Una raver come noi catapultata sulle passerelle techno del globo intero. Una donna bionica che annusa il pubblico e sa come far esplodere la dancefloor perchè, come una madre premurosa, ne conosce bisogni primari e necessità. Energia purissima, sound debordante. Settimana scorsa è stata protagonista del Tomorrowland, Brazil edition, a impartire lezioni di techno ad un popolo così assetato di quella mistura sonora che fa tremare l’Europa, ma ancora così acerbo in quanto a cultura sul tema. Le avevano chiesto di ammorbidire la sua performance per l’occasione, zero chance che questo possa essere accaduto, perchè lei è così, dura, severa, spietata. L’abbiamo incontrata in occasione del Techno Cilento Festival, a Vallo della Lucania, per questa piacevole chiacchierata. Signore e signori, Klaudia Gawlas:
L’anno scorso, al Nature One, prima di ogni esibizione, c’era una voce che, come un narratore in una fiaba, annunciava: “From Passau, Germany, Klaudiaaaaa Gawlas”. Di seguito tutto taceva e cominciava lo show, ti presentavi al pubblico con la musica. Allo stesso modo, adesso, vorrei ti presentassi ai nostri lettori. Sei nell’Olimpo delle donne techno. Ti va di ripercorrere insieme le fasi salienti della tua carriera, i tuoi approcci al mondo techno e il tuo percorso?
Ho cominciato ad ascoltare techno grazie ad una zia, che era quattro anni più grande di me. Lei aveva un fidanzato che, quando avevo tredici anni mi regalò un disco di Jeff Mills. Quando lo ascoltai per la prima volta fui stupita di quanto suonasse differente da ciò che era possibile ascoltare in radio o in tv. Ascoltavo sempre quel disco, ripetutamente, perchè non ne avevo altri di quel genere. Ho cominciato a frequentare i rave quando avevo sedici anni, la scena rave nel sud della Bavaria a quei tempi era grandiosa, venivano a suonarci dj da ogni dove. Continuai a frequentare i rave fino ai venti, senza mai pensare di poter diventare un dj. Da piccola sarei voluta diventare una musicista ma non sapevo suonare nessuno strumento e non ne ho mai comprato uno. Qualche amico mi suggeriva di diventare dj ma la mia risposta era sempre la stessa: “Non voglio suonare, io voglio ballare”. Poi lasciai per un anno la Germania per trasferirmi in America e mi accorsi di sentire la mancanza della techno tedesca. In America c’era un sacco di hip hop, al massimo house music. Conobbi degli amici che avevano un negozio di dischi, mi chiesero un giorno di mixare dei dischi techno per loro. Non sapevo niente di come si mixassero dei vinili e non mi piaceva molto l’idea, ma mi mostrarono come farlo, cominciai a suonare e la cosa mi divertì moltissimo. Mi recavo spesso in quel negozio di dischi, mettevo le casse all’esterno e cominciavo a suonare. La gente mi domandava: “Che razza di musica è questa?” ed io rispondevo, con orgoglio: “Techno tedesca”. Tre mesi dopo suonai techno alla fine di un party reggae. Da quel momento ho cominciato a suonare in giro e di lì non sono più riuscita a fermarmi. Sono tornata in Germania, ho comprato la mia attrezzatura e dei vinili nuovi. Non mi sono mai posta un obiettivo vero e proprio, del tipo tra cinque anni vorrei arrivare a questo punto. E’ semplicemente successo. Non mi importava dei discorsi della gente sul fatto che probabilmente sarei stata povera se avessi pensato di vivere di musica, avere la possibilità di suonare, di scegliere dei dischi per la gente, era tutto ciò che desideravo realmente. Il punto focale del mio successo sta nell’essermi da subito focalizzata sul rendere il mio sound unico e riconoscibile. Tre anni dopo la mia prima data, vinsi un contest al Ruhr in Love in cui presentai per la prima volta una mia traccia. Poi da lì fui chiamata al Mayday, e il Mayday in Germania è la madre di tutti i rave. Ero orgogliosa, felice, dovevo continuare a fare del mio meglio e mi si sarebbero spalancate tutte le porte.

Zeitgeist è la tendenza culturale predominante di una determinata era. E’ la techno la tendenza culturale predominante nella nostra era secondo te? Quanto è stato determinante “Zeitgeist”, il tuo album su Masters of Disaster, perchè tu fossi riconosciuta a livello mondiale come paladina della techno?
Quando ho pubblicato l’album la techno era il mio Zeitgeist. Le tracce erano così piene di energia ma al tempo stesso melodiche, mi piace pensare che respirassero. Il mio intento, al momento della produzione dell’album, era quello di riportare la techno in Germania. Negli anni ’90 in Germania avevamo la miglior techno, poi diventò minimal creando una spaccatura. C’erano la minimal e l’hardtechno, ma non c’era nulla nel mezzo. Quando cominciò la mia carriera io combattevo per la techno, per quel sound a metà del guado. L’ho dimostrato ogni volta che salissi in consolle, comunicavo con la techno ed ha sempre funzionato, anche durante la produzione dell’album. Suonavo le mie tracce e mi dicevo “è questo il tempo della techno, questa musica funziona”. Ogni pezzo tratto da quest’album faceva esplodere la dancefloor, ed è per questo che ho ritenuto fosse giusto raggruppare queste tracce come sommario della mia zeitgeist.
Partecipare all’Awakenings festival del 2014 è stata la svolta della tua carriera?
