Domenica 6 giugno, al parco delle Cascine di Firenze (nell’Anfiteatro delle Cascine, ad essere precisi) ho assistito alla terza edizione di Lattex+ Experience, format del progetto fiorentino Lattex+ di clubbing d’avanguardia, rivolto alla valorizzazione delle tendenze musicali più interessanti. L’allestimento è semplice: si scendono le gradinate che portano in un’arena sterrata dove c’è un palco, una piattaforma sopraelevata con tavoli dell’area backstage, e su un lato le aree bar. Il warm up è affidato al dj resident Bakerboy, membro attivo della scena fiorentina e giovane appassionato di musica black, nelle sue molteplici sfaccettature. Samuele Pagliai, questo il suo vero nome, caratterizza i suoi set con un’impronta soulful che include classic house, breakbeat, disco, boogie, chicago house e molto altro. Con i suoi set in vinile ha ormai raggiunto la consapevolezza e la maturità tecnica di chi, trovandosi spesso dinanzi a un pubblico da riscaldare in vista di altri ospiti, non si lascia cogliere impreparato, costruendo un set dalla grande armonia stilistica. A seguire un trittico internazionale di artisti che, nelle loro diversità sonore, sembrano essere uniti dal sottile fil rouge berlinese. La prima dj, Tama Sumo ha un approccio semplice ma di grande effetto, con linee sonore house incalzanti e decise. Intervallato da qualche vocal molto caldo e melodico sul finale, l’idea di mix della resident del Panorama Bar è un misto di vecchio e nuovo, che insieme creano un’alternanza piacevole di note e atmosfere diverse, senza tuttavia perdere il giusto “flow”. L’affluenza comincia ad aumentare e il pubblico diventa sempre più caldo. Il buio sta calando e il secondo dj, Thomas Franzmann aka Zip, è la quintessenza del suono Perlon, minimal ma coinvolgente. L’artista tedesco si mostra sempre sorridente e improvvisa qualche passo di danza alternando vinili a cd con notevole destrezza. Dulcis in fundo, direttamente dalla Grande Mela – ora di stanza a Berlino – Levon Vincent, il quale ha perso la sua borsa di dischi in aeroporto e deve ripiegare sui suoi stick. Il suo è un suono più corposo, dalle sonorità house percussive ora più pacate ora più incisive e dalle venature raw. Sequenza la sua che comprende qualche brano tratto dall’omonimo album d’esordio uscito sulla sua label Novel Sound. Per questo Lattex+ Experience si può costatare un necessario passo avanti a livello organizzativo rispetto alle passate edizioni. Tante ancora le note negative, ma con i presupposti per migliorarsi e affermarsi in quella che, lentamente, si sta trasformando in una scena fiorentina degna di nota.

Qualche giorno dopo l’evento, ho scambiato due parole con il fondatore del progetto Lattex+, Giacomo Gentiletti.
Un bilancio generale dell’evento di domenica?
G: Penso sia stato un bellissimo evento sotto tutti gli aspetti dalla line up, alla location, all’organizzazione eccezione fatta per alcuni piccoli aspetti che potevano essere curati in maniera migliore. C’è una piccola delusione per l’affluenza di pubblico. Tendiamo un po’ a prendere come riferimento i format degli eventi stranieri e avendo vissuto un anno a Londra, di feste di giorno ne ho fatte tante e un evento come il nostro fosse stato fatto nei paesi del Nord Europa alle 15 avresti sicuramente avuto più affluenza mentre l’afflusso di persone è stato intorno alle 18/19. Questo ci ha un po’ rammaricato, era un evento più diurno che notturno, l’affluenza è stata al calare della sera.
Hai citato Londra: quanto siete influenzati dall’estero?
G: Cerchiamo di prendere spunto dall’estero, perché l’Italia da questo punto di vista arriva sempre in ritardo. Cerchiamo di modellare la nostra offerta con caratteristiche di ciò che si può fare in Italia, dalle location, ai permessi, proviamo a creare il giusto mix ispirandoci all’estero.
Come si suddivide la vostra proposta di clubbing?
G: Lattex come progetto di clubbing, da lì è venuto fuori On Theater che sono tutti live sperimentali che facciamo a teatro o nei cinema, un format che nasce per una capienza ridotta, per persone che seguono un’elettronica più sperimentale e meno dance. Poi è venuto Experience, dagli eventi diurni, ed è il progetto che ci appassiona più a tutti e ce ne sarà un altro a fine estate. E poi l’ultima tipologia è Extreme nella quale proponiamo artisti techno.
Date queste diverse proposte, quanto è importante la location?
G: È fondamentale. Ogni location si presta a un certo tipo di evento. Le location sono le più difficili da reperire anche perché tanti spazi non appartengono a privati, appartengono al comune, e per prenderli diventa molto complicato. A differenza dell’estero, dove ci sono molte più opportunità e possibilità di noleggiare venue, in Italia non ci sono o almeno non esistono in una città piccola come Firenze, priva di spazi e di locali.

