• GIOVEDì 28 SETTEMBRE 2023
Interviste

L’estate d’oro di Merk & Kremont

 

 

 

Cosa sarà la dance nei prossimi anni? E come si evolverà la figura del dj? Cosa si suona a un festival per essere originali (al netto dei tweet di Alesso)?

Merk & Kremont sono indiscutibilmente i protagonisti dell’estate 2016. Da produttori, sono in cima a tutte le classifiche e soprattutto in ogni autoradio, auricolare, altoparlante da spiaggia, festa con ‘Andiamo a comandare’ di Rovazzi e con ‘Bomber’ de Il Pagante; sul dancefloor la loro ‘Don’t need no money’ sta andando parecchio bene, e lo stesso si può dire del remix che hanno confezionato per Bob Sinclar. Sul fronte dj set, il loro calendario è decisamente fitto, tra i club italiani e quelli internazionali, e ovviamente non mancano i festival. I due milanesi hanno molto di cui essere soddisfatti. Così mi sono seduto con loro al tavolino di un bar in zona Navigli, a Milano, per farmi raccontare la loro estate d’oro e per avere il loro parere su diversi argomenti, compresi quelli delle domande che avete letto in apertura.

 

 

 

 

Siete tornati qualche settimana fa da un tour in Asia di cui abbiamo visto ampia documentazione fotografica sui vostri social. Iniziamo da qui: sono curioso di sapere come vi siete trovati. Pare che da quelle parti ci sia un entusiasmo esagerato per i dj. E’ vero?
Merk: E’ vero, probabilmente il fatto che arriviamo da lontano ci fa vedere come un fenomeno esotico ma sono davvero tutti entusiasti, dal pubblico ai promoter a tutte le persone con cui abbiamo solitamente a che fare.
Kremont: Sono grandi esterofili e amano tutto ciò che di loro funziona all’estero. Seguono queste due direttrici. Amano gli artisti stranieri e li trattano con ogni riguardo; allo stesso tempo se vedono che un artista parla in toni positivi di Bali, per fare un esempio, tutti gli indonesiani impazziscono, te ne accorgi dalle reazioni sul web.

 

A livello di organizzazione dei club riscontrate la stessa professionalità che c’è in Europa o in America? E’ meglio o peggio?
M: Sì, sono meticolosissimi in tutta la parte organizzativa, con un grande coinvolgimento anche umano. E poi le stesse persone che se ne occupano non vedono l’ora della performance per poter finalmente divertirsi insieme a noi e al pubblico.
K: C’è un grande senso dell’ospitalità, sono attentissimi e rendere il soggiorno dell’ospite perfetto in ogni dettaglio.
M: A Jakarta ad esempio abbiamo ricevuto decine di regali: cuscini personalizzati e caffè del posto. Che ho dimenticato in hotel perché non avevo spazio nello zaino.

 

Com’è il caffè del posto?
K: Un caffè locale molto raro e pregiato, si chiama Kopi Luwak e viene prodotto dalle bacche che mangia ed espelle un roditore.

 

 

 

 

Ne ho sentito parlare. Caffè a parte, è probabilmente la vostra estate di maggior successo dal punto di vista discografico, avete fuori la vostra ‘No need no money’ e poi naturalmente Il Pagante e Rovazzi che sono le vere hit dell’estate in Italia. Come vivete questa situazione, anche considerando che in due di queste canzoni siete producer ma non comparite come titolari del progetto?
M: Molto bene, siamo contenti. Scherzando dico che due tra le canzoni più ascoltate in streaming in Italia nelle ultime settimane sono nostre ma il nostro nome non compare mai. Speriamo che un successo simile arrivi anche con qualche traccia firmata proprio come Merk & Kremont.

 

Mentre quella di Rovazzi è una hit estemporanea, Il Pagante mi sembra un progetto strutturato, con molte persone che lavorano a tutti gli aspetti della scrittura, della produzione, dei video e dei concept.
M: Credo esistano pochi progetti nati in modo così scherzoso e che sono diventati dei cult durati cinque anni, costantemente in hype.

 

Beh, è tutto ironico ma far ridere è una cosa seria, ci vuole una certa cura in ogni dettaglio.
K: E’ un meccanismo che non esisteva in Italia, come dici tu deve apparire come qualcosa di non professionale e non serio, ma in realtà c’è un’impalcatura che non si vede dietro ogni canzone e ogni video del Pagante.

