La mia chiacchierata con Tommaso Fares, in arte Late Milk, è il terzo e ultimo capitolo della piccola rubrica di DJ Mag Italia dedicata ai filmmaker della scena italiana di oggi. Dopo Pepsy Romanoff e gli Younuts!, il nome d’arte di Late Milk ha fatto spesso pensare ad una società di videomaker che lavorano insieme per video musicali molto al di fuori degli schemi canonici e distinti dalla ricchezza in effetti speciali, glitch, transizioni creative e colpi d’arte. Invece è partito tutto da Tommaso, romano classe 1994, che nel giro dell’ultimo anno ha collaborato ai videoclip di nomi noti della scena trap italiana tra cui Dark Polo Gang, Capo Plaza, Drefgold, ANNA, Dani Faiv e tanti altri, mettendo su un team di coetanei che hanno contribuito a rendere reali tutte le sue fantasie. La magia è iniziata in piena pandemia grazie ai primi lavori al fianco di Sick Luke, che è stato tra i primissimi a credere nel suo talento. Da cosa nasce cosa e le stelle di Late Milk si sono allineate al punto da arrivare al progetto di quello che sarà probabilmente il suo salto definitivo: il videoclip del remix di ‘Tik Tok’ di Sfera Ebbasta, Marracash e Guè Pequeno insieme a Paky e Geolier. Un progetto al 100% nello stile Late Milk che porta su un palcoscenico importante (il video è diventato primo in tendenze su Youtube a sole 24 ore dall’uscita) uno stile coraggioso e accattivante, che ti tiene incollato allo schermo fino alla fine del pezzo.
Com’è nato il video del remix di ‘Tik Tok’ di Sfera Ebbasta, Marracash e Guè?
Quando Sfera mi ha scritto aveva già le idee molto chiare, chiedendo transizioni creative, scene veloci, dinamicità, tante situazioni diverse in location di vario tipo. Lui è uno diretto, non si fa problemi a decidere tutto su Instagram, o su Whatsapp. La mia visione di partenza era quella di inserire in un contesto street stelle come Sfera, Marra, Guè, Paky e Geolier. Ho quindi pensato a un progetto perfettamente nel mio stile ma in linea con le sue richieste, lasciandomi ispirare dal pezzo ma anche affidandomi alla bravura dei grafici 3D Emiliano Neroni e Nicolas Cravedi, che mi hanno aiutato molto nel capire quale fosse la fattibilità tecnica di tutte le mie idee astratte. In particolare Nicolas è diventato il mio punto di riferimento della parte 3D/VFX dei miei progetti già da tempo. Un grande artista che di giorno lavora in officina e la sera si dedica al 3D. Un’altra grande mano mi è arrivata da Enrico Maspero, che mi ha supportato nella creazione del concept del video grazie alla sua tecnica e creatività. È uno preciso, sicuramente più di me che sono un casinaro. Lui e Nicolas sono le persone con cui lavoro in questo periodo, hanno la mia stessa età e sono fortissimi.
Le transizioni creative tra location diverse tra l’altro sono un aspetto tipico dei tuoi video musicali. Come funzionano?
Si realizzano fotogrammetrie delle varie location, ovvero scansioni. Emiliano è colui che se n’è occupato nel video del remix di ‘Tik Tok’.
Sono i VFX la parte più difficile del tuo lavoro?
Nel mio caso la più lunga è la progettazione iniziale, la più tosta sicuramente gli effetti speciali e il montaggio. Poi adesso che lavoro a progetti più importanti ricevo anche richieste di dettagli a cui non ero abituato. Diciamo che insieme alla parte creativa c’è tanto da fare anche a livello informatico.
Quanto aumentano le richieste degli artisti con il crescere di prestigio dei tuoi progetti?
Molto spesso gli input arrivano dagli artisti e io li ascolto sempre, poi comunque adatto la loro visione al mio stile. In generale però dipende, c’è chi si fida e mi lascia carta bianca anche se il progetto è importante. Quello che aumentano sono sicuramente i dettagli da curare, come color e 3D, quindi anche la difficoltà.
Nel tuo ambito, spesso un autodidatta creativo e curioso non ha nulla da invidiare a chi studia per fare certi mestieri. Tu hai imparato tutto da solo?
Concordo. Come molti ho iniziato anch’io da internet, anche se dopo i tutorial di YouTube bisogna metterci il talento. Quelli però sono cruciali per acquisire le skill di partenza. Diciamo che YouTube oggi è una miniera d’oro per raccogliere le informazioni necessarie e poi “partire”. Soprattutto in Italia un concept originale vale più della tecnica avanzata, non serve essere esperti di tutto per avere un’idea forte. Io ho studiato un anno di fotografia ma non è stato fondamentale per definire il mio stile. Quello che conta è l’idea e soprattutto come usi i software, perchè per definire il tuo stile non serve che approfondisci tutti gli aspetti tecnici alla perfezione.
Proprio per questo motivo secondo me l’età media dei videomaker si abbasserà sempre di più, come accade nella musica.
