali confermano la presenza di un vivaio sempre ricco ed interessante da cui attingere per il futuro. Affidare a loro l’ultimo slot del festival è sintomo di fiducia ma anche un segnale importante di come valorizzare il circostante senza farsi abbagliare da “falsi idoli”, arte in cui per anni, purtroppo, l’Italia è stata maestra.
in foto: Valerio Lundini, Special Guest di Jazz:Re:Found 2021
Una promessa è una promessa e vi avevamo detto che saremmo tornati sul concetto di utopia prima di concludere. Per definizione questo termine si rapporta con la dimensione dell’irrealizzabile, di uno stimolo efficace per quel miglioramento con cui abbiamo aperto il racconto di queste giornate. Forse per anni abbiamo osservato questo tipo di traguardi da un punto di vista sbagliato o è mancata una contingenza storica che ci mettesse davvero alla prova, perché è nelle difficoltà che emerge ciò che siamo veramente. Citando un altro dei protagonisti di questo festival, il pianista Luigi Ranghino, è inutile attendere che qualcuno ci restituisca qualcosa per il nostro lavoro con la musica, sarà essa stessa a venirci in soccorso e a restituirci qualcosa se la tratteremo con rispetto. Questo è ciò che è accaduto a Jazz:Re:Found 2021, un’edizione che segnerà inevitabilmente un punto di svolta per la storia di questo festival ma che allo stesso tempo definisce esattamente cos’è oggi Jazz:Re:Found. Non si tratta di un semplice festival, non si tratta della ricerca ossessiva di un genere musicale e nemmeno di rincorrere compulsivamente una definizione. Jazz:Re:Found è prima di tutto un sentimento.
14.09.2021