 

 

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Qualche tempo fa abbiamo avuto una piccola discussione su Facebook, uno scambio di idee su ciò che è successo al Nameless, dove Alesso, che suonava dopo di voi, mentre eravate sul palco ha twittato che stavate suonando le hit degli ultimi vent’anni con un drop EDM: quanto è difficile essere originali in un contesto come quello del festival, diverso dal club dove magari c’è maggiore spazio per improvvisare la tracklist. Come bisogna approcciare un set per cercare di essere il più possibile personali?
K: Lo spazio che un dj ha a disposizione per sperimentare e suonare un set originale in un festival è molto limitato, a mio avviso chi fa più bella figura è il dj che riesce a suonare diverse produzioni sue, proprio per una questione di appartenenza: se  le tracce sono mie, quello è per forza il mio suono. Sulla carta si sa già chi avrà maggiore hype. I punti in più che uno può dare alla performance sono le canzoni inaspettate che creano la reazione che la gente desidera. Si deve trovare qualcosa di popolare ma cool, non ci si arriva passando dalle tracce più conosciute: ‘Sweet Dreams’ degli Eurythmics, è scontata, ad esempio, la suonano sempre tutti. Serve beccare il pezzo “giusto”.

 

Lo scenario musicale è cambiato rapidamente negli ultimi due anni: dalla EDM potente e muscolosa, con la cassa in evidenza e i synth massicci, siamo passati a questa ondata di musica in battuta lenta, con gli accordi in minore, la chitarra acustica. Tutto questo mi accende diversi spunti di riflessione, uno degli elementi che hanno fatto il successo dei festival stessi credo sia appunto la forza dell’EDM, l’entusiasmo che genera. Faccio fatica a immaginare la stessa reazione su larga scala con un set tutto a 100 bpm.
M: Sì, infatti fa strano immaginare uno come Kygo che salta sul drop con il CO2, no? Tra un beat a l’altro fa in tempo a fare tre salti… nel senso, secondo me i festival resteranno ancorati a un certo tipo di sound, per forza di cose. Chiaramente evoluto e diverso, magari meno “pestato”, senza la cassona distorta, ma sarà più o meno la stessa matrice. Poi a noi piace variare e ci piacciono anche cose del genere, in una certa misura molti generi ci piacciono e li suoniamo con piacere, cercando di mischiare le carte. Il fatto che sia aumentato il numero di produzioni lente deve far riflettere: tutti i produttori stanno cercando di entrare in radio, e può essere un passo falso se non si ha in mano il pezzo giusto.
K: Un cambio troppo drastico, se non è frutto di una volontà di cambiamento vera e operata nella maniera giusta, può essere pericoloso.
M: Esatto. Poi è chiaro che un produttore cerca di esplorare anche territori diversi, non ti nego che noi stessi abbiamo pronte canzoni differenti rispetto a ciò a cui vi abbiamo abituato, e presto le sentirete.

 

 

 

 

A volte quando ascolto questi pezzi lenti ho la sensazione che stiamo andando incontro alla fase discendente del grande ciclo che ha interessato la dance nell’ultimo decennio. Negli anni ’90 era successo qualcosa di simile. La dance è tornata in radio, è entrata in TV negli spot e nei programmi, è parte dell’immaginario collettivo, grazie anche alle canzoni più melodiche. Forse è un ciclo che si sta chiudendo, temo che questo cambio di direzione sia il sintomo di qualcosa che possa richiudersi su se stesso, mi auguro che non sia così.
M: Forse è così: di tutti i grandi dj che conosciamo, non ce n’è uno a cui non sentiamo dire “sto cambiando genere”, ma poi si mantengono sempre sul vago, non danno spiegazioni. E nemmeno loro sanno cosa stanno facendo di preciso.
K: Secondo me non è un ciclo che si sta chiudendo, è un’evoluzione e sta ponendo le basi per un’ulteriore crescita della musica dance, del concetto di dj e produttore. Probabilmente da parte del pubblico non è neanche percepita tutta questa preoccupazione, siamo noi del settore che ci accaniamo a parlarne.

Invece un fatto certo è che il ruolo del dj è cambiato parecchio negli ultimi anni, diventando una vera star, un frontman. Come pensate potrà evolvere ulteriormente?

K: Di sicuro il dj è una figura che fin dalla sua comparsa è ambigua, perché è un non-musicista che però è più rockstar della rockstar. Poi, è una figura che da qui ai prossimi dieci anni sarà ancora in crescita, perché ha molto appeal sul pubblico.
M: Forse perché il pubblico non sa bene ciò che fa dietro la consolle, si immagina cosa succede ma non può conoscerlo al 100%.
K: Per questo appare molto figo a un ragazzo che lo va a vedere.
M: Quasi come un cantante. Anzi, ormai come un cantante. E in più è “tecnologico”, nel senso che si esprime attraverso la consolle e le macchine, non ha in mano uno strumento o un microfono. E’ sempre misterioso ma allo stesso tempo è moderno, proiettato nel futuro.

 

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Albi Scotti
Giornalista di DJ Mag Italia e responsabile dei contenuti web della rivista. DJ. Speaker e autore radiofonico.

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