Sì e tra l’altro già adesso è pieno di videomaker talentuosissimi che hanno la mia età o sono anche più giovani e pronti a spaccare. Per dirti, a Milano c’è una nuova scuola di ragazzi che fanno video e foto che mi fanno sentire vecchio a me, con l’età che ho! Stanno piano piano esplodendo insieme ai nuovi talenti del rap italiano. Ti parlo di gente che ha anche 17 anni, come gli artisti con cui lavorano. È figo vedere un artista avere successo e insieme a lui il suo team creativo, video compresi.

Personalmente mi piace molto l’esposizione e la rilevanza della figura del videomaker tra i giovani, nell’ultimo periodo. Merito anche dei social, immagino.
Assolutamente sì, ed è una figata ‘sta cosa. Un tempo il filmmaker se ne stava dietro le quinte, ora è esposto e questo comporta che si spacca prima. Tutto è iniziato con la figura del producer, che l’hip hop ha rilanciato tantissimo negli ultimi anni e oggi sono star. Per quel che ricordo io in Italia il primo è stato Don Joe, da lì in poi la gente ha iniziato a capire l’importanza di chi circonda l’artista. Anche i manager ormai hanno numeri sui social che sono simili a quelli dei loro artisti.
È il lato buono di Instagram: aldilà della musica seguiamo tutti 10-15 creativi interessanti. Immagino che anche tu i primi progetti importanti li hai chiusi grazie alla chat di Instagram.
Certo. È stato essenziale per potermi proporre ma anche confrontarmi, commentare gli altri e loro me, far girare il mio nome. Anzi, diciamo che io sono proprio “all’americana” in questo. Tutti i miei lavori in qualche modo sono partiti da Instagram. Parliamoci chiaro, è pazzesco. Mi è capitato raramente di passare per i canali soliti, come le etichette.
Proprio i social nel 2020 ti sono stati di grande aiuto.
Sì, per me è stato l’anno del botto. Il lungo stop della pandemia mi ha permesso di concentrarmi a pieno su due progetti in particolare, usciti nei primi mesi dell’anno: il video di ‘Castello’ di Sick Luke e di ‘OK’ di Daytona KK, due idee molto street con dentro tutta la mia tecnica. Hanno attirato l’attenzione sui social e ho accumulato un grande seguito.
L’esplosione della trap in Italia deve molto ai suoi videomaker, che hanno permesso di ampliarne la narrazione con video che in molti casi sono diventati subito virali. Penso a ‘Sportswear’ della Dark Polo Gang, e a gran parte di quello che abbiamo visto dal 2016 in poi. La sfida sarà mantenere questo potenziale negli anni di Instagram.
Il video musicale è il 10% della canzone, ma può essere il 10% determinante. Con i video si riesce a comunicare ai fan molto meglio lo stile di vita, il mood e tanti altri aspetti del loro artista preferito, che magari non avrebbero potuto dedurre ascoltandone soltanto le canzoni. Pensa anche ai movimenti, al modo di vestire, e così via. In termini di visualizzazioni le logiche stanno cambiando soprattutto dopo l’arrivo di Spotify: anni fa i videoclip avevano spesso numeri altissimi perchè chi voleva ascoltare i pezzi senza comprarli guardava in repeat i video musicali su YouTube, oggi lo streaming ha indebolito fortemente questa abitudine. Secondo me ci sarà un’evoluzione in questo tipo di contenuti visivi che gli permetterà di sopravvivere aldilà di quello che succede sulle piattaforme. I visual video ad esempio sono un’evoluzione…
Ti piacciono?
I visual video sono fighi, tra l’altro lo stile dei miei video musicali si fonda molto sui visual. Nel mio caso potrei persino usarli per il 100% del video, ma in Italia la cultura pop è ancora legata a certe immagini ricorrenti, come l’artista che canta in playback per gran parte del video musicale. Ma basta guardare quello che fanno gli americani.
Questa è sicuramente una grande differenza tra la scuola italiana e quella americana, che si lega molto anche alle rispettive scene musicali.
Sì, ma prima di tutto c’è il budget per i video, che nel pop americano rispetto al nostro è mostruoso. Poi un’altra differenza è il fatto che negli Stati Uniti lo stile dei video è più coraggioso anche perchè sanno le collaborazioni che nascono. Dalle nostre parti non vedrai mai, che ne so, una popstar conosciuta da tutti che collabora con un trapper, in America invece può succedere! È un’altra cultura, che si basa molto sullo sperimentare. Uno come Lil Uzi Vert lì pubblica il video ufficiale di una canzone e non lo mette nemmeno sul canale suo. C’è anche chi sperimenta al punto da rendere quasi incomprensibile il video. Lì ‘ste cose si fanno, qui no salvo casi eccezionali. Mi viene in mente giusto ‘XDVR’ di Sfera Ebbasta o ‘Fiori Del Male’ della Dark Polo Gang, uscite entrambe anni fa.
Il tuo video di ‘Tik Tok Remix’ darà una bella botta di “americanità”, vedrai.
Secondo me sarà una piccola rivoluzione, non ho ancora visto un approccio del genere su un pezzo italiano. Finora un brano con dentro nomi di questo calibro avrebbe avuto un video più “istituzionale”, facile. Roba che non osa, insomma. Apprezzo molto il coraggio che ha avuto Sfera e spero che questo video aiuti ad aprire le porte a tutti quei ragazzi che hanno idee incredibili in testa ma pochi che ci credono, come per me sono stati i primi video della trap italiana.
16.02.2021