• GIOVEDì 28 SETTEMBRE 2023
Interviste

Kerri Chandler, nel cuore della house

La storia di Kerri Chandler è così lunga e gloriosa che servirebbe un intero numero di DJ Mag per raccontarla tutta. Kerri è uno di quei personaggi che hanno fatto grande la house, prendendola per mano quando era ancora tutta una questione di pattern freddi e meccanici e le ha infuso il calore del funk, del soul, del jazz, di tutta la black music che ha caratterizzato l’evoluzione del genere negli anni ’90. Originario del New Jersey, è stato un grande protagonista della scena newyorkese nei suoi anni più magici. Come produttore, ha lasciato il segno in numerose tracce e remix che ancora oggi danno i brividi. In occasione delle due date italiane, al Tunnel Milano il 31 ottobre (per Le Voyage) e al Movement Festival di Torino il 1 novembre(che ha registrato un ottimo numero di presenze e un livello qualitativo decisamente elevato, presentando artisti come Ellen Alien, Joseph Capriati, Juan Atkins e Moritz Von Oswald, Jeff Mills, Timo Maas e Maceo Plex, tra i tanti), sono riuscito a raggiungere l’artista americano per fargli qualche domanda sulla sua carriera e sulla prospettiva da cui un’icona come lui (e permettetemi di dire che per una volta questo termine non è abusato) vede il panorama dance contemporaneo.

La tua è una carriera lunga e ricca di successi, sei sulla scena da circa una trentina d’anni. Quali sono state le trasformazioni più significative nella musica house e della sua cultura durante questo lasso di tempo?
Il modo in cui la musica viene distribuita e venduta ora ha cambiato il panorama della cultura della musica house, i negozi di dischi erano il luogo in cui molti dj si incontravano, mentre oggi un file viene spedito direttamente da una persona a un’altra e scaricato gratuitamente, e ognuno ha la possibilità di essere un producer o un dj, con la tecnologia a disposizione. Ciò rende difficile per chiunque essere ascoltato con attenzione, perchè il mercato è sovraffollato. Tutto ci sembra disponibile, a portata di mano perchè nulla è tangibile come un tempo, sembra un paradosso. Ci sono però molti più eventi e party rispetto al passato, e credo siano i posti giusti dove mettersi in mostra e incontrare persone disposte a suppportarti e a darti un’opportunità.

House e techno sono nate in America, ma fino a pochi anni fa erano ancora di una sottocultura di nicchia dalle vostre parti, mentre in Europa la scena si era sviluppata ed espansa in modo consistente; poi il mainstream EDM e i grandi festival hanno portato alla ribalta la dance anche negli USA. La vedi come una cosa positiva? Credi che mainstream e underground possano rinforzarsi a vicenda o sono due mondi totalmente differenti?
Penso che sarà il tempo a dircelo, per adesso è tutto un grosso esperimento che potrebbe avere una specie di “ritorno di fiamma” e diventare un nuovo “disco sucks” (uno slogan diventato molto popolare nell’America di fine anni ’70/inizio ’80, quando il fenomeno della disco, da glamour e modaiolo, diventò in poco tempo stantio e “uncool”, NdA). Spero soltanto che, qualunque cosa accada, non si avrà una sovraesposizione che farà perdere di vista il vero amore per la musica, io credo nella buona musica e credo che la sua luce risplenda sempre, non importa attraverso quale stile o genere.

Il tuo stile come dj e produttore, con elementi funk e soul, ha caratterizzato la house degli anni ’90, insieme ad artisti come MAW, Armand Van Helden, Roger Sanchez, David Morales, tutti capaci di decilinare la materia con forti connotati personali. Che cosa sopravvive di quell’epoca, oggi?
Mah, non saprei… potrei suonare un pezzo di ognuna delle persone che hai nominato in qualsiasi party, a seconda di come lo collochi la gente reagirebbe bene, quindi credo che qualcosa di buono sia sopravvissuto.

Cosa ti piace suonare oggi?
Suono tutto ciò che possa suonare come “deep house” e mi suoni bene.

Parlando del lavoro in studio, una volta hai detto che “in studio, il produttore è Dio. Ha l’ultima parola, e controlla ogni cosa”. Qual è il ruolo del produttore, oggi, sia nella sua accezione di artista sia in quella di “tecnico” che collabora al lavoro altrui?
Come ho detto, io lavoro solamente per creare amore in studio, Dio è la mia guida e non influenzerei mai nessuno in maniera malvagia, sbagliata. Prego Dio perchè mi aiuti e mi guidi, perchè possa fare sempre bene, e non fare mai nulla che possa far che in modo che una persona come mia nonna, ascoltandolo, mi guardi storto!

Quanto pensi sia cambiata la figura del dj e del produttore negli ultimi vent’anni?
La tecnologia ha cambiato il modo in cui si produce, non ci sono più gruppi, cantanti o musicisti nella scena deephouse, il dj/producer è diventato l’artista, in prima persona. Laddove c’era il cantante con i musicisti, anche nei club, oggi c’è solo il dj. Le cose cambieranno nuovamente, quando arrierà una nuova generazione che si sarà stufata di vedere soltanto dei one-man-show.

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Albi Scotti
Giornalista di DJ Mag Italia e responsabile dei contenuti web della rivista. DJ. Speaker e autore radiofonico.

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