Seguite una linea musicale in particolare?
G: Noi cerchiamo di fare un certo tipo di percorso. Quando c’è modo di dare spazio e valorizzare i nostri artisti lo facciamo. Abbiamo dei gusti personali che cerchiamo di assecondare, ci confrontiamo con i nostri dj, scegliamo l’artista in base a tanti parametri, però non ci leghiamo ad un solo genere. Essendo un promoter fiorentino, mi sembra giusto dare spazio anche a certi ragazzi. Ci guardiamo intorno. Le scelte artistiche sono quelle che poi determinano l’affluenza di un certo tipo di pubblico piuttosto che un altro.
Qual è stato il momento in cui hai capito che volevi regalare alle persone un’esperienza “clubbing differently”?
G: Ti posso dire che l’idea di fare eventi, in fase embrionale, risale a tanto tempo fa. È dopo un po’ che lo fai che capisci dove vuoi arrivare, più vai avanti e più ti rendi conto che è difficile ma anche stimolante. Dopo tre anni che lo facevo a livello di clubbing mi sono reso conto, in corso d’opera, che mi sarebbe piaciuto fare cose sempre più grosse, e quindi lì ho dovuto rimboccarmi le maniche e capire come si facevano.
Una volta mi hai confidato che il tuo sogno sarebbe stato quello di organizzare un festival.
G: Sì, penso che quello sia l’obiettivo finale.
Dall’altro lato, c’è stato un episodio in cui avete pensato che le cose si stessero mettendo male?
G: Quando discutiamo con le proprietà con cui lavoriamo ti viene un po’ lo sconforto, però sostanzialmente quello che non ci ha mai fatto mollare è un fattore: la passione. Nutriamo tutti una grandissima passione per questo lavoro, e quando hai una passione così forte, ci sono dei momenti che possono essere difficili ma è una spinta e un energia che hai sempre addosso e non c’è niente che la possa sconfiggere. Questo è quello che fa la differenza.

Passione per cosa in particolare?
G: Per la musica, per l’organizzazione. È un lavoro che ha un aspetto bellissimo perché se tu mi facessi la domanda qual è l’evento più bello che hai organizzato, sai come ti risponderei? Il prossimo. È la caratteristica più bella di questo lavoro. Ti da l’occasione, la volta successiva, di superarti, e da questo punto di vista non ha limiti.
Non correte il rischio di ripetervi.
G: Se un artista funziona, ed è piaciuto al pubblico perché non riproporlo. Noi vogliamo piano piano differenziarci ancora di più a livello di proposta artistica. È proprio quando osi e poi riesci che c’è soddisfazione.
Prima hai detto che questo lavoro non ha limiti. Secondo te dove sta il futuro?
G: Il futuro, per chi fa il nostro lavoro, è prendere uno spazio, un locale, se veramente vuoi personalizzare al massimo il tuo prodotto, il futuro è quello che è sempre stato, in un ottica più passata. All’estero è diverso, perché puoi fare questo lavoro senza avere un locale. In Italia non lo puoi fare. La burocrazia dei paesi stranieri è molto più snella.
Qualche anticipazione su eventi, ospiti futuri?
G: Faremo degli artisti nuovi, ne rifaremo altri che ci piacciono particolarmente e che sono piaciuti al pubblico come Antal e Hunee. A teatro ti posso garantire che faremo cose ancora più grosse come collettivi di artisti.

Photo credits: Simone Pianigiani
23.06.2015