Non posso dirlo con certezza. Naturalmente l’Awakenings, così come il Mayday o il Nature One, è in cima alla lista dei desideri di tutti i dj, chiunque vorrebbe prendervi parte come guest. Lavorano bene, le location sono da paura e i sound system eccellenti, perciò suonarvi è il massimo. Boom di richieste di booking in Italia dopo l’Awakenings? Beh si, ma è accaduto lo stesso in Germania dopo aver suonato al Nature One, questi eventi forniscono una visibilità straordinaria.
Puoi scegliere un solo festival tra quelli citati, qual è il tuo preferito?
Il Nature One, c’è una forte energia tra gli stand. E’ meraviglioso, fa andare fuori di testa, c’è tantissima gente e il sound system è perfetto, anche quando sei nel backstage puoi percepire il basso poi sai, quando suoni in un club c’è sempre qualcuno a cui non piace la techno. Al Nature One è impossibile trovare qualcuno che non sia lì per quello. Per me è come una grande famiglia.
Insieme ad Eric Sneo gestisci la label Masters of Disaster. Come è nata la partnership con uno dei padri della old school techno? Eric è un po’ cambiato ultimamente, non persegue più quel concetto di techno, risultando addirittura più tech che altro in certi casi. Sarà mai un problema per la vostra intesa e la vostra unione di vedute?
Tutto è cominciato quando ho deciso di aprire una label tutta mia, ma c’era tanto lavoro, tantissime cose da fare quindi è sempre stato un po’ difficile per me concentrarmi esclusivamente su una cosa del genere. Eric mi propose di ripristinare la sua label, da un pò inattiva, Masters of Disaster appunto. L’etichetta aveva già grandi release in passato, con nomi altisonanti come Chris Liebing, The Advent. Io ed Eric ci siamo conosciuti nei party, anni fa suonavamo insieme a Francoforte, abbiamo suonato tantissime volte e abbiamo approfondito la nostra amicizia, trovando numerosi punti in comune. Avevo tanto da imparare da Eric, grande producer e nel giro da tanto, tantissimo tempo. Ci divertiamo nel gestire la label. Quando ci suono nuove demo da ascoltare ci chiamiamo, ci confrontiamo e anche se lui è cambiato apprezza ancora questo tipo di musica. E’ la sua decisione e può fare quello che vuole. Ma io resterò techno.
Studio o party, qual è la parte che ami di più del tuo lavoro?
Entrambe. Naturalmente la parte più importante del mio lavoro si concretizza quando sono in tour ma senti di realizzare te stesso quando crei la tua musica. Non c’è modo di scappare dallo studio, devi andarci e buttare fuori tutta la tua creatività, le tue idee. E’ una parte fondamentale perchè, quando suoni davanti al pubblico, puoi, anzi devi, testare la reazione della dancefloor alle tue tracce. Certo non posso sedere in studio cinque giorni a settimana, siamo onesti, non sono quel tipo di persona che si siede in uno studio e clicca il mouse per tutto il giorno, sono più una persona attiva, amo gli spazi aperti e amo muovermi, andare in giro. Ma trovo comunque che le due cose siano strettamente correlate, non possono esistere l’una senza l’altra.
L’artista techno che rappresenta di più per la tua vita, per la tua carriera, per cui nutri più profonda ammirazione…
Ce ne sono un paio, ma ce n’è soltanto uno che ogni volta che ascolto mi da l’impressione di esser stato perfetto, che ogni volta che ascolto mi fa pensare “si, mi piace, non mi delude mai, mai”, ed è Chris Liebing. Non lo seguo come fan ma lo rispetto tantissimo, lui è uno degli eroi degli anni ’90.
Che relazione hai con il pubblico italiano? Noti un tipo di coinvolgimento diverso quando ti esibisci qui?
La prima volta che ho suonato qui è stato a Roma, in un party sulla spiaggia con Niereich. Ero stanchissima ma la gente era felice e si è creata la temperatura giusta, erano così pieni di energia. E’ una cosa che puoi vedere soltanto qui in Italia, sembra quasi che tutto possa esplodere da un momento all’altro. Anche in Germania non si scherza, prima di suonare in Italia ripetevo sempre a me stessa “non può essere meglio che in Germania” e invece ho avuto la prova che non è così. Suonare in Italia mi provoca vibrazioni su tutto il corpo, la pelle d’oca, davvero.
Ti manca non aver mai suonato a Napoli? Napoli ha una tradizione techno fortissima…
Mi manca tantissimo come esperienza. Ne ho già parlato con i miei agenti in Italia e non vedo davvero l’ora. So della forte tradizione techno, mi informo, leggo in giro e so tutto della Napoli techno e non ne sono spaventata, voglio suonare a Napoli quanto prima. Quando succederà sarò molto felice.
Che opinione hai della techno italiana? Prediligi in particolar modo un artista o uno dei movimenti scaturiti dalla nostra fiorente scuola?
Mi piaceva tanto Joseph Capriati ma adesso è cambiato, è troppo lento per i miei gusti ma quando suonava più deciso, più veloce, più techno, allora si che mi piaceva ascoltarlo. Non saprei cosa dirti riguardo i movimenti ma so che avete grandi artisti. La gente qui ama la techno, lo si percepisce subito. Avete così tanti grandi produttori, lo noto anche dai producer emergenti, sta succedendo tantissimo qui, è bellissimo osservare la crescita esponenziale che sta raggiungendo il vostro pease in termini di techno. Raffaele Attanasio è un grandissimo artista, Angy Kore suona ovunque in Europa, lo chiamano tutti the italian crazy guy. Credo che in questo momento l’Italia techno non sia assolutamente seconda alla Germania.
12.05.2015