“Borders” è il titolo del nuovo pezzo di M.I.A., uscito in video proprio oggi, con un tempismo da cecchino rispetto a tutti i fatti che ci stanno capitando attorno negli ultimi giorni. Borders. Confini. E di confini parla l’artista cingalese, con una canzone che tratta il dramma dei profughi, dei migranti, delle vite affidate alla speranza, al mare, al destino. Il video, come da tradizione per M.I.A., è molto esplicito e provocatorio, come potete vedere. Migranti ammassati sui camion, in marcia nel deserto, sui barconi o in coreografie evocative. Un atto coraggioso, un’artista indipendente votata alle cause sociali. Perfetto. Ma tutto ha il sapore del cattivo gusto e della speculazione. Perchè? Perchè M.I.A. cavalca le faccende geopolitiche dall’inizio della sua carriera: il padre Tigre Tamil; la questione globalizzazione vista dagli occhi della migrante che ha trovato a Occidente la sua fortuna; lo stare dalla parte giusta senza essere antipatica a quella sbagliata.
Nel caso non abiate un account Apple Music e preferiate “Fly Pirates”, lo potete vedere QUI
L’operazione di M.I.A. va oltre i confini, oltre i “borders” del buongusto. per la faciloneria con cui affronta il tema, delicatissimo e caldo. Il testo del brano potrebbe stare sulle pagine social di qualche associazione di pacifisti incazzati (ossimoro?) come sulla una Smemo di un sedicenne incazzato. Ancora peggio, è irritante la coolness che la ragazza ostenta sempre, la furbizia smart con cui si cala a piè pari dentro questioni che richiederebbero un passo indietro rispetto all’outfit di scena che matcha con lo sfondo. Chiariamo, non credo che la musica debba per forza essere leggera e occuparsi esclusivamente di sole-cuore-amore o di let’s-go-to-the-club o di oh-yeah! o di uh-baby. Ma è pur vero che non sono più gli anni ’70 di John Lennon o gli anni ’90 di Bono (giusto per citare un personaggio che dell’impegno umanitario ha fatto la sua bandiera, venendo dapprima acclamato come un santo e poi, nel tempo, perculato come il re degli antipatici). Oggi le informazioni ci piovono addosso con una facilità e in una quantità esagerata, e non è certo compito dell’artista cool di turno farci sapere come va il mondo. Parere personalissimo, chiaro. Un artista che scegli di schierarsi va rispettato per le prese di posizione – spesso scomode – che decide di portare a vanti. Ma qui mi appare tutto pacchiano e un po’ forzato, tutto troppo tempestivo e for dummies. D’altronde, M.I.A. ci ha abituati a questo clash socio-culturale, dal video shock di “Born free” a quello zarrissimo di “Bad Girls”. Non voglio essere malizioso, ma mi concederete il beneficio de dubbio. Però no, dai, non può essere. M.I.A. è cresciuta nella parte sfortunata dle pianeta, mica può essere così furbetta. L’avesse fatto Bono, allora sì. E’ solo un miliaradario cresciuto nell’Irlanda delel bombe IRA, mica una migrante che ha fatto le scuole d’arte a Londra. Questi sono concetti profondi, e lei ha le skills e la street credibility per parlarne. Figuriamoci se lo fa perchè mancava da un po’ e le serviva un ritorno col botto…
PS. DJ Mag è una rivista di musica, e non ho speso nemmeno una riga sul pezzo. Da fan di M.I.A., non mi pare si aggiunga nulla all’estetica sonora dell’artista, già ampliamente esplorata e reiterata da anni: beat urban, tra grime trap in questo caso, sample mediorientale, voce-filastrocca. Com’era quell’altra? “London calling, speak da slanga”…
27.11.2015